A quasi 25 anni dal ‘no’ del referendum contro il nucleare in Italia, il Paese subisce un altro arresto, forse definitivo, all’utilizzo di questa risorsa energetica. Quello che sorprende è che a mettere la parola fine è stato lo stesso governo che tanto puntava sul ritorno degli impianti nel nostro territorio e non il referendum di giugno (la Cassazione deciderà se il voto popolare si terrà ugualmente). Dopo il referendum post Chernobyl dell’8-9 novembre 1987, che mise fine all’avventura nucleare italiana, si è tornati a parlare di energia nucleare nel 2005 quando l’ex ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, annuncia la necessità di un ripensamento. Nel 2008 è sempre Scajola ad annunciare la posa della prima pietra entro la legislatura, un impegno preso davanti alla platea di Confindustria. Il percorso è lungo e si conclude con la decizione della Corte Costituzionale che dichiara ammissibile il referendum sul nucleare, ma l’incidente di Fukushima in Giappone riaccende le polemiche e porta il Governo a invertire la rotta. E pensare che l’esecutivo puntava molto sull’atomo con investimenti previsti di circa 40 miliardi di euro per avere in cambio risparmi nel costo della generazione di elettricità pari al 20%. Erano gli obiettivi del programma nucleare italiano ma, con la decisione del governo, ora è tutto congelato. Ecco un quadro di quanto era stato previsto dal governo, realizzato dall’agenzia Ansa:
Costi e benefici del piano – L’accordo Enel-Edf prevedeva la realizzazione di almeno 4 unità su 2-3 siti (pari a 6.400 MWe) in tecnologia Epr, con la posa della prima pietra entro il 2013 e l’entrata in esercizio della prima unità nel 2020. La realizzazione degli impianti, solo considerando l’impegno di Enel-Edf, sarebbe stata pari a 18-20 miliardi, che quindi sarebbero diventati circa 40 per l’intero programma nucleare. Stime del gruppo elettrico italiano avevano dettagliato i costi in 5 miliardi per la prima unità, 4,7 per la seconda, 4,3 per la terza, 4 per la quarta, con ricadute occupazionali per poco meno di 3.500 persone per ogni unità. A fronte di questo impegno, i benefici sul piano economico sarebbero stati, secondo le attese, di uno risparmio del 20% sui costi di generazione; su quello ambientale, invece, la produzione di 100 TWh l’anno avrebbe fatto ridurre le emissioni di circa 35 milioni di tonnellate l’anno.
La mappa dei siti – L’iter per il ritorno al nucleare si è interrotto prima che si arrivasse alla fase cruciale della scelta dei siti, ma molte indiscrezioni su questo tema sono circolate in questi ultimi anni (LEGGI). Le uniche certezze, infatti, erano quelle relative alle caratteristiche necessarie per ospitare un impianto: zone poco sismiche, in prossimità di grandi bacini d’acqua senza però il pericolo di inondazioni e, preferibilmente, lontane da aree densamente popolate.
Iter quasi completato, ma mancava strategia – Con le nomine dei componenti dell’Agenzia per la sicurezza gran parte del lavoro normativo avviato dall’ex ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, per il ritorno all’atomo era ormai stato fatto. Qualche passaggio, però, ancora mancava: il reale avvio dell’Agenzia, con l’individuazione della sede e il conseguente trasferimento delle risorse umane ed economiche necessarie all’attività, la definizione della Strategia nucleare italiana, le decisioni del Cipe in materia di partecipazione ai consorzi industriali e di tecnologie.
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