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Corrompo dunque sono

Perché conviene dare mazzette in Italia? Perché i benefici superano di molto i costi. Parola dell’economista Coppier. E la colpa è della giustizia, della scarsa trasparenza e dell’ideologia del risultato. Parlano Colombo e Tabacci

Meglio rassegnarci all’idea: per ora la corruzione ce la dobbiamo tenere. Poco importa se è antimorale (ma è ancora un problema per qualcuno?), antimeritocratica e antieconomica. Nell’Italia della Seconda Repubblica, ancor più che in quella della prima, sembrerebbe essere non solo un male inevitabile ma addirittura “necessario”. Lo confermano le prime fasi delle indagini legate ai presunti illeciti nelle operazioni gestite dalla Protezione civile dopo il terremoto dell’Aquila, per l’“emergenza” dei campionati mondiali di nuoto a Roma del 2009 e anche in occasione del G8 di luglio, che si sarebbe dovuto tenere sull’isola della Maddalena in Sardegna, e che è stato spostato in Abruzzo. Il lavoro dei pm ha evidenziato attraverso le intercettazioni telefoniche una fitta rete di contatti tra imprenditori e responsabili della pubblica amministrazione finalizzata allo scambio di favori che anno portato all’arresto del braccio destro di Bertolaso, Angelo Balducci, Presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, e alla consegna di un avviso di garanzia per corruzione anche al “megagalattico” Guido, che nell’ipotesi dei magistrati di Firenze sarebbe stato remunerato con prestazioni sessuali di altissimo livello. Contrariamente a quello che si può pensare la corruzione nel Belpaese non è diventata solo una faccenda di regalie e indulgenze in cambio di dosi omaggio di cocaina, prostitute e viaggi esotici (Giampaolo Tarantini, al centro dell’inchiesta sulla sanità pugliese, docet), ma, come ai tempi di Mani Pulite, è ancora un problema di soldi e di ricatti, come dimostra l’arresto in flagranza di reato di Milko Pennisi, presidente della commissione Urbanistica del comune di Milano e consigliere in quota Pdl a Palazzo Marino. Il motivo? Si era appena intascato una bustarella da 5 mila euro per sbloccare della pratiche relative a un edificio in zona Bovisa. Forse vi chiedete come si fa al giorno d’oggi a vendersi per così poco. Tranquilli, sembra si trattasse solo della seconda tranche di una tangente da 10 mila euro.

Quanto ci costa

Inutile girarci intorno: la corruzione in Italia è un fenomeno endemico, un vero e proprio sistema, come non esitano a definirlo molti degli economisti che si sono appassionati al problema. Quello della corruzione è un meccanismo antieconomico a livello sociale perchè non solo impatta sull’allocazione delle risorse finanziarie, creando pesanti distorsioni della spesa pubblica, ma abbassa anche il livello qualitativo delle infrastrutture e dei servizi erogati ai cittadini e influisce sulla selezione delle risorse umane, con il rischio di scartare i migliori sulla piazza facendo posto a individui meno qualificati ma con più raccomandazioni. A voler quantificare il danno, possiamo citare il giornalista di Repubblica Giuseppe D’Avanzo, che ha calcolato che in Italia i cittadini pagano complessivamente una tassa occulta di 70 miliardi di euro: 25 mila, euro più euro meno, a testa. La Corte dei Conti parla invece di circa 60 miliardi.Probabilmente si tratta di cifre esagerate se, come dice Antonio Naddeo, capodipartimento del ministero della Funzione pubblica, «la Banca mondiale stima che a livello internazionale la corruzione costa circa 700 miliardi di euro. Se D’Avanzo avesse ragione vorrebbe dire che l’Italia da sola pesa per il 10%!». Il 10% di sicuro no, ma di certo non si tratta di bruscolini: nella classifica sulla percezione della corruzione (Corruption perception index, Cpi) in 180 Paesi redatta da Transparency International l’Italia nel 2009 figura al 63esimo posto, tra la Turchia e l’Arabia Saudita, in discesa libera rispetto al biennio precedente, quando comunque non navigava in buone acque. Nel 2007 infatti il Belpaese galleggiava al 41esimo posto, per poi affondare al 58esimo nel 2008.

Economia o cultura?

La questione si può spiegare da due punti di vista: quello culturale, legato cioè alla scarsa propensione alla legalità dell’homo italicus, e quello puramente economico. «Naturalmente la corruzione è antieconomica a livello sociale, ma sul piano individuale rimane profittevole» spiega Raffaella Coppier. «La corruzione avviene quando due individui soppesano razionalmente i costi e i benefici di una transazione corrotta, e in Italia il rapporto tra costi e benefici è piuttosto alto prima di tutto perché l’implementazione delle leggi è scarsa». La Coppier è una che di corruzione se ne intende. È autrice del libro Corruzione e crescita economica. Teorie ed evidenze di una relazione complessa e docente di economia presso l’università di Macerata. Secondo lei il problema, però, è che gli effetti di un’iniziativa individuale hanno ripercussioni non solo sul rapporto tra i due contraenti dell’accordo. «La corruzione distorce l’allocazione delle risorse pubbliche: ci sono dei lavori, come per esempio quelli di Mauro Paolo, Hamid Davoodi e Vito Tanzi (ricercatori del Fondo monetario internazionale, ndr), che sottolineano come sotto la spinta della corruzione si cerchi di indirizzare le risorse pubbliche verso quel tipo di appalti e opere pubbliche di difficile valutazione sul mercato. La trasparenza degli appalti, intesa come pubblicazione del maggior numero possibile di informazioni on line sarebbe fondamentale nel contrastare il fenomeno». D’altra parte, anche un eccesso di trasparenza, in un Paese come l’Italia, potrebbe rivelarsi controproducente. «Se tutte le informazioni che riguardano un appalto o lo svolgimento di una gara vengono rese disponibili al pubblico, paradossalmente si corre il rischio che i soggetti in competizione si accordino per truccare la gara». Eppure la trasparenza senza se e senza ma è l’unica via di uscita, stando al parere di un uomo che ha scardinato la loggia massonica P2 e quel meccanismo di finanziamenti illeciti ai partiti passato alla storia come Tangentopoli. «È necessario che progressivamente si modifichi la cultura italiana», sostiene Gherardo Colombo, oggi presidente di Garzanti libri ed ex magistrato simbolo, insieme con Antonio Di Pietro, delle inchieste condotte dal pool di Mani pulite nei primi anni ‘90. «Occorre modificare il nostro atteggiamento verso le regole, in modo che corrisponda di più a quella dei nostri vicini europei. Per mettere in luce la convenienza della trasparenza per tutta la società credo che non si possa fare altro che parlarne, discuterne, approfondire il tema. Uscire, in altre parole, da questa superficialità secondo cui l’esigenza primaria è fare soldi in fretta e senza un vero progetto, senza cioè preoccuparsi minimamente della comunità».

Voglia di cambiare

Modificare la cultura italiana? Impresa a dir poco ardua, visti i recenti arresti eccellenti, con accuse gravi anche nell’ambito della Protezione civile, che era diventata negli ultimi anni una specie di baluardo dell’efficienza e della prossimità al cittadino. Ma se Colombo preferisce non esprimersi su come si sono evolute le modalità della corruzione in Italia, quali soggetti coinvolge e con quali merci di scambio, è fermo nel ribadire i suoi propositi per gli anni a venire. «Si deve essere realisti nel fotografare la situazione esistente, può sembrare pessimismo ma non lo è. Non sono così negativo circa la possibilità di modificarla. Giro moltissimo per le scuole, e vedo circa 50 mila ragazzi all’anno. Quando affronto il tema della corruzione mi accorgo del loro coinvolgimento, noto la loro presa di coscienza. Se i temi vengono approfonditi, io credo si possa essere non pessimisti per il futuro». Un cambiamento, ma di natura morale, è quello che auspica anche Bruno Tabacci, deputato in Parlamento in quota Api (Alleanza per l’Italia) e politico di lungo corso, tanto da aver ricoperto il ruolo di Presidente della Regione Lombardia nel periodo 1987-1989, il triennio che ha preceduto il crollo della Prima Repubblica. «Negli ultimi anni, con il venir meno delle ideologie, abbiamo assistito a una caduta complessiva dei costumi. È venuto meno anche il filtro morale che le grandi formazioni politiche popolari riuscivano a mettere nel rapporto con i loro militanti. A questo si deve aggiungere l’irrompere dell’ideologia del pragmatismo, per il quale quel che conta è solo il risultato, e il proliferare dei conflitti di interesse, che certamente non sono esclusivi del panorama italiano». Ma secondo Tabacci tutto è aggravato dalla giustizia «lenta, che si presta a una serie di interventi che rendono dubbie le sanzioni: penso a tutte le manovre di condono di vario tipo, incluso lo scudo fiscale. E poi c’è il tema dell’assoluta inadeguatezza dei controlli, che tocca tutto e tutti: dall’allargamento smisurato dei regimi straordinari affidati alla Protezione civile alle mancate verifiche rispetto alle cartelle ospedaliere». Dire che è pessimista è poco. Però Tabacci indica una via d’uscita: «Questo è un Paese molto confuso e non possiamo aspettarci che il cambiamento parta dall’alto, da dove arrivano piuttosto esempi negativi. I partiti non possono più esercitare il controllo morale di un tempo per il semplice fatto che non esistono più: oggi sono in mano a leader che hanno il controllo della cassa, e anche il mercato politico è profondamente truccato per via della moltiplicazione del rimborso delle spese elettorali. Serve una rivoluzione nelle coscienze individuali». Da dove partire, dunque? Una risposta la dà Antonio Naddeo. «Forse sarò un romantico, ma ai miei tempi quando si entrava nella Pubblica amministrazione si faceva il giuramento. E definirsi “servitori dello Stato” dava un altro spessore al ruolo che si era chiamati a ricoprire». Solo una questione di forma? Sarà un caso, ma una delle tante proposte del ministro Brunetta riguarda proprio la reintroduzione del giuramento. Basterà?

ONU: FACCIAMOCI RICONOSCERE

Uno studio pubblicato sul Journal of political economy 2007 ha messo in evidenza come la propensione a non pagare le multe dipenda dalla cultura del paese di origine. A Manhattan i rappresentanti delle Nazioni unite fino al 2002 erano esentati dal pagare le contravvenzioni per divieto di sosta grazie al loro particolare status giuridico. Ebbene, i ricercatori Ray Fishman ed Edward Miguel, rispettivamente della Columbia University e dell’Università di Berkley hanno stabilito che i diplomatici che hanno collezionato più sanzioni in ragione della propria immunità sono quelle persone che vengono da Paesi con un elevato tasso di corruzione. Gli Italiani figuravano al 47esimo posto, con 14,6 multe pro capite. I più indisciplinati? I Kuwaitiani, con una media di 246,2 sanzioni a testa.

E IO PAGO

700 miliardi di euro: l’ammontare dei costi complessivi della corruzione nel mondo

25mila euro circa: costo della corruzione che pesa su ogni cittadino

+229%: aumento delle denuncie legate a fatti di corruzione nel nostro paese