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Distribuzione in allarme rosso

Ipermercati in difficoltà, discount in grande spolvero ma senza certezze e un modello ibrido unico in Europa: la Gdo in Italia fatica a uscire dalla crisi. La soluzione? Seguire la strada delle nuove tecnologie, prima che sul mercato arrivino i colossi dell’e-commerce

Display futuristici sui quali i consumatori possono visionare ogni tipo di informazione sui prodotti in vendita: origine, lavorazione, proprietà nutritive, presenza di ingredienti allergizzanti. Etichette “intelligenti”, incollate sulle confezioni, in grado di attivare gli schermi semplicemente sfiorando la merce. YuMi, acronimo di You and Me, robot che si aggirano tra le corsie capaci di interagire con le persone e di darsi da fare per impacchettare cibo e prodotti. A provare a disegnare il Supermercato del futuro è stata la Coop con il Future Food District, il padiglione con cui la catena partecipa a Expo Milano 2015, tra i più apprezzati dal pubblico in visita al sito espositivo di Rho.

Un progetto che vuole anticipare un futuro, che non appare poi così lontano, in cui i punti vendita avranno sempre di più nella tecnologia un prezioso alleato. Il digitale in effetti potrebbe rappresentare una delle vie per affrontare le difficoltà che hanno iniziato a colpire la grande distribuzione negli anni della crisi. Le catene del grocery hanno dovuto fare i conti, complice la recessione, con il crollo drastico dei consumi. Anche nel 2014 il settore ha registrato un calo delle vendite dello 0,5% a volume che diventa -0,7% a valore. Nei primi quattro mesi dell’anno, grazie ai timidi segnali di ripresa che hanno rivitalizzato anche la spesa degli italiani, il trend è tornato positivo sia nei volumi (+1,2%) sia nel valore (+1,1%). Il mercato della grande distribuzione vale oggi circa 95 miliardi di euro, di cui 60 miliardi il largo consumo confezionato, 26 il fresco e 9 il non food.

Anche l’elettronica in affanno

MODELLO FRANCESE KO. Gli ipermercati scontano anche l’evoluzione degli stili di vita degli italiani: riduzione degli sprechi alimentari, meno spostamenti in macchina, spesa di prossimità. «Hanno resistito alla crisi sono quelli che hanno puntato su un modello di business sempre più specializzato. È questa in fondo la strada da percorrere per sopravvivere, non solo per gli iper ma anche per gli altri format distributivi. Le catene devono poi rispondere ai nuovi bisogni di consumo alimentare che si stanno sempre si più affermando, ovvero la richiesta di cibo sano, fresco e gustoso: la competizione si giocherà sempre di più in questa area», sottolinea Romolo de Camillis, Retailer Director di The Nielsen Company. La crisi ha colpito in Italia in particolare i gruppi francesi. Sono stati loro a puntare sull’ipermercato, quel format che ha costruito il loro successo all’interno dei confini transalpini, ma che da noi non ha avuto proprio fortuna. Auchan ha annunciato la riduzione del personale, mentre Carrefour ha optato per l’abbandono del Sud Italia, dove era entrato proprio con questo modulo distributivo.

«L’ipermercato è il format che caratterizza la distribuzione nel mercato francese: grandi metrature e punti vendita ubicati nelle periferie urbane e nei centri commerciali. In Italia, complice anche la crisi, non è stato in grado di conquistare i consumatori. Gli ipermercati hanno puntato allora sulle promozioni: hanno così recuperato sì i volumi, ma non la marginalità. Alla lunga questa scelta ha pesato sui conti societari», dice Sandro Castaldo, docente ordinario del dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi. Auchan e Carrefour hanno inoltre cercato di realizzare in Italia un network di esercizi commerciali distribuiti su tutto il territorio nazionale, puntando su format differenti. Una scommessa azzardata, se si pensa alla tradizionale regionalizzazione italiana delle insegne. «E infatti, a oggi, non ha funzionato. Chi sta cercando di fare altrettanto, con risultati tra l’altro migliori, sono invece le catene discount: anche grazie alla difficile situazione economica, hanno incrementato la loro quota di mercato nel grocery, arrivata ormai a circa il 10%», aggiunge Castaldo.

CIBO SANO, FRESCO E GUSTOSO:

È QUESTA LA RICHIESTA DEL PUBBLICO

SU CUI SI GIOCHERÀ LA COMPETIZIONE

NEL SETTORE

Protagonisti del format discount sono sia realtà italiane come Eurospin e gruppo Lillo, sia i gruppi tedeschi (in Germania è il modello di business dominante nella gdo), ovvero Lidl e Rewe, quest’ultimo in particolare con il marchio Penny Market. Eurospin è leader di mercato in Italia nel settore discount con 950 punti vendita. In forte ascesa, e terzo operatore discount, è il gruppo Lillo dell’altoatesino Patrizio Podini: con i marchi Ld e Md – il primo radicato nel Nord Italia e il secondo al Sud – può contare su oltre 700 punti vendita e ha già annunciato un nuovo piano di sviluppo. Il settore attraversa una fase molto dinamica: prova ne è l’imminente sbarco nel nostro Paese, inizialmente in Alto Adige, di Aldi, il principale concorrente in terra germanica di Lidl.

Seppur in forte sviluppo, non è ancora chiaro se il discount, una volta lasciato alle spalle il ciclo economico recessivo, assumerà un ruolo da vero protagonista del mercato. «Questo format, storicamente caratterizzato da uno sviluppo ciclico con fasi di forte crescita e fasi di relativa staticità, non sembra essere riuscito a svincolarsi da un limitato ruolo di canale “rifugio” durante i periodi di contrazione economica, diventando finalmente il punto di vendita abituale per la spesa quotidiana (freschi, pane, ortofrutta, latticini) per una fetta di consumatori più ampia e stabile nel tempo», si legge in un recente white paper pubblicato dall’istituto di ricerche Iri.

QUADRO FRAMMENTATO. Ipermercati in caduta libera, discount in grande spolvero dunque, anche se con un futuro ancora tutto da costruire. E i primi attori del mercato? In Italia le principali insegne – Coop, Conad, Selex ed Esselunga in ordine di ranking – hanno una quota di mercato complessiva che supera il 50%. Auchan e Carrefour, quinta e sesta della classifica, si aggirano insieme oltre il 15%. «Il mondo italiano della distribuzione organizzata è un unicum a livello europeo, perché da noi convivono filosofie differenti di business. L’Italia è caratterizzata dalla compresenza di tutte le principali formule distributive, dai minimercati ai discount fino ai super. Come detto, in Germania e Austria sono invece molto radicati appunto i discount, in Francia gli ipermercati, mentre in Gran Bretagna a farla da padrone sono i supermercati e i superstore. Un altro tratto che caratterizza il panorama distributivo nazionale è la sua estrema frammentazione, che rispecchia in fondo un tessuto produttivo fatto in larga prevalenza da tantissime piccole imprese: negli altri Paesi europei le prime tre catene coprono tra il 70 e l’80% del mercato, da noi non arrivano al 35%», spiega ancora il professor Castaldo della Bocconi.

A parte il caso Esselunga, di proprietà di Bernardo Caprotti, le altre catene fondano la loro forza su un’altra tipicità italiana: la cosiddetta distribuzione associata, presente anche all’estero ma non con la stessa incidenza sul mercato. Conad e Selex (di cui A&O è uno dei marchi principali e conosciuti) sono catene costituite da più soggetti che decidono di associarsi tra di loro, utilizzando un marchio comune e condividendo le decisioni strategiche. La formula della Coop è invece la cooperativa di cui sono soci gli stessi consumatori. Coniugare forze imprenditoriali radicate a livello locale e la capacità di ragionare come un brand nazionale è l’arma in più a vantaggio della distribuzione associata, strategia vincente se ben applicata. Che presto, però, potrebbe non essere più sufficiente, se non sarà abbinata a progetti di digitalizzazione e ad una sempre più marcata specializzazione dell’offerta. E, in effetti, qualcosa si sta muovendo.

IL CARRELLO DEL FUTURO. Il pick and pay, quel servizio che ti permette di scegliere i tuo acquisti da pc, smartphone e tablet, per poi andare a ritirare le borse della spesa evitando di perdere tempo tra le corsie e alla cassa, è stato attivato in Francia in 2 mila punti vendita. In Italia invece solo poche catene, tra cui quelle transalpine in prima fila, hanno iniziato a sperimentarlo. Carrefour ha lanciato, insieme alla start up Risparmio Super, il progetto Cliccaeritira in 120 punti vendita a Milano e Lombardia, Roma, Bologna e Firenze (presto sarà esteso in tutta Italia): si fa la spesa online e si pianifica il ritiro in negozio o la consegna a domicilio. Anche altre realtà, come Coop, hanno attivato un servizio analogo, ma non per i prodotti alimentari (il sistema ha già fatto proseliti nelle catene dell’elettronica di consumo, come ad esempio MediaWorld). Auchan ha invece deciso di puntare nel suo store di Rozzano, nella periferia di Milano, sulla formula del Chronodrive: una volta ordinata la spesa, la si passa a ritirare nel punto vendita dove viene caricata direttamente in macchina.

Nel nostro Paese, prima del pick and pay, ha preso piede l’ecommerce. Leader in questa tipologia di servizio è Esselunga «Si tratta di sono servizi destinati ad avere sempre più successo perché vanno incontro alle esigenze sia dei consumatori sia delle catene di vendita», sottolinea Sandro Castaldo, «agli operatori della distribuzione permettono in particolare di far lavorare la manodopera in ore in cui è in genere sottoutilizzata, oltre a rappresentare una fonte di guadagno aggiuntiva dal momento che il servizio ha un suo listino». «L’integrazione tra fisico e virtuale è l’arma vincente nelle mani delle catene distributive», aggiunge Romolo de Camillis. «Anzi, per essere precisi, uno degli strumenti che permetterà loro di salvarsi da un declino che ha iniziato a colpire gli ipermercati, ma che potrebbe presto toccare anche formati di dimensione minore, come i supermercati».

A conferma della tesi espressa dal manager di Nielsen, il PwC Total Retail Survey 2015 (lo studio ha analizzato i comportamenti di consumo on line e l’attitudine alla multicanalità di 19 mila consumatori in 19 Paesi, tra cui oltre mille italiani) ha messo in luce come, nei consumi del Belpaese, negozio fisico ed ecommerce non sono rivali ma coesistono e sempre più spesso rappresentano fasi complementari del processo di acquisto. I nuovi servizi tecnologici vanno incontro oltretutto non solo alle generazioni più giovani ma anche ai 35-50enni, anch’essi interessati ad usufruire di modalità di spesa differenti. «L’online permette ai consumatori di fare la spesa in modo più comodo e semplice», aggiunge De Camillis. «Oltre a questo, però, deve tenere in considerazione anche il piacere che il consumatore ha di fare la spesa, facendogli vivere dunque l’atmosfera del punto vendita anche se in modo virtuale. Non è un caso che le insegne che hanno più facilità a introdurre questi strumenti sono in genere quelle più note, che hanno già conquistato la fiducia dei clienti».

L’ARMA VINCENTE CONTRO IL DECLINO

NELLE MANI DELLE CATENE DISTRIBUTIVE?

L’INTEGRAZIONE TRA IL MONDO FISICO

E QUELLO VIRTUALE

NUOVI CONCORRENTI. Le nuove tecnologie rappresentano dunque una nuova arma a disposizione delle catene per fidelizzare la clientela ma, soprattutto, una strategia che non possono non mettere in atto. È vero che in Italia il commercio elettronico rappresenta ancora meno dell’1% delle vendite del grocery. Nel frattempo, però, i colossi internazionali del digitale, come avvenuto in tanti altri comparti, hanno già lanciato la loro sfida al settore e si apprestano a rivoluzionarlo.

Amazon, in particolare, ha già annunciato di avere intenzione di esportare in tutto il mondo Amazon Fresh, il servizio per la spedizione in tempi rapidi di alimenti e deperibili, disponibile al momento in alcune città americane (l’Italia tra l’altro dovrebbe essere uno dei primi mercati in cui il colosso di Seattle intende entrare con Fresh, ancora non è chiaro se solo con i prodotti secchi o subito anche con i freschi). Ma anche Google ed eBay stanno ragionando su progetti simili. La sfida sta per essere lanciata. Sta ora alla distribuzione tradizionale mettere in atto le giuste strategie per vincerla.

Credits Images:

Il supermercato del futuro anticipato da Coop all’interno del Future Food District, a Expo