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Fallimenti, ci sono voluti 80 anni per una nuova legge

Addio alla «liquidazione giudiziale» e alla condanna morale nei confronti di chi non ce l’ha fatta. La liquidazione giudiziale diventa solo l’ultimo approdo. Era ora…

Dopo 80 anni cambia la legge sui fallimenti. La normativa sui fallimenti risaliva infatti al 1942 e non era mai cambiata nonostante l’evoluzione dell’economia, e «ha macinato in questi anni molte risorse sia imprenditoriali che di beni materiali», come ha commentato il ministro della Giustizia Andrea Orlando a conclusione del percorso parlamentare che ha portato all’approvazione al Senato con 172 voti a favore, 34 contrari e zero astenuti. Si riesce «a rivedere lo stigma che spesso non è più giustificato nella fase di un’economia globalizzata, ma anche a non sprecare capacità imprenditoriale». Perché «uno può essere un buon imprenditore e aver avuto una prima esperienza imprenditoriale non felice», assicura il ministro. Ecco quali sono le principali novità.

Ddl fallimenti: ecco cosa cambia

«Cambia la figura del fallito, infatti non si parla più di fallito e non è solo un cambiamento linguistico, non se ne parlerà più perché la persona che ha avrà avuto in qualche modo una sconfitta imprenditoriale potrà ritentare e non ci saranno più i vincoli che oggi impediscono a chi ha avuto un insuccesso imprenditoriale di carattere economico», chiarisce innanzitutto il ministro Orlando.

Vengono potenziati i meccanismi di allerta per evitare che le crisi aziendali diventino irreversibili, potenziando gli strumenti di composizione stragiudiziale per favorire le mediazioni fra debitori e creditori per gestire l’insolvenza. Saranno rafforzati anche i poteri del curatore che potrà accedere più facilmente alle banche dati della Pa, potrà promuovere le azioni giudiziali spettanti ai soci o ai creditori sociali e si vedrà affidata la fase di riparto dell’attivo tra i creditori.

Prevenire è meglio che fallire

Per facilitare una composizione assistita, sarà possibile attivare la procedura su base volontaria: in questo caso, il debitore sarà assistito da un apposito organismo istituito presso le Camere di commercio e avrà 6 mesi di tempo per raggiungere una soluzione concordata con i creditori. Se la procedura è d’ufficio, per azione dei creditori pubblici, il giudice convocherà immediatamente, in via riservata e confidenziale, il debitore e affiderà a un esperto l’incarico di risolvere la crisi trovando un accordo entro sei mesi con i creditori.

L’imprenditore che attiva l’allerta – non valida per società quotate e grandi imprese – o si avvale di altri istituti sarà premiato con la non punibilità dei delitti fallimentari (se il danno patrimoniale è tenue) e altre attenuanti.

Processi più rapidi

Avranno sempre priorità le proposte che assicurano la continuità aziendale, mentre la liquidazione giudiziale sarà solo l’ultimo approdo. Si punta poi a ridurre durata e costi delle procedure concorsuali.

Ristrutturazione del debito e concordato preventivo

Sarà eliminato il tetto del 60% dei crediti per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, mentre il concordato preventivo sarà ripensato includendo anche il percorso che porta alla liquidazione dell’azienda, a patto di garantireil pagamento di almeno il 20% dei crediti chirografari.

Inoltre, sarà prevista una procedura unitaria per la trattazione della crisi e dell’insolvenza di gruppi di imprese, con obblighi di collaborazione e reciproca informazione a carico degli organi procedenti.

L’importanza dei commercialisti

Esultano i commercialisti per una legge che «ha diversi aspetti positivi, a cominciare dal riconoscimento della centralità dei controlli societari, e altri sui quali speriamo si possa intervenire in futuro con modifiche migliorative, a cominciare dal tema dell’allerta. Ma è stato comunque utile e importante approvarla prima che questa legislatura si chiudesse», dice il presidente dei commercialisti italiani Massimo Miani al Sole 24 ore. «Esce decisamente rafforzato il ruolo di sindaci e revisori, sebbene con le opportune distinzioni».