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I nuovi nemici del lusso made in Italy

Il settore tiene ma non riesce più a crescere come prima. Tutta colpa di Asia e ecommerce

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I nuovi nemici del lusso made in Italy sono l’Asia e l’ecommerce. A dirlo è uno studio di Pambianco News su 36 aziende italiane, europee e americane quotate in Borsa. Se il settore tiene nel suo complesso, di certo fa fatica a crescere ancora di fronte alle mutazioni dei mercati di riferimento e dei gusti dei clienti. I negozi fisici sono quelli più in sofferenza, mentre la strategia multicanale è ormai un obbligo imprescindibile.

QUALE FUTURO PER IL LUSSO MADE IN ITALY?

A fronte di un +9,7% nelle vendite segnato nel 2015, il dato 2016 parla appena di un +4,4% con un calo netto anche della redditività. I gruppi italiani infatti segnano una crescita di appena l’1,5% a 22,1 miliardi rispetto alla doppia cifra dell’anno passato (11,5%). «È una brutta notizia a metà. Il 2016 per le aziende italiane è un anno di consolidamento. Restano solide, ma non bisogna sottavalutare i segnali che si leggono nei margini di redditività», sostiene spiega Alessio Candi, consulente di Pambianco. «Il tema che accomuna i marchi del lusso mondiale è il cambiamento dei consumatori. Si affacciano i più giovani, la regola è il multicanale: sono sempre meno aperture “fisiche” e anzi, c’è qualche chiusura. I grandi della moda devono attrezzarsi per affrontare questo momento di profondo cambiamento». Secondo la ricerca True-Luxury Global Consumer Insight, infatti il 61% degli acquisti è “influenzato” dal digitale.

Soffrono soprattutto Prada, che paga il calo del mercato orientale, e Tod’s, protagonista a inizio settimana di un tonfo in Borsa dopo il -4,4% di ricavi fatto segnare dalla prima trimestrale dell’anno. Sono in ottima salute invece Moncler (+18%), Brunello Cucinelli e Luxottica dopo il matrimonio con Essilor: +2,8%, anche se nel 2015 era stato +15,5%.

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Prada è uno dei marchi che soffre la frenata dei mercati asiatici