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La finanza islamica? Una cultura con cui dobbiamo confrontarci

Lorenzo Ascanio, avvocato e responsabile della sede di Casablanca di Lexjus Sinacta, ci parla del sistema finanziario dei Paesi musulmani e del rapporto che ci può essere con il capitalismo occidentale

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«Un sistema che si muove di pari passo con i principi della teologia». Così Lorenzo Ascanio, avvocato e responsabile della sede di Casablanca dell’associazione di professionisti Lexjus Sinacta, definisce l’universo della finanza islamica, con cui oggi l’Occidente deve inevitabilmente confrontarsi. Secondo Ascanio, che è anche professore a contratto di Diritto musulmano all’Università Ca’ Foscari di Venezia, chi vuole analizzare l’assetto economico di molti Paesi fedeli alla Shari’a «non può ignorare le peculiarità dell’etica islamica e dei suoi principi, che discendono direttamente dal Corano».

Perché, avvocato, la sfera religiosa è così importante per il sistema finanziario dei Paesi musulmani?Perché l’Islam è una religione rivelata, in cui si afferma con forza la superiorità di Dio sull’uomo.

Anche il Cristianesimo lo è….Certo. In Occidente, però, la tradizione liberale ha portato a una progressiva separazione tra la sfera religiosa privata e le istituzioni pubbliche. Libera Chiesa in libero Stato è il principio che si è affermato in tutta Europa e, di riflesso, nel resto del mondo cristiano.

Dunque?Da queste differenze tra Occidente e Oriente, sono nati anche due diversi ordinamenti del diritto. Nei paesi musulmani, non esistono i limiti netti alla sfera religiosa che ci sono in Occidente. Per questo, il messaggio dell’Islam diventa anche norma giuridica. La libertà personale viene riconosciuta e legittimata dal Corano ma, in ogni caso, deve essere al servizio di un fine superiore e di una comunità che ha come epicentro l’obbedienza ad Allah.

E che c’entra quest con l’economia e con la finanza? C’entra eccome. In una società e in un sistema giuridico impregnati di principi religiosi, anche l’economia viene plasmata in base alle leggi del Corano. Basta leggere le sacre scritture dell’Islam, per rendersene conto.

Qualche esempio?Nel versetto 275 della seconda Sura (una delle parti in cui è suddiviso il Corano, ndr), c’è l’esplicita condanna della Ribaa, che da noi viene tradotta con il termine usura ma, letteralmente significa aumento, accrescimento. Nello specifico, nell’Islam è condannata l’applicazione di qualsiasi forma di interesse in denaro perché provoca un profitto in eccedenza, che non ha una reale corrispondenza con i beni oggetto dello scambio.

Che rapporto c’è tra l’economia islamica e il capitalismo occidentale? Sono complementari o alternativi l’uno all’altro?Direi che l’economia conforme alla Shari’a è stata spesso proposta come terza via tra il modello socialista e il capitalismo occidentale, perché condivide con entrambi diversi elementi. Nella rivoluzione di Gheddafi che ha trasformato la Libia, così come nelle teorizzazioni di Qutb, Sayyid, l’ideologo dei fratelli musulmani in Egitto, non c’è mai la condanna esplicita dell’arricchimento o della proprietà privata, che invece è pienamente legittimata e tutelata. Ci sono però anche diversi elementi di solidarietà sociale, dall’obbligo di zakat, cioè la beneficenza, fino al pagamento di un salario minimo. Il fine dell’economia e dela finanza islamica deve essere la creazione di una società equilibrata e giusta, in sintonia con i principi del Corano.

ARTICOLO PRINCIPALE – Nel segno della Shari’a

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Lorenzo Ascanio