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Lavoro

Se hai fallito, ti assumo

Gli errori non sono più una macchia indelebile sul curriculum, ma un plus da sfruttare per dimostrare di saper osare e di aver imparato a gestire i momenti difficili. L’importante è non perseverare. Parola di imprenditori, manager e headhunter

Giovani falliti di tutto il mondo, è arrivato il momento della tanto attesa riscossa. Corteggiati dalle aziende e favoriti nei colloqui di lavoro rispetto a chi non è mai uscito di strada, quelli che hanno fatto flop (almeno) una volta nella vita sono i candidati più richiesti. Fail harder, sbaglia di più, è il nuovo mantra della Silicon Valley. Ha cominciato Steve Jobs, quando diceva ai suoi uomini «It’s ok to fail», va bene sbagliare, e ne è convinto anche il numero due di Facebook, Sherly Sandberg, che preferisce assumere i candidati in grado di rispondere a una domanda: raccontami di quella volta che hai inciampato e di come sei riuscito a rialzarti. Ecco il punto: non importa quanti errori uno abbia commesso, ciò che conta è cosa ha fatto dopo. Insomma, il flop è la prova che si ha avuto il coraggio di osare e si è predisposti all’avventura. Una caratteristica molto apprezzata dalle aziende in cerca di giovani talenti.«I manager e i partner che abbiamo scelto sono tutte persone con esperienze anche negative alle spalle», ci conferma Enrico Ceccato, socio del fondo di private equity Orlando Italy e presidente di Leading Luxury Group, leggi Limoni-La Gardenia, «e i candidati che stiamo selezionando, se in qualche modo non hanno mai fallito, non passano. Perché aver metabolizzato un’esperienza negativa è fondamentale per affrontarne altre senza ripetere gli stessi errori». Proprio così. Saranno stati i quattro anni di crisi non ancora passati e le migliaia di imprese fallite – solo in Italia 40 chiusure al giorno nel primo trimestre dell’anno, secondo Unioncamere – oppure le numerose start up annunciate e mai partite, fatto sta che si sono riversati sul mercato del lavoro una marea di “ex-falliti” con la voglia di riprovarci, come imprenditori o manager. Giovani che, nonostante l’età, hanno un plus di esperienza dovuto al fatto di aver imparato cosa significa naufragare. Una lezione di vita e di management impagabile, secondo gli headhunter.

HO SBAGLIATO, MA SONO FELICE. ECCO COME FARE

GESTITE LA DELUSIONE, ALTRIMENTI VI PORTERÀ ALLA PARALISI. Si fa così: considerate l’azione fallimentare come una delle possibili scelte e mettetevi alla ricerca delle alternative.

PROVATE A VEDERLA IN QUESTO MODO: ciò che avete fatto era solo un tentativo tra i tanti possibili per gestire quella particolare situazione. Non è andato a buon fine? Provatene un altro.

FATE TESORO DEGLI ERRORI PASSATI: vi aiuteranno a capire meglio quali sono le cose importanti e ad affrontare con più serenità quelle meno rilevanti. Anche in futuro.

FATE VOSTRO IL MOTTO DI STEVE JOBS: «It’s ok to fail». Va bene sbagliare, perché chi è «affamato e folle» non si ferma mai, se cade si rialza e solo così cresce.

Lo confermano anche gli esperti. «Fallire è una possibile conseguenza dell’osare», conferma lo psicologo e mediatore familiare Paolo Scotti, «e chi fallisce perché osa è consapevole delle proprie capacità, convinto e con il coraggio di mettersi in gioco. Accetta meglio il fallimento, perché sa di aver azzardato, di essere andato oltre il limite e quindi dà una lettura potenzialmente positiva del proprio errore: non pensa di non valere nulla, bensì di avere sbagliato per aver troppo osato e di poter fare meglio. Al contrario», continua Scotti, «chi nella vita non fallisce si mantiene dentro i limiti, sopprimendo la volontà di sperimentare, provare e innovare». Insomma, a sentire chi dopo ce l’ha fatta, la strada per il successo non ammette scorciatoie, la si deve percorrere tutta, comprese le soste forzate. Di storie a lieto fine ce ne sono molte. Il rettore dell’Università di Urbino, Giorgio Petroni, per esempio, portò l’Istituto Nazionale per la formazione professionale assicurativa a un mezzo fallimento quando cominciò a lavorarvi negli anni ‘80, ma non mollò, seppe accettare i duri rimproveri e le colpe, e ne divenne poi direttore generale e infine presidente. «Un insuccesso che mi ha aperto la strada della finanza italiana», racconta Petroni. Ammette di avere imparato molto dai suoi errori di gioventù anche Rinaldo Denti, presidente di Frendy Energy, società del settore mini idroelettrico quotata a Piazza Affari. «Bisogna accettare il rischio, solo così lo si può trasformare in opportunità», afferma l’imprenditore.

E che dire di Stefano Mazzocchi, 48 anni, economista d’impresa e consigliere di amministrazione di varie aziende? «Dopo il master avevo due offerte di lavoro come commercialista, una internazionale ma poco pagata, l’altra meglio retribuita ma in un piccolo studio. Scelgo la seconda e trascorro i primi tre mesi a fare fotocopie, poi il titolare dello studio mi dice che non sono portato per fare il commercialista e mi consiglia di cambiare mestiere». Oggi quello studio non esiste più, mentre Mazzocchi è presidente di Cna servizi. Sia chiaro, non commettono passi falsi solo i giovani: può succedere a tutti, dal neoassunto all’amministratore delegato. E tutti hanno qualcosa da imparare. «Il fallimento vissuto da un professionista ormai affermato», continua lo psicologo Paolo Scotti, «ridimensiona il senso di onnipotenza, sconvolge gli automatismi che fanno perdere il contatto con la realtà, riconduce al dato concreto, seppur in modo duro e a volte doloroso, spingendo a reinventarsi, a ritrovare quelle energie ormai anestetizzate dal quotidiano».

ERRARE HUMANUM EST, MA LE AZIENDE PERSEVERANO

Secondo un’indagine condotta da Robert Half, società di ricerca e selezione di personale specializzato, il 72% dei Cfo e direttori finanziari italiani ritiene che la propria azienda possa replicare gli stessi errori del passato. Soprattutto il non aver investito abbastanza, la scarsa comunicazione interna, i troppi tagli e l’incapacità di reagire ai cambiamenti. Tutte trappole che, secondo i numeri uno delle società intervistate, sono sempre in agguato. Per Matteo Colombo, Country Manager di Robert Half, dalla ricerca emergerebbe chiaramente, non solo la consapevolezza degli errori commessi e il rischio di ricaderci, ma anche la volontà di non farlo.

Per Massimiliano Saccarelli, fondatore di B-Motion, società che accompagna privati, imprenditori e grandi corporation quando devono affrontare grandi cambiamenti, «saper fallire è importante, perché siamo in un periodo di discontinuità, il futuro è poco prevedibile e la creatività è la competenza distintiva in ogni settore. In questo scenario, è molto probabile che nel prendere una decisione si debba accettare una percentuale di rischio, se si vuole innovare. Coloro che non hanno mai fallito sono rimasti immobili nella propria area di comfort, non hanno preso coscienza dei propri errori, trasformandoli in apprendimento. Sono l’estrazione dell’apprendimento dal fallimento e l’integrazione del nuovo sapere a rendere i candidati, che hanno vissuto questo processo, di maggior valore. In B-Motion», conclude Saccarelli, «abbiamo creato un percorso che si chiama “Resilienza”, proprio per allenare il muscolo del coraggio e la capacità di estrarre apprendimento dall’esperienza». Già, perché ammettere l’insuccesso richiede molto coraggio e se gli americani sono bravissimi a sfoggiarlo come una medaglia, sono molti quelli che invece trovano mille scuse per nasconderlo. «Nella mia esperienza», ricorda Massimo Porcarelli, proprietario di J.P. Industries, l’azienda di Fabriano che produce elettrodomestici bianchi a marchio Ardo, «ho incontrato tanti giovani con poco coraggio, pronti a scansare il colpo e dare la colpa dei loro insuccessi a fattori esterni e incontrollabili: la crisi, l’ambiente di lavoro e gli ex colleghi, il capo. Non saper riconoscere l’errore», conclude l’imprenditore, che tre anni fa ha rilevato un ramo d’azienda dal fallimento di Antonio Merloni, «è il primo vero passo falso».

Insomma: ammettere i propri errori al colloquio di assunzione è la cosa migliore che possiate fare. Vale anche per chi è già stato assunto e si trova a dover fare i conti con obiettivi da raggiungere e risultati da portare a casa.«Un consiglio ai giovani? In quanto attori all’interno di un mercato, perdipiù in un momento di forte crisi come l’attuale», suggerisce Pierluigi Sgarabotto, amministratore delegato e Country Manager Italia di Villeroy & Boch Arti della Tavola, «vi troverete a dover centrare obiettivi ed essere efficienti. Non è facile e sono in gioco molti fattori esterni e spesso incontrollabili, ma quando non centrate un target dovete chiedervi prima di tutto il perché, dove avete sbagliato, come fare per recuperare e per raggiungerlo. Quindi, il focus deve spostarsi dall’obiettivo alla performance: fare il massimo per cercare di migliorare. Solo così arrivano i risultati e, in caso contrario, almeno avrete la certezza di aver dato il massimo. Questo è l’unico punto fermo dal quale ripartire, perché le sconfitte insegnano molto più delle vittorie».

HO PRESO UNA CANTONATA E LO CONFESSO… SU LINKEDIN

C’è la neoassunta a Google che propone al gran capo l’dea di Google Drive, ma in maniera così confusa che Larry Page scarta la proposta (per poi ritornarci sopra qualche anno dopo). Oppure Rajat Taneja, oggi vicepresidente di Visa, che da giovane, trovandosi in ascensore con un big boss della Microsoft, non riesce a dire altro se non “hello”, buttando all’aria un’occasione d’oro per farsi notare. Sono solo due delle oltre 60 storie di fallimenti, passi falsi o incidenti di percorso che Ceo e top manager oggi famosi confessano su Linkedin nel gruppo (numerosissimo) My Best Mistake.