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Lavoro

Lavoro e giovani: quegli incentivi inefficaci per la corsa a un posto sottopagato

Prima gli incentivi del Jobs Act, ora gli sgravi contributi per assumere i giovani: ma gli stipendi base sono già calati con la crisi. La colpa? (in parte) delle troppe garanzie dei loro genitori

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Lavoro e giovani, un nodo difficile da districare. Ci ha provato il Jobs Act, ma la decontribuzione triennale ha visto svanire i suoi effetti alla prima riduzione della convenienza. Ora ci riprovano gli sgravi contributivi per l’assunzione degli under 29 (o 32) per due anni: un risparmio totale del 16% per 24 mesi a fronte di un posto di lavoro stabile. Ma funzionerà?

Lavoro e giovani: gli sgravi sono insufficienti e (alla lunga) inefficienti

L’esperienza dice che all’impennata iniziale di contratti segue rapidamente il ritorno alla normalità. O peggio, perché il lavoro dei giovani costa sempre meno. A dirlo sono i dati raccolti da Paolo Pinotti e Fabiano Schivardi in uno studio per l’Inps: dal 1990 al 2012 i cosiddetti salari d’ingresso — le prime buste paga — si sono impoverite progressivamente. Un giovane assunto cinque anni fa costava il 26% in meno rispetto al 1990. Conviene assumere i giovani^ S’, ma nel frattempo la disoccupazione tra i 25 e i 34 anni è raddoppiata toccando un milione di persone. Pochi posti, e sempre meno remunerati. Il problema della scarsa occupazione dei ragazzi non è, quindi, questione di costi. Anche se l’Ocse raccomanda di agire in questo senso. Il primo stipendio di un laureati è passato da 1.300 a mille euro al mese. La colpa? Forse anche delle troppe garanzie dei loro genitori, che appesantiscono con extra costi e tutele sindacali persino eccessive la busta paga dei dipendenti anziani. Anche perché non è la produttività in Italia a far aumentare i salari, ma solo l’anzianità. L’unica possibilità di risparmio è nell’assunzione dei giovani, anche – è dura ammetterlo – perché c’è un costo certo di licenziamento dall’ingresso del Jobs Act. Così i laureati cercano opportunità all’estero portandosi via ogni anno l’1% di pil, mentre chi non lo ha ancora fatto è disincentivato allo studio abbassando ulteriormente il già minimo numero di laureati italiani.