Connettiti con noi

Lavoro

Perché lo smart working non vuol dire solo lavorare da casa

Produttività, autonomia e soprattutto miglior bilanciamento vita-lavoro, senza dimenticare i risparmi: la fotografia dell’Istud

In Italia il numero di grandi imprese che hanno adottato politiche di smart working è passato negli ultimi due anni dall’8% al 30% e sono circa 250 mila i lavoratori dipendenti interessati. L’ultima è stata Ferrero ad annunciare la possibilità per molti dei suoi dipendenti di lavorare un giorno a settimana da casa. Ma lo smart working non vuol dire solo restare tra le mura domestiche col computer acceso, implica una revisione profonda del modo di lavorare nella nostra tradizione occidentale e tayloristica e non va confuso con l’evoluzione del lavoro a distanza o del telelavoro. Lo racconta un sondaggio di Istud – la più antica Business School italiana – elaborato con l’obiettivo di analizzare il sentiment dei manager rispetto allo smart working. I risultati, che vi offriamo in anteprima, saranno presentati nel convegno Smart Working, smart world?, in programma domani 11 aprile presso TIMSpace – Piazza Luigi Einaudi, 4 dalle 17.30.

Alla domanda “Sai cosa si intende per Smart Working?”, il 91% dice di sapere di cosa si tratti, segnale che il termine è entrato largamente nel linguaggio corrente e non è più appannaggio di una ristretta cerchia di specialisti. Per 3 rispondenti su 4, lo smart working rappresenta una modalità di lavoro in grado di migliorare il bilanciamento tra lavoro e vita privata; inoltre offre la possibilità per il 66% di lavorare da casa e per il 60% di avere orari di lavoro flessibili. Emerge dunque un ancoraggio molto forte con l’idea che il lavoro agile possa agire positivamente sul work and life balance individuale e garantire una maggiore autonomia e flessibilità sia nei tempi sia negli spazi della prestazione lavorativa. Infatti, i termini più ricorrenti con cui lo smart working viene associato sono tre: flessibilità (per il 90% dei rispondenti), autonomia (per il 66%) e tecnologia (per il 65%).

Un dato interessante è che oltre a questi aspetti più pratici e più afferenti ad una sfera di tipo comportamentale emergono anche associazioni ad elementi più hard quali il risparmio di costi per chi lo adotta (56,5%), ma anche il risparmio di costi per l’azienda (61,5%), sintomo quest’ultimo di un campione di rispondenti che ha sicuramente dimestichezza con il tema e che ha piena consapevolezza degli effetti positivi che questo nuovo paradigma del lavoro consente di ottenere soprattutto nella direzione di un abbattimento dei costi di gestione, in linea con quanto rilevato da altre ricerche (abbattimento dei costi relativi ai building, diminuzione delle spese generali ascrivibili ai rimborsi o indennità per spese di trasporto o dei tickets per i pasti, abbassamento del turn over e delle assenze per malattia, minori tassi di assenteismo).

LEGGI ANCHE. Smart working, perché sì e perché no

COME FUNZIONA. Più del 36% dei rispondenti ha aderito o sta aderendo a progetti di smart working nella propria azienda, anche questo segnale di una evidente diffusione del fenomeno vuoi per effetto delle sempre più numerose iniziative di sensibilizzazione attivate da Pubbliche Amministrazioni locali e da enti ed associazioni di imprese sul territorio, vuoi anche per i cambiamenti in atto a livello giuridico (il Disegno di legge è appena stato approvato dalla Camera). Alla domanda “Come e su quali aspetti ha inciso lo Smart Working?” la maggioranza del campione non ha rilevato nessun cambiamento né in positivo né in negativo rispetto ai rapporti con i diversi interlocutori aziendali (siano essi collaboratori, clienti, capi o colleghi): il lato relazionale dunque non sembra essere compromesso.

Da segnalare invece cambiamenti in direzione di netto miglioramento rispetto a diverse variabili: in un range di valori cha va da 1 (forte peggioramento) a 5 (forte miglioramento), il rapporto con i familiari e con la sfera privata in generale ha ottenuto una media di punteggio di 4,17; la produttività una media di 4,10 e la capacità di proporre innovazione (una media di 3,63). Ricadute molto positive dunque sulla qualità della vita personale ma non solo: chi adotta il lavoro agile si percepisce come più produttivo e aperto all’innovazione.

I CAPI. Ma chi è il capo ideale e chi il candidato smart worker ideale? Due sono le caratteristiche che, secondo il campione della survey, dovrebbe avere un capo per implementare in modo efficace lo smart working per le sue risorse: da un lato, la chiarezza nel fissare obiettivi e responsabilità, item che viene scelto da una percentuale altissima di rispondenti (il 93%). Dall’altro lato, la capacità di generare un alto coinvolgimento delle risorse gestite (82%). Al capo si chiede quindi di essere in grado di responsabilizzare i propri collaboratori facendo leva su un sistema di valutazione della prestazione lavorativa legato al raggiungimento effettivo degli obiettivi sulla base di risultati attesi e parallelamente di favorire un forte commitment delle persone. La competenza e la dimestichezza con l’utilizzo delle tecnologie digitali non sembrano essere prerequisiti fondamentali così come la bassa attenzione alla dimensione del controllo.

Per quanto riguarda invece le caratteristiche che dovrebbe avere un dipendente per lavorare con efficacia attraverso lo smart working emergono la capacità di lavorare in autonomia (86,7%) e di saper gestire il proprio tempo (82,2) ma anche la passione e la motivazione per il proprio lavoro (76,8%). In altre parole, per essere efficace il lavoro agile deve essere adottato da chi ha attitudini di autonomia e capacità di time management. Ma questo non basta: occorre anche essere motivati dalla passione verso il proprio lavoro.

LEGGI ANCHE: Le 100 migliori aziende per lo smart working

FORMAZIONE. «Lo smart working è un fenomeno in rapidissimo sviluppo che sta prendendo sempre più spazio nelle imprese», dice Marella Caramazza, direttore Generale Istud. I dati sono ottimistici ma vanno capite le implicazioni di lungo periodo sulla “tenuta” dell’organizzazione. Lo stare insieme fisicamente genera coesione e non va del tutto sostituito. «E’ necessario, in questa fase di cambiamento profondo, fare cultura e formazione rispetto al lavoro agile, andando oltre la visione strettamente tecnologica o giuslavoristica e elaborando nuovi modelli di leadership basati su fiducia, obiettivi comuni e collaborazione».

L’ultima domanda della survey si è posta l’obiettivo di raccogliere in modo libero idee e proposte per migliorare l’utilizzo e l’efficacia dello smart working. Quattro sono i nuclei concettuali più menzionati:

  • gradualità e sperimentazione: molti rispondenti chiedono alla propria azienda di offrire la possibilità di lavorare in modo agile attraverso progetti pilota (ad esempio, 1 giorno a settimana) in modo da favorire un processo graduale di implementazione

  • monitoraggio dell’introduzione del nuovo modello organizzativo del lavoro, con focus prioritario sulla definizione degli obiettivi e valutazione dell’efficienza e dell’efficacia del personale

  • dispositivi tecnologici per essere connessi e per poter accedere ai dati aziendali da remoto: non si fa cenno a strumenti avanzati ma a telefoni, tablet, pc

  • sensibilizzazione e formazione per sviluppare una rivoluzione culturale ed abbattere le barriere del presenzialismo e del controllo facendo leva sia sul cambiamento degli stili di leadership dei manager (“i capi devono imparare a essere meno direttivi, a dare autonomia e fiducia alle proprie risorse”) sia sul cambiamento delle modalità di lavoro dei collaboratori (“lavorare non più per task ma per obiettivi gestendo con intelligenza il proprio tempo”).