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Lavoro

Tutto quello che i manager non devono dire

Come deve parlare un manager per essere chiaro e comprensibile, ma soprattutto per apparire credibile agli occhi del suo team? Ecco alcuni consigli

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Tutto quello che i manager non devono dire. Fioccano i manuali su come parlare in azienda e come evitare l’ “aziendalese”, ma poi sappiamo che le bad practice non mancano nella vita di tutti i giorni. Ecco allora alcuni “non” consigli pratici dal Financial Times per i manager. Perché l’obiettivo di ogni buon dirigente è essere chiaro e comprensibile, ma prima di tutto apparire credibile per il suo team. Ecco quindi i comportamenti da evitare:

Tutto quello che i manager non devono dire: non usate mai una parola corta

L’errore più grave che si può fare nella comunicazione è complicare la conversazione. La cosa interessante sul confondere/complicare le cose è data dal fatto che lo si può fare con un paio di parole appena. L’esempio fornito è quello del titolo di un rapporto della Federal Reserve del 2005: Robustifying Learnability, cioè più o meno “Irrobustire l’apprendibilità. Eh?

Usate gli eufemismi di tutti i giorni

Nascondersi dietro i paroloni è respingente per i clienti. Nel bel mezzo dei suoi guai, Uber si è scusata per aver «sotto-investito nell’esperienza degli autisti» finendo così in «in deficit reputazionale». Addirittura, EY qualche anno fa per annunciare un consistente taglio dei soci comunicò di non vedere «l’ora di rafforzare la nostra rete di ex».

Non tenete conto della grammatica

L’aziendalese tende a fare a meno della grammatica per piegarne le regole a proprio vantaggio: tutti i nomi possono diventare verbi e viceversa. Qualche esempio traslato dall’inglese? Freddare l’asciugamano; toccare base globale; sforzare; attenzionare; potenziare; futurizzare; aggiungere valore; buonizzare bene.

L’emozione non è mai troppa

Enfasi, enfasi, enfasi. Da Irene Rosenfeld di Kraft definita la «Ceo della Gioia» a John Cahill, Ceo globale di McCann Health, che annunciava: «Raddoppiare la nostra umanità è la magia con la quale ottenere risultati migliori». Quando si tratta di aumentare l’emozione, non c’è limite alla vergogna. Anche perché, come aveva riportato lo stesso Financial Times, un giovane dipendente di Estée Lauder aveva sostenuto poco tempo fa che: «La leadership di più alto grado è rimasta estatica nei confronti del livello di ideazione scaturito da quella sessione».

Se producete qualcosa di semplice, dategli un marchio che confonda

Da Toyota che ha ribattezzato l’automobile una «soluzione sostenibile per la mobilità» ad Amazon che ha definito il libro un «contenitore di letture» fino a Speedo per cui la cuffia di nuoto è diventata un «sistema per la gestione dei capelli».

Non limitatevi alle parole che esistono

Create le vostre parole, unendone due o più di quelle che già esistono. Il caso più esemplare è quello di Eversheds, uno studio legale malmesso che nel 2007 ha cercato di attirare giovani reclute con una ricerca di personale per “knowlivators”(sapienti innovatori), “performibutors” (collaboratori performanti), “proactilopers” (proattivi sviluppatori), “prioricators” (comunicatori di priorità) e “winnomats”: quest’ultimo è una combinazione particolarmente infelice tra vincitori e diplomatici.

Non ci sono mai troppe metafore nella stessa frase

«Saltando da un servizio a un altro con un click, di fatto pensiamo a corsie multiple di opportunità nel business», parole e fantasia di Rick Hamada, Ceo di Avnet.

Ultima regola: ignorate la prima!

Dovete utilizzare parole brevi e ben conosciute, ma il trucco sta nell’utilizzarle per indicare qualcosa di diverso dalla norma. La parola chiave è “play”. Sulle labbra di chi dice fesserie, “play” non significa giocare. Significa lavorare.