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Lifestyle

Il futuro è adesso

Entro cinque anni la distinzione tra reale e virtuale sarà ormai superata. I marchi di moda, compresi quelli del lusso, stanno già sperimentando avveniristiche tecnologie per regalare una customer experience tutta nuova. Che non mira solo all’intrattenimento

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Immaginate megaschermi che reagiscono in tempo reale al vostro passaggio, pareti touchscreen con le quali interagire per cercare informazioni o che addirittura vi aiutano nel percorso di acquisto al posto di assistenti in carne e ossa, o ancora vetrine dalle quali personaggi più o meno reali si muovono al ritmo di musica per richiamare la vostra attenzione e specchi che vi consigliano i modelli e le taglie più adatte alla vostra fisicità. Vi sembra di essere approdati nel futuristico mondo dei Pronipoti (The Jetsons) creato da Hanna-Barbera o nella più inquietante realtà vissuta da Tom Cruise nel film Minority Report? Macché, potete vivere tutto questo già oggi, negli store dei negozi di moda, che stanno sperimentando al massimo le possibilità offerte dalle nuove tecnologie per rendere indimenticabile la shopping experience dei loro clienti, senza dimenticare il vero obiettivo finale: le vendite. Lo ha messo bene in luce la recente ricerca Retail Reloaded – Tecnologia, customer experience e store performance nel retail moda, condotta dalla divisione ricerche Claudio Dematté della Sda Bocconi e commissionata da Retail Immersion.«Ci aspettavamo di rilevare una certa consapevolezza sul tema, ma non fino a questo punto», spiega a Business People Francesca Romana Rinaldi, docente del Knowledge Center Luxury&Fashion Sda Bocconi, autrice dell’indagine. «Tutte le aziende intervistate erano pienamente consapevoli della direzione da seguire, ossia mettere al centro il consumatore. Il che non implica perdere di vista la propria brand identity, ma ascoltare maggiormente l’acquirente e cercare di guidarlo attraverso i diversi media e, sempre di più, i diversi canali disponibili». Se, infatti, solo fino a qualche anno fa le aziende che parlavano di multicanalità rappresentavano una piccola nicchia del mercato, oggi quasi tutte stanno sperimentando e puntando su progetti di questo tipo. Da qui l’evidenza che per parlare di customer experience non ci si può più limitare a guardare agli store – peraltro interessati da cambiamenti molto evidenti – ma bisogna imporsi di prendere in considerazione l’esperienza d’acquisto su una pluralità di canali. «Non si può più prescindere da un’esperienza sempre più fluida», aggiunge Rinaldi. «Mettere al centro il consumatore significa anche lasciarlo libero di acquistare dove, come e quando preferisce».

TUTTA COLPA DELL’ECOMMERCE?Del resto, il consumatore in questione non è più lo stesso di qualche anno fa. Merito, o colpa, anche dell’on line. «Questo nuovo canale ha dato una spinta al cambiamento, ma allo stesso tempo anche il consumatore ha dato una spinta all’ecommerce. Diciamo che si sono influenzati a vicenda», spiega Rinaldi, «ma tutto è partito probabilmente dalle esigenze degli utenti». Utenti che nell’ultimo anno (da ottobre 2012 a ottobre 2013) sono aumentati del 14,5% – oltre un milione di persone – nel solo settore moda, stando all’indagine condotta da Human Highway per il Consorzio del commercio elettronico italiano (Netcomm). «Molti brand hanno accennato a quello che viene chiamato effetto showrooming – ossia l’abitudine, sempre più frequente, di recarsi nel punto vendita per toccare con mano il prodotto per poi acquistarlo on line, spesso a prezzo inferiore – ma per la prima volta non lo stanno vivendo in modo negativo », aggiunge. Forse perché hanno finalmente capito in quale direzione andrà il futuro e come affrontarlo. Perché, tanto per cominciare, l’ecommerce non è certamente destinato a sostituire il retail, ma potrà indicativamente arrivare ad attestarsi sul 10-15% del mercato, salvo alcune eccezioni. Da qui l’esigenza di rendere gli store multiformi, in continuo movimento, un punto d’incontro tra i vantaggi dell’on line e quelli del punto vendita, ben spiegati da Roberto Liscia, presidente Netcomm: «Si preferisce comprare sulla Rete perché il catalogo è più ampio, per una maggiore convenienza e perché si trova sempre quel che si desidera. Sul canale tradizionale si cerca ancora assistenza e servizio al cliente, a dimostrazione di come proprio nell’integrazione multicanale i brand del fashion possano trovare la vera ricetta per competere». Meglio allora sfruttare tutti gli strumenti a disposizione.

OLTRE L’EFFETTO WOWPer farlo, e bene, servono ovviamente le competenze giuste, quindi figure manageriali in grado di gestire la multicanalità. Non a caso negli Stati Uniti sta nascendo il ruolo del Multichannel Manager. «In Italia ci troviamo ancora nella fase del “work in progress”, ma ci arriveremo», commenta la professoressa Rinaldi. «Alcune aziende di dimensioni medio-piccole contemplano per necessità una figura che riunisce le competenze del Retail Manager e dell’Ecommerce Manager, mentre in quelle più grandi per ora troviamo ancora ruoli separati per gestire on line e off line, ma sicuramente in un futuro non troppo lontano nasceranno nuovi ruoli per garantire una visione integrata ». Di quanto tempo parliamo? Quando le dotazioni hi tech cui accennavamo in apertura diverranno la normalità? «Credo sia questione di pochi anni, non più di cinque», si sbilancia la nostra interlocutrice. «Mi permetto di dirlo perché nel corso della ricerca è emerso chiaramente che le aziende del fashion si stanno muovendo rapidamente nell’utilizzo della tecnologia». E non lo stanno facendo solo in un’ottica di “retailtainment”, quindi di intrattenimento del cliente, ma soprattutto con l’intenzione di offrire un servizio personalizzato. Non puntano solo sullo Wow effect, ma a educare e intrattenere il cliente, farlo sentire parte di una community e in più tracciarlo a sistema in vista di un engagement futuro.

LO SHOP SI FA IBRIDOMa quale modo migliore, per farsi un’idea del futuro che ci aspetta, di fare degli esempi? Diversi marchi si sono, infatti, già distinti per come stanno lavorando all’interno dei loro punti vendita. Così Pinko ha lanciato l’hybrid shop, nuova formula che integra le modalità di acquisto in store con quelle on line. L’esposizione su manichino favorisce la visione di interi outfit indossati, mentre una serie di schermi digitali espande lo spazio della boutique rendendo possibile esplorare, attraverso immagini e rendering, l’intera collezione, per scoprire varianti, accessori, pezzi da abbinare, non necessariamente presenti in negozio, ma disponibili nel magazzino centrale, che quindi il cliente potrà ricevere in un paio di giorni direttamente a casa o, se preferisce, in store. Una formula che gioca sicuramente sul fattore emozionale e l’interattività, ma allo stesso tempo tiene d’occhio i risultati concreti: «L’hybrid shop arricchisce l’esperienza dello shopping di contenuti inediti, consentendo una frequente rotazione del prodotto, che gratifica e attrae il cliente finale senza che questo incida sul budget complessivo di ciascun punto vendita», ha spiegato Pietro Negra, presidente e fondatore di Pinko: «L’integrazione tra reale e virtuale è il punto chiave: è su questo campo che a nostro avviso si gioca il futuro del retail». L’obiettivo è, quindi, ridurre gli investimenti necessari per il magazzino e incrementare allo stesso tempo le vendite. La prova del nove è ormai vicina: le potenzialità del sistema verranno alla luce nell’hybrid shop di Milano con la collezione primavera/estate di quest’anno.

APPROFONDIMENTI

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Miniguida tecnologica

LUSSO FA RIMA CON TECNOLOGIASe poi siete convinti che griffe e artigianalità non possano andare d’accordo con l’hi tech, ci pensa Burberry a farvi ricredere. «È stata l’azienda che ha sfatato lo stereotipo secondo il quale lusso e tecnologia non potrebbero convivere», osserva la professoressa Rinaldi. E lo ha fatto puntando molto su interazione e personalizzazione. Maxischermi, corner animati, magic mirror, virtual assistant hanno fatto la loro comparsa nei negozi, in diversi casi utilizzati anche come spazi per eventi, e gli assistenti alla vendita sono stati dotati di iPad. «Quello che dovremmo chiarire», aggiunge, «è che la tecnologia non andrà a sostituire il contatto umano, ma verrà sempre più utilizzata come strumento per facilitare l’interazione con il consumatore e offrirgli un servizio. Così l’iPad in mano agli addetti dello store può servire per sfogliare insieme il catalogo, piuttosto che per personalizzare il capo, e così via». L’anno scorso per le sfilate della collezione femminile autunno/inverno, è stata anche introdotta la Smart personalisation: i capi acquistati attraverso il nuovo servizio Runway made to order, sul sito burberry.com o ancora su appuntamento in alcuni negozi selezionati, permettevano di accedere a esperienze digitali su misura per il cliente. Borse e cappotti sono stati dotati di una tecnologia che, a contatto con un device touchscreen, rimanda a un video sulla produzione artigianale del prodotto, già a partire dai primi schizzi.Del resto Burberry non è certo solo. An­che Gucci sta puntando molto sulle do­tazioni hi tech. Già a settembre 2011 ha lanciato, nella sua boutique di via Montenapoleone a Milano, la Gucci immersive retail experience, sempre più evoluta con il passare degli anni. Cir­ca 50 wall display lcd ad altissima riso­luzione sono disposti, quasi a formare un’unica superficie, lungo le pareti del negozio e proiettano immagini interat­tive a grandezza naturale, che possono essere guidate da semplici gesti della mano anche dai clienti. Sono, inoltre, disponibili tablet dotati dell’app Virtual catalogue con la quale interagire con le colonne video e visualizzare i look a 360 gradi. Ma non finisce qui, tra le “meraviglie” del negozio anche scher­mi sulle scale che conducono al primo piano, in grado di reagire in tempo rea­le al passaggio del cliente, e, al secon­do livello, il Videowall kid’s, dove i più piccoli possono divertirsi vedendo l’or­setto Gucci (simbolo delle collezioni bambino) muoversi seguendo le sonori­tà e i ritmi creati da loro».

SEMPRE PIÙ DIGITALNon vi basta? Allora scarica­te Amble, l’app per «Vedere il mondo attraverso gli occhi di Louis Vuitton», come invi­ta lo storico marchio del gruppo Lvmh, distintosi negli ultimi anni per la con­tinua fusione di linguaggi tra lo store, il visual merchandising e la comunica­zione con strategie on line e off line. È nata così anche Louis Vuitton art of pa­cking, un modo diverso per racconta­re i valori del brand a partire dalla ne­cessità di preparare “ad arte” la va­ligia: un semplice video tutorial illu­stra come piegare le camicie per evita­re che si sgualciscano e come sistema­re gli oggetti nel proprio trolley (firma­to LV ovviamente).Tra le best practice anche Sunglass Hut (Luxottica) fresca dell’apertura del suo store più tecnologico a Times Square dove, grazie alla macchina Eye Candy, è possibile acquistare occhiali da sole a qualsiasi ora del giorno e della notte. Dopo averli provati virtualmente gra­zie al sistema touch screen, natural­mente. Oppure visitare il Sunglass bar, uno spazio sociale interattivo in cui è possibile provare gli occhiali, acqui­starli sul sito sunglasshut.com e con­dividere foto. O ancora, volando a Pa­rigi, nel flagship store Piquadro di Rue Saint Honoré troverete il nuovo siste­ma Virtual shelf: un’app per iPhone vi permetterà di interagire con il prodot­to e visualizzare su un videowall l’in­tero catalogo e una grande quantità di video aggiuntivi. Uno strumento che il personale di vendita può sfruttare per mostrare close up su dettagli e i mate­riali, varianti di colore, test di qualità e possibili abbinamenti.Insomma, l’elenco potrebbe essere davvero lunghissimo, ma il concetto di base è sempre lo stesso. Per il retail del futuro le parole chiave sono multica­nalità e centralità del cliente. E il futu­ro, almeno nella moda, è adesso.

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Lo store Burberry in Regent Street a Londra, tra le altre cose, fa ampio e buon uso del digital signage, ossia di schermi di grandissime dimensioni sfruttati per veicolare contenuti multimediali e creare un ambiente immersivo. La casa di moda britannica ha sfatato lo stereotipo secondo il quale lusso e tecnologia sarebbero antitetici