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Lifestyle

Donne e golf, quando il green è rosa

Benché ancora sottotono rispetto al grande seguito riscosso in campo maschile, il movimento femminile raccoglie sempre più consensi, grazie anche alla qualità di gioco espressa dalle sue migliori atlete

Agli appassionati di golf non sfugge nulla per quanto riguarda risultati, momenti di gloria e appannamento di questo o quel campione. Non si può dire altrettanto per le campionesse. Un vero peccato se si pensa a qualità e intensità che le competizioni delle proette esprimono. Il parallelo più facile sarebbe quello con il mondo del tennis, che però negli ultimi 15 anni si è accreditato come sport di elevati contenuti tecnici e spettacolari anche nel Tour femminile (lo confermano i premi dei tornei più importanti, equivalenti tra uomini e donne). Il golf, invece, fatica. Basti pensare che Lydia Ko, vincitrice della Race to Cme Globe, l’equivalente della Fedex Cup, ha sì raccolto la ragguardevole cifra di un milione di dollari, che però viene oscurata dai 10 milioni di Jordan Spieth. Conosciamo allora meglio il mondo del golf in rosa con alcune notizie interessanti e, soprattutto, con l’intervento di alcune sue rappresentanti che, con ruoli diversi, vivono questo sport.

QUALCOSA SI MUOVESe l rapporto di uno a dieci evidenzia il gap, ma negli ultimi anni la crescita dell’interesse delle donne per il golf è stato indicato da più parti come una delle poche note positive per uno sport che non sta vivendo una fase particolarmente brillante. Una tendenza registrata non solo di quelle aree in cui il green è cresciuto con l’economia in generale e grazie a giocatrici che, in breve tempo, hanno quasi monopolizzato la scena – come Yani Tseng (Taiwan), Na Yeon Choi e Inbee Park (Corea del Sud), Shan Shan Feng (prima giocatrice cinese membro della Lpga e vincitrice di un Major) – costituendo un fortissimo traino per le loro connazionali, ma anche in altre aree in cui la risposta è arrivata, per esempio, con le americane Stacy Lewis, Lexi Thompson e Paula Creamer (solo per citarne alcune), che hanno evidenziato come per i pro il veloce processo di ringiovanimento delle protagoniste, su cui svetta Lydia Ko, neozelandese di origine coreana, che a 17 anni e 9 mesi è diventata la numero uno del mondo. Un aspetto, quello dell’età delle protagoniste, decisivo per avvicinare le ragazze al golf, a volte ancora visto come troppo tradizionale.

LA CAMPIONESSA (Giulia Sergas)

LA PROMESSA (Virginia Elena Carta)

L’APPASSIONATA (Emanuela Soffientini)

Un punto interessante è che la crescita della presenza di golfiste incide anche sulla realtà dei circoli e del gioco amatoriale. Chi gestisce un club e intende svilupparlo sempre di più, infatti, deve valutare come rendere il proprio circolo in linea anche con le esigenze del pubblico femminile. A partire dai percorsi, storicamente disegnati e progettati per giocatori uomini, fino a tenere in considerazione, solo per citare alcuni spunti, il gusto femminile nell’arredamento degli spazi interni, l’opportunità di soluzioni di accoglienza per il nucleo famigliare nel suo complesso o un più ampio e dedicato assortimento tecnico e di abbigliamento dei pro shop (ora più orientato all’universo maschile). Ne è una prova il fatto che dal 2014, con una votazione quasi plebiscitaria, anche il Royal and Ancient Club di Saint Andrews abbia aperto le porte della “membership” alle giocatrici, che possono ora diventare socie del più storico e prestigioso Golf Club. Un onore a loro precluso negli scorsi 260 anni.

UN PO’ DI STORIANonostante la moda dell’800 e del primo ‘900 non fosse proprio l’ideale per lo swing, alle origini del golf moderno non mancavano giocatrici donne. Sono datate 1893 sia la nascita della Ladies Golf Union tra giocatrici dilettanti di Gran Bretagna e Irlanda, sia il primo Ladies’ British Amateur Championship, giocato al Royal Lytham and St. Anne’s. Altra pietra miliare è la costituzione della Ladies Pga of America (1950), organizzazione di giocatrici professioniste. In Europa il golf femminile professionistico ha invece tradizioni più recenti. È, infatti, della fine degli anni ’70 la prima organizzazione di giocatrici pro in Gran Bretagna, che solo un decennio si è evoluta in una versione europea con, in parallelo, la creazione del circuito di gare che dal 2000 ha acquisito la denominazione attuale di Ladies European Tour (Let). Anche le giocatrici, poi, hanno i loro “Major”, alcuni nati già con questo status altri che lo sono diventati per meriti. Dal 1950 lo Us Open, dal 1955 lo Us Pga Championship, dal 1979 il British Open segnano la stagione affiancati, a partire dal 1983, dal quarto Major e dall’Evian Masters, considerato il quinto dal 2013. È nata invece nel 1990 la sfida Usa vs Europa, la Solheim Cup, in stile Ryder Cup (avanti gli Usa 9 a 5).

E QUALCHE NUMEROSe tra gli uomini il rapporto tra Tour americano ed europeo nel montepremi totale è nell’ordine di due a uno (oltre 320 milioni di dollari contro circa 185), tra le donne il gap è ancora più ampio, per numero di tornei in stagione, 30 in Usa una ventina in Europa, e per rapporto tra montepremi che si aggira sul quattro a uno. Il Lpga Tour genera comunque un interesse notevole a livello di pubblico, di audience televisiva, di sponsor. Lo conferma la numero uno Lydia Ko con i suoi oltre 2,8 milioni di dollari di guadagni nel 2015 rispetto ai circa 350 mila della top europea.

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