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Sport

Ryder Cup 2016: la guerra dei mondi

Torna lo scontro tra Usa ed Europa nel più importante torneo di golf al mondo: le ultime edizioni hanno segnato il declino del movimento statunitense, ma il freddo del Minnesota può rovesciare i valori in campo

La scelta dell’Hazeltine National Golf Club a Chaska, nel Minnesota, come sede 2016 della Ryder Cup risale al 2002, ovvero quando gli americani non pensavano ancora di dover affrontare uno dei periodi più asfittici in termini di risultati. Tuttavia, oggi quella decisione ha l’apparenza di un tentativo estremo di invertire un andamento che nelle ultime edizioni è sembrato ineluttabilmente segnato. Il difficile percorso di Hazeltine e la stessa location nel freddo Upper Midwest sono la tana ideale dove il team Usa intende attirare e sconfiggere la squadra europea.Ma come in più occasioni hanno dimostrato, i “nostri” riescono a produrre prestazioni e rendimenti che vanno ben oltre il valore dei singoli campioni quando in palio c’è il trofeo a squadre più importante nel panorama golfistico mondiale, con una tradizione lunga ormai quasi 90 anni. La prima edizione, infatti, fu promossa nel 1927 dal mercante di spezie inglese Samuel Ryder.

Spirito Comune

In tempi di Brexit, parlare di una squadra dell’Europa, unita attorno ai valori di appartenenza al Vecchio Continente, potrebbe apparire un po’ intempestivo. E invece è proprio lo sport a offrire una prospettiva trasversale che permette di cogliere alcuni valori che accomunano i “vicini di casa”. In questo, la Ryder Cup ha saputo rappresentare, spesso in modo per molti del tutto inatteso vista la natura intrinseca del gioco, la migliore dimostrazione di come l’unione delle caratteristiche di tanti esponenti di Paesi così diversi, anche dal punto di vista di scuola golfistica, possa consentire il raggiungimento di risultati incredibili: basti ricordare l’incredibile rimonta di Medinah, con l’Europa sommersa dopo le prime due giornate ma poi capace, in trasferta e contro ogni pronostico, di rimontare negli scontri diretti della terza giornata e conservare il trofeo.L’edizione 2016, la 41esima della storia, si presenta come uno degli eventi sportivi più mediatici dell’anno. Per dare una dimensione dell’attesa, sulla base dei biglietti venduti – sold out ormai da tempo – sono attesi più di 250 mila spettatori a bordo percorso. A questi va aggiunto l’audience televisiva che raccoglie l’appuntamento biennale: parliamo di centinaia di milioni di tifosi, un termine utilizzato non a caso. Solo la Ryder Cup, infatti, riesce a esprimere il potenziale unificante che il golf “a squadra” riesce a sprigionare sia in campo sia tra chi assiste. Le scene di attaccamento alla causa rimarranno tra i momenti di più puro e genuino spirito sportivo, in particolare per noi quelle che hanno visto protagonisti i campioni italiani: Costantino Rocca in primis, poi seguito da Francesco ed Edoardo Molinari.

Forse non tutti sanno che fu Jack Nicklaus a proporre di modificare la composizione della squadra antagonista di quella Usa. Fino al 1979, infatti, a contrapporsi agli Stati Uniti erano stati solo giocatori britannici, affiancati poi dagli irlandesi. E per 50 anni la competizione fu dominata dal team a stelle e strisce. Intuendo il potenziale della Ryder Cup, a patto che lo score non fosse quasi sempre già scritto, fu “L’orso d’oro” a suggerire che l’Europa proponesse una squadra “unita”. Il risultato? Dal 1979 a oggi, la situazione si è ribaltata con l’Europa in netto vantaggio nelle vittorie, grazie anche al dominio delle ultime tre edizioni. E nel frattempo l’interesse nei confronti dell’evento è cresciuto in maniera esponenziale su entrambe le coste dell’Atlantico.

Grande inverno

Tornando all’edizione di quest’anno, l’appuntamento è dal 30 settembre al 2 ottobre appunto a Chaska, in Minnesota. Luoghi che forse solo in qualche film on the road finirebbero sullo schermo, e sicuramente meno note di altre località Usa. Ma non quando si tratta di 18 buche. Proprio grazie alla prossima Ryder Cup, infatti, l’Hazeltine Golf Club entrerà nel ristrettissimo novero di campi – ce n’è solo un altro, il numero due di Pinehurst – che si possono fregiare di essere stati sede di tutti i più importanti eventi golfistici sul suolo americano: Us Open, Pga Championship, Us Senior Open, Us Women’s Open e Us Amateur. Un palmares garanzia di qualità assoluta.Se il percorso costituirà una sfida impegnativa, proponendo difficoltà e insidie distribuite tra gli alberi secolari, le ondulazioni che favoriscono le distanze ma anche la perdita di controllo del punto di arrivo della pallina, incantevoli laghetti che si trasformano in implacabili “raccoglitori” di colpi azzardati o timorosi, un elemento che giocherà un ruolo non trascurabile sarà il clima. L’inverno da queste parti è decisamente intenso, e se dovesse arrivare in anticipo potrebbe stravolgere le condizioni del campo e di gioco. Mettere in conto forti escursioni termiche nell’arco della stessa giornata sarà indispensabile: giocatori, capitani e spettatori dovranno, pena malanni quanto mai inopportuni, avere al seguito indumenti per ogni evenienza e dovranno essere pronti ad adeguare il proprio stile di gioco.Disegnato da Robert Trent Jones, il percorso apre le 18 buche al gioco nel 1962. Come buona parte dei campi di maggior prestigio, ha affrontato negli anni vari lavori di aggiornamento che ne mantengono il tasso di difficoltà e modernità, in linea con quanto il golf professionistico richiede. Par 72 di quasi 7 mila metri, presenta un’ampia varietà di tipi di buche alternando dogleg e ostacoli, buche lunghe e altre in cui è richiesta una più spiccata sagacia tattica. I green, poi, confermano il detto che recita “il putting è un vero gioco nel gioco”: non solo appaiono molto protetti da bunker e ostacoli naturali, ma propongono ondulazioni e disegno che rendono la lettura delle linee quanto mai impegnativa. Senza dimenticare il vento, che potrà rendere la sfida difficile e rovesciare le condizioni da un giorno all’altro, per non dire dalla mattina al pomeriggio.

Protagonisti e assenti

Certo, stavolta al team Europe mancherà la sua punta di diamante: Ian Poulter, inglese, già vincitore dell’Open d’Italia. È senza alcun dubbio colui che, oltre ai risultati in campo – ha uno score di partecipazioni e punti guadagnati è al limite del record, 12 vittorie e 2 pareggi nei 18 match disputati – ha orientato le sorti degli ultimi confronti con carattere, passione e determinazione. Stavolta resterà a guardare per un infortunio. Il nostro capitano, Darren Clarke, ha voluto comunque portarlo con sé come talismano e motivatore: lo ha aggregato allo staff dei suoi vice con Thomas Biorn, Padraig Harrington, Paul Lawrie. Un gruppo che tra major, tornei di livello mondiale e partecipazioni alla Ryder Cup (16) conta alcune decine di eventi vittoriosi. Esperienza e carisma, dunque, in panchina certamente non mancheranno.Al di là dei nomi, non ancora definiti, è interessante saper che i criteri di selezione dei 24 giocatori sono diversi tra le due formazioni. A partire dalle cosiddette “scelte dei capitani”, cioè la possibilità di convocare in modo diretto alcuni giocatori, sulla base di valutazioni personali: per il coach Usa Davis Love III saranno quattro, mentre tre saranno appannaggio di Clarke. Gli altri saranno scelti in base ai ranking mondiale, europeo e Pga (gli americani). Una curiosità. Dopo l’“ennesima” sconfitta (2014), il team statunitense ha costituito una task force composta da giocatori, ex capitani e tecnici per analizzare la situazione e definire criteri di selezione e di costruzione della squadra in tutte le sue componenti.

Credits Images:

I due leader nei rispettivi ranking: l’americano Dustin Johnson e, a destra, il britannico Rory McIlroy © Getty Images (2)