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Gusto

God save the whisky

Dalle Highlands scozzesi ai pascoli d’Irlanda, dal Kentucky al Tennessee fino al Sol levante, nelle più rinomate distillerie del mondo vengono tramandati riti secolari della lavorazione artigianale, i cui segreti sono ancora trasmessi di padre in figlio. Etichette blasonate e altre ormai (quasi) introvabili fanno di alcune varietà gioielli pregiati ed esclusivi

Slàinte Mhath! Alla tua salute. È con questa esclamazione in gaelico che ancora oggi, in Scozia, considerata la patria del whisky per eccellenza, si propone un brindisi speciale. I più esperti intenditori e appassionati del nobile distillato lo sanno bene: cin-cin benaugurali a base di scuri e corposi Scotch d’annata sono considerati i migliori per suggellare i momenti più importanti della propria vita o carriera, da un ritrovo tra vecchi amici alla conclusione di un buon affare. E questo non solo per una questione di gusto e olfatto, ma anche, e soprattutto, per i valori veicolati dalle principali etichette diffuse nel mondo, sinonimo, queste ultime, di riti e tradizioni secolari, tramandati di generazione in generazione; di lavorazioni artigianali di pregio; di sacrificio e pazienza per le lunghe attese dei processi di fabbricazione. Senza dimenticare le storie avventurose e pionieristiche che si celano dietro famose distillerie, e la ricca cultura dei territori di appartenenza cui queste sono indissolubilmente legate.

Lo spiega chiaramente Dennis Malcolm, scozzese, classe 1946, con 50 anni di esperienza professionale alle spalle, trascorsi tutti in Glen Grant, il celebre brand di Rothes, nello Speyside (dal 2006 nel portfolio del Gruppo Campari): «Il segreto di un’ottima produzione?», afferma il Master Distiller. «Un mix di abilità e talento trasmesso di padre in figlio, continuare a selezionare e controllare personalmente le materie prime, e maturazione nelle migliori botti in rovere prima di procedere all’imbottigliamento. Nella nostra azienda amiamo pensare che, rispettando il passato, proteggiamo il futuro che verrà».

DI CEREALE IN CEREALE

SINGLE MALT. Prodotto esclusivamente con malto d’orzo e proveniente da un’unica distilleria (rigorosamente scozzese) Blended: miscela di single malt e grain whisky– BLENDED MALT WHISKY. Formati da un mix di due o più single malt, provenienti da diverse distillerie (un tempo noti come vatted malt) GRAIN WHISKY. Può contenere cereali di diverso tipo rispetto al malto, come grano, frumento, segale (se è composto solo da quest’ultima, è rye whisky), ed è distillato in alambicchi continui.

Ma il whisky è anche simbolo di prestigio e potere: chiedetelo, in primis, ai britannici A iniziare dal Principe Carlo, il cui single malt preferito sembra essere il Laphroaig invecchiato di 15 anni, e a cui Sua Altezza ha conferito l’alta onorificenza di Royal Warrant, riservata alle eccellenti attività commerciali in Uk. Vi ricordate l’incontro avvenuto la scorsa primavera tra la regina Elisabetta II e Papa Bergoglio? Tra i doni portati al Pontefice, Her Majesty si è premurata che non mancassero delle pregiatissime bottiglie provenienti dalle sue tenute reali di Balmoral. E poi, ancora, orgoglio patriottico, senso di appartenenza a una comunità, calore familiare e nostalgico rimpianto del buon tempo andato: ecco cosa si può respirare, e bere, in un dram di whisky. Sarà stato per questo che – spostandoci nella vicina Irlanda – in Gente di Dublino James Joyce parlava di un «piacevole preludio regalato da una lieve musica che scivola nel bicchiere»…

ORIGINI CONTROVERSE. Fin dal Medioevo, la paternità del nobile distillato – il cui nome deriva dalla traduzione gaelica della parola latina “acqua vitae”, “uisge beatha” – viene contesa proprio tra le Highlands brumose e i verdi pascoli dell’Isola Smeralda. È, infatti, probabile che già tra il 1100 e il 1200 d.C. i monaci delle montagne a nord del Regno Unito conoscessero qualche tecnica di distillazione, peraltro appresa per caso (secondo la leggenda, facendo bollire della birra d’erica andata a male!), sebbene la prima menzione ufficiale in Scozia non sia comparsa prima del 1494.

Per contro, i sostenitori dell’Irish Whiskey ritengono che questo sia non solo più delicato e fruttato, ma anche più antico, facendo risalire la sua origine al V secolo, quando Saint Patrick, patrono irlandese, fece ritorno dall’Egitto portando con sé uno strano alambicco usato dagli Arabi per ottenere essenze e profumi. Sicuramente entrambi i Paesi, per longevità e numero di distillerie, per qualità dei loro prodotti e per quantità delle esportazioni, si posizionano ancora oggi ai primi posti nel mercato internazionale. Ma, subito dopo, troviamo Canada e Stati Uniti, dove l’arte della distilleria si diffuse nel ‘700 in seguito all’arrivo degli emigranti europei. Le varietà di punta? Bourbon (dall’omonima contea del Kentucky), Tennesse whisky (come lo Stato sudorientale degli Usa) e Rye whisky (che, come suggerisce il nome, è composto in prevalenza da segale). A sorpresa, e sempre più in crescita, si fa largo da qualche anno il Giappone, dove i produttori s’ispirano al metodo di lavorazione scozzese, sia per single malt sia per blended, ottenendo varietà meno torbate per incontrare maggiormente i gusti nipponici, quali quelli targati Suntory Hakushu e Nikka.

E, a proposito di piccole scoperte inattese, nel nostro Paese è prossima al debutto una distilleria made in Italy: quella dell’azienda Puni, in Val Venosta (Bz), che inizierà a imbottigliare dal 2015 il primo Italian malt. Del resto, di esperti titolati, appassionati esigenti e collezionisti incalliti è piena la Penisola, come ci confermano gli organizzatori del Milano Whisky Festival, la cui nona edizione si è svolta il 15 e il 16 novembre nel capoluogo lombardo: oltre 2 mila le etichette esposte, 500 disponibili solo per la degustazione, circa 4 mila i visitatori nella “due giorni” dedicata ai migliori malti scozzesi e non solo. «Sono ben di più di semplici distillati, visto che le loro gocce contengono fino a 500 anni distoria e di tradizione», commenta Giuseppe Gervasio Dolci che, insieme all’altro ideatore dell’evento, Andrea Giannone, ha deciso di far conoscere anche nel Belpaese la cultura e le emozioni racchiuse in un sorso di Scotch.

«I più ricercati? In assoluto i Macallan». Tanto che una limited edition di questa prestigiosa marca, a oggi la più costosa al mondo, è entrata a inizio 2014 nel Guinness dei primati, essendo stata battuta a Sotheby’s a Hong Kong per quasi 632 mila dollari (circa 500 mila euro). «Degne di nota sono anche le distillerie dell’isola di Islay, come Ardbeg o Bowmore: nei loro percorsi aperti ai visitatori, sono esposte rare bottiglie dell’800. E alcune di esse si possono ammirare, intonse, presso raccolte di gran pregio di alcuni nostri connazionali». Sì, perché in certe credenze spesso si nascondono veri e propri tesori, impreziositi dal passare del tempo. Pensate che, stando ai dati della società di consulenza Whisky Highland, specializzata nel settore, dal 2008 allo scorso luglio le etichette che hanno registrato le migliori performance per numero e valore delle transazioni economiche hanno garantito un ritorno d’investimento del 440%. Non stupisce, dunque, che imprenditori e frequentatori d’aste abbiano sempre più sete del nuovo “oro liquido”.

ASSAGGI DI LUSSO. Durante la kermesse meneghina, non sono mancate masterclass tenute da sommelier qualificati, corner per provare le miscelazioni più originali, anche sotto forma di cocktail, e angoli dedicati ai più sfiziosi accostamenti culinari. Qualche esempio? «Con formaggi erborinati e di capra, si sposano bene i torbati; col parmigiano, invece, di per sé saporito e salato, è preferibile un malto ricco e oleoso. Con frutti di mare e crostacei è meglio un flavour speziato», suggerisce Stefano Cancarini, importatore e distributore bresciano di vini e distillati su tutto il territorio nazionale, e grande appassionato del genere. Quest’anno il Whisky Festival ha ampliato i propri orizzonti aprendo le porte anche ai rum caraibici. Quel che accomuna i due mondi, secondo Gervasio Dolci, è il fatto che «in entrambi i casi si tratta di prodotti di estrema qualità, che nascono da grandi tradizioni. Tutti e due si prestano a essere degustati in purezza e vanno sorseggiati con calma, assaporandoli lentamente. Sono eccellenti distillati da meditazione».

Date le loro comprovate abitudini da raffinati bevitori, non dovevano pensarla poi troppo diversamente personaggi famosi del calibro di Ernest Hemingway o Frank Sinatra, la cui salma fu inumata con una bottiglia di Jack Daniel’s in tasca. E che dire di William Culbert Faulkner, considerato uno dei più importanti romanzieri statunitensi e premio Nobel per la letteratura nel 1950? Quando gli domandarono cosa gli servisse per scrivere, rispose, senza esitazione alcuna: «Un po’ di pace, e una cassa di whisky».

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© primopiano/ iStock/ ThinkStock