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Gusto

Mai bevuto uno Swarovsky?

L’etichetta è il primo approccio tra una bottiglia di vino e il cliente. C’è chi sceglie la semplicità e chi la fantasia più sfrenata. L’importante è farsi ricordare

La prima volta un cliente compra il nostro lavoro, la seconda volta il vostro. Così la maggior parte dei designer accoglie un’azienda vinicola che commissiona un’etichetta. Un aspetto troppo spesso trascurato dai produttori che non vogliono sentire parlare di “marketing” per i loro vini e non sanno che la scelta dell’etichetta, che segue il travaglio sulla scelta del “nome” del vino, sono la prima forma di marketing di un vino. L’etichetta parla al consumatore, cattura il suo sguardo e comincia a farlo sognare. Antonio Tomacelli, comunicatore dei vini della Puglia e designer di etichette, racconta molti aneddoti sulle discussioni su questo punto e chiama l’etichetta “la soglia tra produttore e consumatore”, una soglia che è sempre più difficile varcare. Anche per eccesso di tradizionalismo. Nelle Langhe, per esempio, vengono incollate etichette tipicamente ricche di scritte e stemmi araldici che non ammettono disegni di fantasia. Il contrario succede in Sicilia: basta guardare le etichette della cantina Soloperto di Manduria. L’anima solare e focosa del loro rosato e del Centofuochi Primitivo Doc pare saltar fuori dalla carta.

L’esca più antica del mondo

Non mancano etichette che immortalano le pinup di Playboy (particolarissima la serie limitata di Oreno della Tenuta Sette Ponti di qualche anno fa, ora non più disponibile), pratiche erotiche esplicite (ideate da Bibi Graetz) o personaggi della politica (il famoso Barolo “no barrique no Berlusconi” del compianto Bartolo Mascarello). Si tratta degli eredi moderni delle targhette di metallo e madreperla appese alle anfore ai tempi dei Greci e dei Romani, ma solo tra il 1600 e il 1740 abbiamo la prima etichetta di carta ovviamente nella regione che più ha sperimentato nella storia in termini di mercato, ovvero la Champagne. L’inizio è una mera trasposizione delle indicazioni di provenienza ma non tardano ad aggiungersi altre indicazioni e vari stili di scrittura, immagini, disegni con il proposito di imprimersi nella mente del potenziale acquirente meglio dei concorrenti. Da noi possono sembrare innovative le etichette con Don Camillo e Peppone sui Lambrusco di 30 anni fa ma nell’800 lo Champagne conquista il mondo (anche) grazie alla capacità delle maison di leggere momenti storici con le loro etichette, a partire dalle attività sportive, ricreative (passeggiate, caccia, cavalli), sociali (matrimoni, battesimi) e politiche (anche una presa di posizione nell’Affaire Dreyfus alla fine dell’800).Uno dei più grandi exploit, che apre una nuova storia del marketing avviene con i fiori (sono anemoni, segnatevelo così potete fare bella figura alle feste…) di Emile Gallè per Perrier-Jouët nel 1902, un’etichetta che da sola incarna un’epoca e che è capace di farla rivivere a chi socchiude gli occhi bevendone un calice… Se non lo avete già fatto per San Valentino, sappiate che da poco è stata presentata l’annata 2002 della Cuvèe Belle Epoque (disponibile in una confezione con due bicchieri con lo stesso motivo floreale), un piccolo capolavoro liquido in divenire di fiori bianchi, spezie e burrosità, dal finale molto persistente…e dal costo, diciamo “adeguato”. E in tema di arte, in tempi recenti grandi lavori sono quelli realizzati per le cuvèe del vigneron biodinamico Bruno Paillard come la stupenda 1999 “Tumultueux et Chalereux” di Didier Paquignon. Per il rosso di Bordeaux Mouton Rothschild hanno firmato etichette Dalì (‘58), Chagall (‘70), Picasso (‘73), il Principe Carlo (‘04) e lo scultore francese Bernard Venet (‘07) e per il 2008 si vocifera di un artista cinese, a sottolineare l’importanza dei mercati asiatici.

L’arte di Simonetta

Se chiedete a Simonetta Doni, forse la più quotata designer e stilista italiana del vino, quale sia il suo incubo ricorrente, lei risponderà che è l’ennesimo cliente che chiede un’etichetta che “incarni modernità e tradizione”. E il secondo incubo è quello di un cliente che chiede un’etichetta con dame e cavalieri per il mercato americano. Il motivo di questa richiesta? E’ il successo di alcune etichette come quella del Chianti Classico Castello di Gabbiano e della Riserva Ducale di Ruffino che riportavano proprio armi e cavalieri e che per questo sono state nel tempo imitate dai concorrenti ed è per questo che moltissimi vini toscani e italiani in genere hanno una impostazione “medioevale”. Simonetta Doni cerca di ribaltare questa tendenza ideando etichette un po’ fuori dagli schemi come “Urlo” per Ruffino che non lascia certo indifferenti.

L’importante è esagerare

Diadema ha faticato non poco ad emergere e a farsi prendere sul serio da molti critici un po’ spaventati dall’etichetta, ma i 95 punti ricevuti in una degustazione alla cieca dalla rivista americana Wine Spectator hanno fatto capire che dentro la bella bottiglia pesante e scura con la scritta luccicante in Swarowski poteva risiedere un grande vino. Per un Diadema 2007 occorrono 55 euro, ma il proprietario Alberto Giannotti è convinto che siano spesi benissimo perchè la bottiglia è anche un oggetto di design perfetto per il salotto. Intanto, intorno ai 18 euro, è pronto il D’Amare 2007 con etichetta realizzata in alluminio nero lucido e scritta color argento in rilievo. Meno appariscenti ma sempre “esagerati” in termini di mole di informazioni, i “vini parlanti”. Una serie di produttori di varie zone italiane commercializzano, infatti, il loro vino con un’etichetta ripiegata e incellophanata sulla bottiglia, pronta a srotolarsi in pagine e pagine di informazioni sul vino scelto, che aumentano non di poco l’esperienza gustativa del consumatore, specie se non espertissimo.

Tendenze future

Si parla sempre più di terroir e identificazione di un vino con la sua zona di origine e infatti sulle etichette compaiono e compariranno sempre di più vigneti, mappe e cartine sul luogo dove viene prodotto un certo vino. Basta guardare ai Barolo Cru di Fontanafredda (il premiatissimo Lazzarito 2004 per esempio) o i famosi Nobile di Montepulciano di Poliziano Asinone (dal nome della vigna omonima riportata in etichetta), il Cuslanus Amarone della Valpolicella di Albino Armani (appena presentato con grande successo l’annata 2006) e, andando all’estero, i piccoli capolavori di Churchill’s in Portogallo per i vini della linea Douro, vini secchi nella zona dove di solito si producono i vini dolci liquorosi Porto che tutti conosciamo. Però le tendenze del mondo delle etichette si concentrano in due parole: semplicità e passione. E’ questa la strada intrapresa da Fabrizio Dioniso che, con un semplice cuore rosso nel centro dell’atichetta, è riuscito a rendere perfettamente riconoscibile a tantissimi appassionati il vino del Podere Castagno di Cortona che ha il pregio di ammaliare il palato con i suoi profumi intensi di mora, pepe, cassis e di stamparsi nella memoria grazie all’etichetta «avete quel vino con il cuore?». Aiutare il consumatore a ricordarsi di te è fondamentale e mentre la qualità si può dimenticare, l’etichetta, se colpisce l’occhio, spesso no. In attesa di vini davvero parlanti con chip e applicazioni utilizzabili sui telefonini, uno dei segreti per vendere vino è ancora questo. Con buona pace di chi dice che è importante solo cosa c’è dentro la bottiglia.

Credits Images:

Per Diadema lo splendore delle bottiglie, tempestate di Swarovsky, si è rivelato inizialmente un ostacolo al riconoscimento della qualità del vino. Fino a quando Wine Spectator non gli ha assegnato 95 punti in una degustazione alla cieca