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Poker, a qualcuno piace texano

Dalle bische illegali a fenomeno di costume, il poker nella sua versione sportiva appassiona milioni di persone nel mondo e rende la ricchezza un sogno alla portata di tutti. Ma la fortuna conta poco: servono calcolo, mente fretta, strategia e capacità di decidere in fretta. Come in azienda…

Anno 2003, un contabile di nome Chris Moneymaker vince le World Series of Poker di Las Vegas. Cioè, nomen omen, fa un sacco di soldi in una notte: 2,5 milioni di dollari dopo averne spesi appena 39 per iscriversi a un torneo satellite.

Il Texas Hold’em non è ancora un fenomeno di costume, ma una piccola nicchia di appassionati californiani, nata da pochi anni dopo l’apertura delle prime room on line. E che viene relegata nella città del vizio del Nevada, nei retrobottega dei casinò. Il rito del poker classico, celebrato nelle bische clandestine o semplicemente nel soggiorno di casa tra amici, è ancora predominante benché conservi un’aura di proibito. La storia di Moneymaker è invece un messaggio potente: tutti possono diventare ricchi al tavolo verde.

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È quanto basta per lanciare la corsa all’oro del Texas Hold’em, versione con due carte personali e cinque comuni. Nel nuovo Klondike non c’è il rischio di rovinarsi puntando auto, casa e perfino la moglie. Non ci sono donne ingannevoli né assi che escono dalle maniche come nella versione tradizionale celebrata da decine di libri e film. Quella che «si gioca in quattro, oppure in tre col morto, o anche meglio in tre col pollo», come scriveva nel 1976 Stefano Benni nel suo Bar Sport.

Al massimo si può andare all-in, venire beffati al river, perdere tutte le chips e tornare a casa un po’ arrabbiati. Oppure si può avere la mano giusta che ti cambia la vita. Di sicuro non manca il brivido, l’adrenalina che appassiona tanti volti noti dello sport e non solo: Yuri Chechi e Ronaldo, Alberto Tomba e Boris Becker (oltre ai testimonial calcistici Gigi Buffon e Francesco Totti). Per non parlare delle star americane “poker addicted”: da George Clooney a Ben Affleck fino a Jennifer Lopez.

Perché l’emozione cambia e si moltiplica a ogni passaggio. Non ci sono più solo le proprie carte da guardare e cambiare, ma un moltiplicarsi di chance e riflessioni: flop, turn e river, ogni fase di ciascuna mano assume il contorno della sfida.In dieci anni il fenomeno assume numeri pazzeschi: 3 miliardi di dollari al culmine dell’espansione nel 2011, 400 sale attive e 410 milioni di euro giocati on line nei primi 11 mesi del 2014 secondo Agipronews in calo (-6,4%) rispetto all’anno scorso. Incalcolabile invece il numero delle partite improvvisate tra amici, con un vantaggio: il numero dei partecipanti non è più limitato ma si moltiplica a dismisura. E la rinuncia dell’ultimo minuto di un compagno, che magari deve badare ai figli, non è più un dramma per il resto della comitiva.

UNA PICCOLA SOMMA D’ISCRIZIONE

VALE LA CHANCE DI DIVENTARE MILIONARI

SENZA CORRERE IL RISCHIO DI ROVINARSI

CRESCITA RAPIDISSIMA. Dopo gli anni dell’entusiasmo, oggi il mondo del poker si sta consolidando attorno al nocciolo duro di appassionati, espellendo i semplici curiosi. Senza contare quelli che si affidano a siti esteri o illegali per aggirare le stringenti regole dei Monopoli di Stato su tassazione delle vincite e controllo delle giocate.

Con l’introduzione del cash game, la possibilità di giocare direttamente con altri giocatori e soldi “veri” al di fuori di un torneo, si è resa necessaria una stretta normativa per l’apertura di conti on line. «Io c’ero quel giorno a Las Vegas, c’erano quattro faretti e 700 persone. Tre anni dopo erano 7 mila», ricorda Marco Trucco, Country Manager di PokerStars, leader nel settore in Italia (60% di quota di mercato). «Perché il Texas Hold’em ha tanto successo? Perché il poker è un gioco che conoscono tutti e l’innovazione tecnologica – come le telecamere sui tavoli – lo ha reso accessibile. Prima era difficile organizzare pure un tavolo tra amici tra impegni, fidanzate ecc. Oggi invece chiunque può connettersi dopo cena e giocare, oppure farne un lavoro».

«Giocare una partita è un’allocazione di rischio che deve essere fatta nel migliore dei modi per vincere nel lungo periodo», conferma Flavio Ferrari Zumbini, campione e volto di GD Poker, «è proprio come prendere una decisione, ad esempio, in azienda. Anche se la vita vera è più difficile, perché ci sono molte più variabili, ma è anche vero che al tavolo sei solo. Non puoi contare sull’aiuto di nessuno».

Dopo due lauree e l’inizio di una promettente carriera in Ferrero, questo manager mancato ha scelto una vita tra picche e cuori: «Dopo aver studiato tanto ero pronto per la classica carriera aziendale. L’impatto con il mondo del lavoro è stato morbido e stimolante, nonostante fossi in Lussemburgo lontano da casa e solo», ricorda il “professore” del poker italiano, «ma vincevo con costanza da dieci mesi potendo giocare solo pochissime ore al giorno e con la stanchezza della giornata. Da lì, l’idea di provare a dedicare l’intera giornata lavorativa al gioco».

Ma da dove nasce la passione per le carte? «Il poker piace perché gratifica tutti, può vincere chi gioca per divertimento e chi fa calcoli complessi», confessa Ferrari Zumbini, «è come il calcio: è bello con due magliette per terra a fare da porta così come al Maracanà. Per un manager poi è un terreno di allenamento senza fine: le analisi della vita reale si ritrovano come modelli semplificati al tavolo verde».

E dopo il successo, il campione è tornato in fondo alla sua vita precedente aprendo poker room, scrivendo libri e avviando tutta una serie di attività collaterali. «Il poker dovrebbe essere insegnato a scuola. Infatti offre, in sintesi, la rappresentazione di tutti i rapporti umani che i bambini ritroveranno più tardi, nella vita», diceva in fondo tanto tempo fa l’attore e cantante italo-francese Yves Montand.

SULLA SPONDA DEL RIVER. La crisi, oltre a quella economica che non ha perà ostacolato lo sviluppo del Texas Hold’em negli anni del boom, è connaturata alla natura del gioco. Servono tante ore di concentrazione per giocare e vincere un torneo, bisogna aver grosse capacità di analisi e una dedizione innata.

Elementi che lo rendono allo stesso tempo uno dei giochi a minor rischio di ludopatia perché manca la ripetitività e prevede un avversario in carne e ossa. Le aziende di poker on line calcolano che ogni giocatore abbia un “valore” di 400 euro da investire in circa otto mesi, anche se il grosso della passione (70%) si consuma nei primi 90 giorni.

Ma chi sono i giocatori veri? Si tratta di un 10% di appassionati che porta alle poker room il 90% dei profitti, magari ha più conti aperti e dedica ore e ore – spesso notturne – al gioco. Tracciarne l’identikit è facile: uomo (80%) tra i 18 e i 35 anni (63%) o poco più grande, mentre gli ultra 56enni sono appena il 5%. In quella fascia restano magari gli affezionati delle scommesse ippiche, nostalgici al tavolo verde delle cinque carte. Il futuro del Texas Hoold’em sono invece i mini tornei di sit&go, veloci e poco impegnativi, insieme col gioco da mobile.

I SEGRETI DEL CAMPIONE. Che cosa serve allora per vincere a poker? Se nel vecchio tavolo verde la carta giusta poteva valere una fortuna – o essere l’inizio di una rissa – il gioco alla texana premia le doti che in fondo si usano nella vita di tutti i giorni: saper analizzare la realtà, valutare le probabilità di successo, saper negoziare, sfruttare i propri punti di forza. Per un manager vale quasi come un Mba. E proprio per questo il poker piace tanti ai leader dell’economia, e non solo, appassionati di poker.

Harry Truman e Winston Churchill giocarono una partita lunghissima in un treno blindato verso il Missouri: l’ex premier inglese perse 250 dollari e il giorno dopo pronunciò il discorso sulla «Cortina di ferro». Dan Harrington, uno dei giocatori più famosi, era un avvocato tributarista prima di diventare professionista. Il primo italiano a vincere una tappa dell’Ept, Salvatore Bonavena, era un’agente immobiliare. E Guy Lalibertè, patron del Cirque du Soleil, promuove il favoloso Big One for One Drop: un torneo dalla tassa di iscrizione da un milione di dollari che vede tra gli aficionados Dave Einhorn (fondatore di Greenlight Capital), Daniel Shak (hedge founder nel campo dell’oro entrato anche nella squadra dell’asso Phil Ivey) e Cary Katz (Ceo della College Loan Foundation).

«Il Texas Hold’em premia la capacità e la rapidità decisionale, l’analisi matematica della realtà», rivela Marco Trucco, «per questo imprenditori e dirigenti lo preferiscono alla roulette o al black jack. Lì c’è solo l’adrenalina, mentre il poker permette di sentirsi dei leader. Come nel resto della vita, hanno la possibilità di poter controllare il tavolo: chi ama le sfide, trova nel poker un’arena dove sente di avere un vantaggio da sfruttare».