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Consumatori? No, persone

Costruire narrazioni pensate per colpire al cuore gli individui, non trattandoli più come una massa informe di clienti da accalappiare: è questa la strategia dell’existential marketing, la nuova frontiera indicata da Stefano Gnasso e Paolo Iabichino

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Come si mantiene efficace la comunicazione di una marca? Cambiando paradigma: anche le imprese, infatti, devono sentire la responsabilità forte dell’attuale contesto sociale, geopolitico ed economico. Non ha più senso allora parlare di semplici consumatori: la pubblicità oggi si rivolge agli individui e lo fa creando storie che interessano davvero le persone, trame autentiche, narrazioni nelle quali i clienti si identificano. Come si fa e quali sono le campagne di marketing più efficaci? Lo abbiamo chiesto a Stefano Gnasso, docente di Sociologia dei consumi alla Cattolica di Milano e Paolo Iabichino, direttore creativo esecutivo del Gruppo Ogilvy & Mather Italia, autori di Existential marketing. I consumatori comprano-Gli individui scelgono (Hoepli).

Il marketing si è sempre vantato di conoscere a fondo i consumatori, sapendo prevedere o addirittura indurre i loro desideri. Oggi cosa è cambiato?IABICHINO: È ancora così. Anzi, è soprattutto così. La differenza credo che sia nell’atteggiamento con cui ci mettiamo in ascolto dei nostri interlocutori. In passato ci limitavamo a spiarli dal buco della serratura per cercare di prevedere, anticipare o addirittura indurre un bisogno più o meno latente. Oggi abbiamo a disposizione un’enorme quantità di informazioni comportamentali. Spesso queste informazioni sono deliberatamente messe a nostra disposizione. E noi abbiamo una nuova responsabilità, che è quella dell’ascolto in trasparenza. Nella relazione tra marche e consumatori è scattata una nuova regola d’ingaggio che è quella dello scambio di valore. Ascoltiamo per intercettare tensioni culturali, consumer insight, attitudini comportamentali. Lo facciamo attraverso tutte le tecnologie messe a disposizione dai nuovi scenari e miglioriamo il consenso e la reputazione delle marche quando il marketing impara a costruire nuovi scenari. Rilevanti, perché utili. Intelligenti, perché sanno intrattenere. Salienti, perché sanno creare un’interazione partecipata. Profittevoli, anche, certo, ma non è il punto di partenza. Altrimenti torniamo ai vecchi paradigmi.

Serve davvero un nuovo paradigma di marketing o sarà soltanto il penultimo quando arriverà il prossimo?GNASSO: C’è bisogno di prendere atto della destrutturazione del consumo e di cercare di reindirizzare il consumo stesso verso una promessa di trasformazione. Una promessa di un’esperienza autentica. Non crediamo di aver detto l’ultima parola, ma la direzione è questa.

Dopo il marketing relazionale ed emozionale, superato quello esperienziale e virale, qual è la nuova parola d’ordine?I: Speriamo sia la volta buona di un marketing rinnovato. Nel nostro libro abbiamo provocatoriamente dato una nuova etichetta (“esistenziale”, ndr), ma siamo consapevoli che non serva una nuova buzz word per riscattare la professione. Servono piuttosto nuovi atteggiamenti. Nuove sensibilità. Considerare i target come un pubblico al quale rivolgere nuove narrazioni che devono scatenare applausi. Perché oggi abitiamo immensi palcoscenici e quello che mettiamo in circolazione appartiene a tutti. Con una nuova consapevolezza.

Oggi le aziende non firmano un budget di comunicazione se non c’è la parola “storytelling” scritta da qualche parte. Perché tutti ne parlano? G: Se, come credo, il consumatore postmoderno non vuole soddisfare bisogni ma cercare esperienze (da cui la necessità, per le aziende, di effettuare iniziative di marketing esperienziale), interrogandosi sul significato della parola “esperienza” arriviamo alla narrazione. Ritengo che il consumatore si sentirà attratto dall’esperienza promessa dal consumo, se la percepirà come narrativamente appropriata. Questo è il fondamento della fortuna dello “storytelling”.

Cosa significa invece il vostro marketing esistenziale? Ne abbiamo davvero bisogno? G: Significa restituire al consumatore il senso del limite, riconnettere il consumo a specifiche soglie dell’esistenza, per tornare a un consumo progettuale, con l’ambizione di sottendere al medesimo un progetto di sviluppo sociale. Ridare un’idea della modernità; fornire un’illuminazione sul nostro destino, rigettando la prospettiva della sorte. È il vero bisogno dell’uomo contemporaneo.

Cosa devono fare oggi le aziende per arrivare al loro consumatore?I: Stabilire connessioni empatiche. Imparare a dare oltre che a dire. Riempire le promesse della pubblicità di azioni concrete. Le persone oggi hanno la possibilità di annettere le marche all’interno del proprio feed esistenziale. Quando mettono un like, seguono il canale Twitter o Instagram, stanno cercando un livello superiore di relazione con la marca. Non è solo la ricerca dello sconto o dell’ultima novità. È la voglia di partecipare a quel racconto di marca. E costringe a produrre costantemente contenuti. Sempre più marche, oggi, si comportano come piccoli o grandi editori che sono chiamati a intrattenere il proprio pubblico con attività di comunicazione. Questo sta diventando il marketing. È infinitamente più difficile rispetto al passato, ma è molto più divertente.

Hanno più importanza i social network o la televisione? I: I social network sono i nostri palcoscenici. È attraverso di loro che raggiungiamo milioni di persone e registriamo in tempo reale il feedback delle nostre attività. La Tv è altrettanto importante, ma svolge una funzione diversa. Sempre di più, alcune marche usano la televisione per veicolare le proprie comunicazioni commerciali e i social network, insieme ai canali digitali, per veicolare un racconto valoriale.

Facciamo un esempio di narrazione ben riuscita…. G: Per esempio la narrazione “Papà” creata da Ogilvy per Wind: è l’esempio perfetto. E non solo per i tanti premi conquistati in Italia e all’estero, ma anche per la positività dei commenti che le persone hanno lasciato su Facebook e YouTube per ringraziare la marca di uno spot così.

Alcuni spot in Tv sono inguardabili, ci sono pubblicità che fanno passare la voglia di restare su un sito e altre che non vediamo l’ora di condividere. Perché? G: Non credo si stia concludendo l’era dei lovemarks di Kevin Roberts (il Ceo di Saatchi & Saatchi che nel 2004 teorizzò in volume che l’amore avrebbe salvato i brand, ndr). Credo però che essi, per essere tali, debbano fare un salto di qualità non facile nella loro narrazione. Il consumo, oggi, acquista forza simbolica se collegato a un percorso di evoluzione personale e sociale. L’esperienza promessa deve avere un taglio esistenziale. In questo ambito, le reazioni di amore e di odio sono la regola.

Un’impresa narrativa tutt’altro che semplice: probabilmente avremo meno lovemarks che nel recente passato. I: Le pubblicità inguardabili non esistono, perché ogni messaggio incontra sempre il suo destinatario. Anche quello che a noi appare più triviale. Ecco, io credo piuttosto che noi si debba sentire in maniera urgente la responsabilità dell’immaginario collettivo. Ed essere consapevoli che i posizionamenti di marca oggi si costruiscono su prese di posizione che agiscono per migliorare l’impatto della marca sulla collettività. In Ogilvy qualche anno fa siamo passati dalle Big Idea ai Big Ideal, oggi lanciamo #ogilvychange per coniugare alcune attività di marche al nudging e alle scienze comportamentali. Perché crediamo che questo lavoro si possa fare anche senza vergognarsene. Anzi, contribuendo a migliorare la vita delle persone e quello che ci circonda.

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