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Quella sintonia tra rete e cosmesi

Il consumatore sfrutta sempre di più il web per cercare informazioni, dare opinioni e, non di rado, anche lamentarsi. Ma il mondo della bellezza non si è lasciato cogliere impreparato. Anzi, ha imparato a sfruttare tutti i vantaggi dell’online. Lo confermano i top manager di Beauty and Luxury, Christian Dior, Lancôme e La Prairie

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E’ meglio ideare una bella campagna pubblicitaria in Tv e sui giornali, oppure conquistarsi una buona reputazione su Twitter e Facebook? Per risolvere questo dilemma, nelle aziende dell’industria cosmetica bisogna oggi ricorrere probabilmente a una risposta salomonica: meglio saper fare bene tutte e due le cose contemporaneamente, senza sacrificare né l’una né l’altra.

L’avvento del Web 2.0, cioè l’Internet di nuova generazione dove i social network fanno proseliti quasi ogni giorno, ha infatti cambiato (e sta cambiando ancora) le abitudini quotidiane di molti consumatori. Chi acquista un prodotto di bellezza, un profumo o una fragranza oggi non vuole più essere uno spettatore passivo di strategie commerciali che arrivano dall’alto e che vengono comunicate attraverso le campagne promozionali. Il consumatore 2.0 chiede sempre più il diritto di parola e usa i nuovi media digitali, come appunto i social network, i blog o le comunità on line di ogni genere, per raccogliere informazioni sui prodotti, per chiedere opinioni e consigli agli altri internauti e anche per protestare quando c’è qualcosa che non va, rilasciando spesso giudizi severi e ingenerosi persino sui marchi più blasonati del mercato.

Di conseguenza, le aziende dell’industria cosmetica si trovano adesso alle prese con un interrogativo tutt’altro che trascurabile: come comportarsi di fronte a questa mutazione profonda della clientela? Dare una risposta convincente non è facile. Anche perché, è bene ricordarlo, il settore della cosmesi e dei prodotti di bellezza è reduce da una stagione non proprio da incorniciare, almeno nel nostro Paese. Pure nel 2014, per il terzo anno consecutivo, in Italia c’è stata una contrazione del mercato, sia in termini di valore (-2,3%), sia nei volumi di vendita (-8,6%). Colpa ovviamente della crisi economica e del calo dei consumi che, tuttavia, presto potrebbero giungere finalmente al capolinea.

Nei prossimi mesi, secondo le previsioni di molti addetti ai lavori, dovrebbe finalmente arrivare la svolta tanto attesa, cioè un ritorno della crescita, seppur a ritmi non impetuosi. Comunque vadano le cose, però, un fatto resta certo: per riconquistare i clienti perduti, acquisirne di nuovi o mantenere quelli vecchi, le aziende del settore beauty devono fare i conti con i cambiamenti portati in dote dall’avvento dei nuovi media digitali.

SI ASSISTE A UNA

DIFFUSIONE VIRALE

DI IDEE E OPINIONI

SUI PRODOTTI

Marcello Antonetti

Brand General Manager

IL CONFRONTO CON IL CLIENTE 2.0. Ne è convinto anche Marcello Antonetti, Brand General Manager di Christian Dior: «Nel rapporto di dialogo tra le aziende e i consumatori», dice Antonetti, «sono cresciuti i canali di comunicazione e si assiste a una diffusione virale dei contenuti, delle idee e delle opinioni sui prodotti espressi dai clienti ». Questo processo, sottolinea il manager, sta avvenendo a una velocità impressionante proprio grazie all’avvento di Internet 2.0, che consente di commentare in tempo reale un po’ tutto, persino la foto di un prodotto appena apparso sul mercato, una sfilata di moda o la performance di un cantante in un programma televisivo.

Dello stesso parere è anche Ulrika Wikström, General Manager di Lancôme Italy, che dice: «Le aziende come la nostra hanno sempre avuto la volontà e la necessità di ascoltare la voce dei clienti. Oggi, però, la diffusione dei social network e delle altre comunità on line ha reso più intenso questo rapporto con i consumatori e ha aumentato i canali di comunicazione utilizzabili delle aziende». Le relazioni che un tempo erano più saltuarie, dunque, adesso sono diventate pressoché quotidiane. Se prima i grandi marchi avevano bisogno di focus periodici per testare i gusti degli acquirenti o le loro reazioni di fronte al lancio di un prodotto, ora le preferenze di una parte consistente del mercato possono essere sondate quasi all’istante, proprio analizzando cosa accade sul Web.

«Oggi il consumatore agisce sulla base di tre comportamenti principali: search, share, site», dice Valeria de Fiore, General Manager di La Prairie. Chi decide di comprare un prodotto, infatti, per prima cosa cerca informazioni sul Web (search) e poi le condivide con altri internauti (share). Di conseguenza, secondo de Fiore, «è indispensabile per un’azienda impostare bene i propri piani di comunicazione, adattandoli a queste nuove abitudini di acquisto». In particolare, per la General Manager di La Prairie ci sono tre fattori-chiave che diventano necessari per instaurare una relazione efficace con il cliente. Il primo fattore consiste nel saper raccontare il passato di un marchio (story), in chiave moderna e anche con contenuti multimediali. Un secondo elemento importante è rappresentato dall’innovazione e dalla tecnologia (science), che oggi vengono richieste con crescente insistenza da consumatori sempre più informati ed esigenti. Infine, il terzo elemento da non sottovalutare è la velocità (speed), cioè l’attitudine di un‘azienda a stare al passo con i cambiamenti repentini delle abitudini di acquisto, anche anticipandoli, se necessario.

LA PLATEA ONLINE

DA’ DEGLI INPUT

CHE LE AZIENDE

NON POSSONO

IGNORARE

Peter Gladel

A.d.

SE IL TREND NASCE SULLA RETE. Fatte queste premesse, per le imprese dell’industria cosmetica diventa dunque essenziale riuscire a trasformare in un’idea di prodotto le preferenze e le opinioni raccolte nell’universo sconfinato del Web. «Oggi le aziende del nostro settore hanno a disposizione un’enorme mole di dati, che rappresenta un immenso patrimonio di conoscenze», dice Peter Gladel, amministratore delegato di Beauty and Luxury. I nuovi media digitali, secondo Gladel, consentono, infatti, di interpretare con largo anticipo i trend del mercato e di individuare delle macrotendenze di prodotto che possono affermarsi nel medio periodo, per esempio nei prossimi cinque anni, partendo spesso da zone geografiche assai lontane dall’Europa e dall’Italia. La globalizzazione dei gusti dei consumatori, insomma, per Gladel crea nuove opportunità di business e rappresenta, almeno per le imprese più lungimiranti, un’occasione d’oro per anticipare i concorrenti.

L’importante, secondo de Fiore, è saper utilizzare con accortezza i cosiddetti Big Data, cioè i dati aggregati che arrivano dal Web e dai media digitali, in modo da elaborare offerte personalizzate, ritagliate su misura in base alle esigenze di ogni categoria di clienti. Si tratta di un compito non facile e che spesso richiede, all’interno delle imprese, l’intervento di professionisti specializzati. È il caso del Marketing Technology Officer, una nuova figura manageriale “ibrida”, che La Prairie ha deciso di inserire nel proprio organico ponendola a cavallo tra due diverse aree aziendali: il marketing e l’information technology. La funzione di questo profilo professionale emergente è proprio quella di far tesoro delle informazioni che arrivano dalla Rete, «per immaginare i bisogni dei clienti ancor prima che si manifestino», dice de Fiore.

Diverso è invece l’approccio seguito da altre aziende che hanno una struttura assai articolata a livello internazionale come Dior. «In Italia non disponiamo di un dipartimento di ricerca e sviluppo», ricorda Antonetti, «e dunque ci adoperiamo soprattutto per raccogliere il maggior numero di informazioni sui consumatori e sui prodotti, fornendo spunti alla nostra casa madre per elaborare una strategia complessiva della marca».

GLI ITALIANI

SONO ATTENTI

AL MARCHIO E

AGLI INGREDIENTI

Ulrika Wikström

General Manager

IL WEB E LA BRAND REPUTATION. Tuttavia, secondo Antonetti, non bisogna necessariamente ricorrere ai Big Data per avere il polso di quel che accade sul mercato. «Anche i semplici commenti dei follower di un blog, le discussioni sui social network o le recensioni all’interno di una piattaforma di commercio elettronico sono già di per sé dei luoghi di studio e di osservazione dei clienti», afferma il Brand General Manager di Christian Dior. L’importante, a detta di Antonetti, è che un’azienda sappia cogliere bene i segnali e gli elementi che scaturiscono dai nuovi media digitali, per valutarli in maniera corretta e rimanere così in una sintonia con il pubblico dei consumatori.

Ecco allora che assume una forte rilevanza il concetto della online brand reputation, la reputazione che un marchio del lusso e della bellezza riesce a conquistarsi su Internet, soprattutto sui due social network più popolari della Rete come Facebook e Twitter, a cui si sta aggiungendo pure il “terzo incomodo” Instagram. «Avere una buona reputazione sul Web è un obiettivo molto importante per le aziende del nostro settore», dice Ulrika Wikström, «che devono dunque essere pronte a rispondere con tempestività alle sollecitazioni che arrivano dagli utenti di Internet, creando un elevato grado di interazione con i clienti attraverso i social network e le comunità on line».

Per questo, anche secondo la General Manager di Lancôme Italy, è necessario che le imprese impieghino delle figure professionali specializzate, a cui affidare la comunicazione digitale e sui social network, per coordinare questo tipo di attività, studiare il posizionamento ottimale di un marchio all’interno dei nuovi media e sviluppare dei contenuti capaci di coinvolgere i consumatori in una relazione di lungo periodo con l’azienda, aumentando così la loro fiducia e la loro fedeltà verso il brand. I nuovi media del Web 2.0, insomma, non sono soltanto una vetrina per far conoscere i propri prodotti, come i giornali o la televisione.

Sono piuttosto dei canali con un elevato grado di interattività, da presidiare con cura per evitare passi falsi che possono poi costare cari, in termini di perdita della reputazione. Inoltre, come sottolinea Antonetti, le aziende che vogliono misurare la propria on line reputation fanno spesso ricorso a strumenti sofisticati, cioè a programmi software e a siti Web specializzati che aiutano a interpretare il sentiment o il mood della Rete, riguardo a un marchio o a uno specifico prodotto. Si tratta di sistemi di analisi che, attraverso l’invio di report periodici e di alert su qualche situazione particolarmente critica rilevata in qualche blog ricco di commenti al vetriolo, sono in grado di segnalare a ogni impresa le opinioni che gli internauti hanno maturato sul suo conto, classificandole di solito attraverso dei topic, cioè in base a specifiche materie e soggetti rilevanti.

BISOGNA IMMAGINARE

I BISOGNI DELL’UTENZA

PRIMA CHE SI

MANIFESTINO

Valeria de Fiore

General Manager

L’ITALIAN STYLE AI TEMPI DI FACEBOOK. Anche in Italia, dove la penetrazione di Internet tra la popolazione è inferiore di 10 punti rispetto alla media europea (cioè al 58% contro il 68% del resto del Vecchio Continente) la online reputation sta diventando particolarmente importante. Anzi, per certi aspetti è un elemento più importante che all’estero, visto che i nostri connazionali non navigano molto sul Web ma trascorrono parecchio tempo sui social network: mediamente circa due ore al giorno, 30 minuti in più rispetto agli altri Paesi dell’Ue.

«Gli utenti del Web italiani presentano delle peculiarità che le imprese del nostro settore non possono ignorare», dice Gladel, che ricorda come a sud delle Alpi vi sia ancora una bassa propensione a fare acquisti online, accompagnata però da un’elevata partecipazione alle discussioni sui social media. «Se consideriamo il numero di like espressi su Facebook, per esempio, l’Italia si piazza addirittura nei primi quattro o cinque posti della classifica mondiale», aggiunge l’amministratore delegato di Beauty and Luxury. Questo alto livello di partecipazione alle discussioni sulla rete si traduce poi in aspettative molto alte sui prodotti. «Il consumatore italiano è particolarmente curioso e attento alle novità che il mercato propone», dice Antonetti, «ed è portato a essere meno fedele rispetto agli stranieri». Inoltre, a detta del manager di Dior, i nostri connazionali sono anche molto attenti alla qualità di ciò che comprano, «e non esitano a comunicare il loro consenso o il loro disappunto sui vari canali social ».

Con questa opinione concorda anche Wikström che rileva, soprattutto tra le donne italiane, un forte attaccamento ai marchi più prestigiosi del settore, ma anche una grande attenzione agli ingredienti utilizzati nei prodotti, sui cui cercano spesso molte informazioni attraverso la Rete, nei blog come nei social network o nelle altre comunità on line. «Il cliente italiano è un consumatore di beni legati al lusso e alla bellezza estremamente evoluto», dice de Fiore, «ha una maturità acquisita istintivamente, vivendo in uno dei Paesi dove l’eccellenza si è espressa da sempre in moltissimi settori, dal cibo alla moda fino al design». Anche ai tempi di Facebook, insomma, l’italian style conserva la sua forza.