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Lifestyle

Ne hai fatta di strada, bellezza!

La tecnica non è cambiata molto, ma col tempo le auto si sono trasformate da semplici mezzi di trasporto in desideri a volte conturbanti. Una panoramica delle vetture che hanno lasciato il segno, non solo sull’asfalto

Era il 29 gennaio del 1886 quando Carl Benz depositò il brevetto della prima automobile della storia. La Benz Patent Motorwagen era un triciclo spinto da un motore che erogava meno di un cavallo di potenza. Nonostante ciò usava un carburatore, era raffreddato ad aria e aveva un sistema di accensione del carburante elettrico. Pochi mesi dopo toccò a Gottlieb Daimler registrare la sua invenzione, e da allora cominciò la grande sfida per lo sviluppo di veicoli che assicurassero all’umanità una mobilità individuale. Sono passati 125 anni da allora e oggi le fabbriche di tutto il mondo sfornano oltre 70 milioni di veicoli all’anno. L’industria automobilistica è diventata la più importante per fatturato, supera il giro d’affari dell’industria aerospaziale, di quella delle armi e di quella farmaceutica. Negli ultimi tempi le aziende del settore hanno fatto i conti con la globalizzazione, con l’intento di essere competitive sul mercato mondiale dell’auto. Per questo molte marche storiche si sono consociate tra loro per realizzare economie di scala o sono state acquisite da gruppi più grandi. Ma per fortuna continuano a resistere sul mercato anche piccole aziende, a carattere quasi artigianale, che fanno della specializzazione la loro forza trainante. Si tratta per lo più di atelier di auto sportive o di ammiraglie esclusive. Si chiamano Aston Martin, Bentley, Bugatti, Ferrari, Lamborghini, Lotus, Maserati, McLaren, Pagani, Rolls-Royce, e sono destinate a un bacino di utenza particolarmente esigente. Nei primi 125 di vita dell’automobile sono combustionati tanti marchi, molti dei quali, dopo periodi di splendore, sono usciti di scena. Griffe fantastiche come Isotta Fraschini e Studebaker, Facel Vega e Austin-Healey, Itala e Autobianchi, Borgward e DeLorean, Excalibur e Ginetta, Nsu e Hispano-Suiza, Packard e Riley, Sunbeam e Simca, Tucker e Triumph e tante altre che hanno segnato diverse epoche e che hanno influenzato l’evoluzione delle quattro ruote con le loro innovazioni estetiche o meccaniche. All’inizio erano gli ingegneri o gli artigiani con lo sguardo che vedeva lontano a costruire le automobili; stabilivano lo stile delle vetture soprattutto in base alla funzione e la forma derivava dalle carrozze: solo pochi appassionati potevano permettersi auto che appagavano i loro gusti personali. Per molti anni la carrozzeria è rimasta un fatto d’elite, anche se per avere un’Alfa Romeo, un’Om negli anni ‘20 occorreva prima acquistare il telaio motore e poi rivolgersi a un carrozziere. Tanto è mutata la forma quanto poco, a rileggere le tappe che hanno portato alla diffusione planetaria dell’automobile, sembra rivoluzionata la tecnica. I motori sono sempre a combustione e bruciano benzina o gasolio. La candela fu inventata da Bosch nel 1902, nel 1888 John Boyd Dunlop aveva brevettato lo pneumatico, che sostituiva le ruote ferrate derivate dalle carrozze. Ad abbattere il muro dei 100 km l’ora, nel 1899, toccò a una vettura elettrica, progettata dal belga Camille Jenatzy, nota con il nome di Jamais Contente, mentre l’anno dopo Ferdinand Porsche costruì la prima vettura ibrida, la Lohner Semper Vivus. Con la prima automobile full hybrid perfettamente funzionante del mondo, Porsche si mosse in un campo nuovo della tecnologia. In quest’auto due generatori accoppiati a motori a benzina formarono un gruppo elettrogeno che alimentava di corrente elettrica sia i motori nei mozzi delle ruote sia le batterie. Grazie al concept‚ full hybrid, la Semper Vivus era anche in grado di percorrere dei tratti piuttosto lunghi solamente con l’alimentazione elettrica, prima di attivare il motore a combustionati ne come gruppo elettrogeno. Per ridurre il peso e fare spazio per un motore a benzina, Ferdinand Porsche impiegò una batteria relativamente piccola con soli 44 elementi.

Nel 1911 arrivò il tergicristallo per togliere la pioggia dal parabrezza dell’inglese Gladstone Adams e anche l’avviamento elettrico, che sostituì la manovella, fu lanciato prima dell’inizio della Grande Guerra, nel 1912 su una Cadillac battezzata Self Starter. Ma il salto nell’era dell’auto come motorizzazione di massa avvenne nel 1913 quando Henry Ford realizzò nello stabilimento di Highland Park, a Detroit la catena di montaggio destinata a rivoluzionare nel mondo i sistemi produttivi. La Model T era nata nel 1908 ma tra il 1915 e il 1925, per velocizzare la produzione era disponibile in un solo colore: il nero opaco. In totale sono state 15.007.033 le Model T prodotte. Le prime costavano 850 dollari americani dell’epoca, contro i 2.000 – 3.000 dollari delle vetture concorrenti, le ultime da 300 a 528 dollari.

In Italia l’automobile era considerata uno status symbol, usato da aristocratici e ricchi borghesi. A renderla popolare nel 1907 era stata l’impresa dell’Itala che aveva vinto il raid Parigi-Pechino. Fiat e Lancia costruivano a Torino, mentre l’Alfa Romeo, fondata nel 1910 a Milano, si contraddistingueva per la produzione (poche centinaia all’anno) di vetture molto raffinate e capaci di offrire grandi prestazioni. Gli anni ‘30 furono il periodo in cui prese forma la sua leggenda. Infatti, l’affidabilità dei motori era indiscussa e le prodezze dei piloti – Antonio Ascari, Gastone Brilli Peri, Giuseppe Campari, Enzo Ferrari, Tazio Nuvolari, Achille Varzi – sulla bocca di tutti. Fiat, invece, era più indirizzata verso una produzione meno elitaria e all’inizio degli anni ‘30, spinta da Mussolini che voleva una vettura di massa, investì in un progetto di auto popolare. Nel 1936 debuttò la Fiat Balilla, la prima utilitaria italiana creata da Dante Giacosa e venduta a 8.900 lire, una bella cifra per chi canticchiava “se potessi avere mille lire al mese…”. Berline, decappottabili, limousine, coupé di tutti i tipi e di tutte le taglie. Nel 1939 anche i tedeschi avevano la loro auto popolare, era il Kafer, il coleottero di Ferdinand Porsche, in Italia tradotto in Maggiolino, voluto da Hitler che aveva espresso esplicitamente la volontà di motorizzare la Germania. Andò in produzione dopo la Seconda guerra mondiale, fu costruito fino al 2003 e venduto in oltre 20 milioni di esemplari.

Tanti modelli per tutti gli usi, ma mancava ancora l’auto militare. A colmare la lacuna ci pensò nel 1941, dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, l’americana Jeep Willys con un modello leggero, maneggevole, pensato per cavarsela sui terreni difficili grazie alla trazione sulle quattro ruote: nacque così la Jeep (acronimo del nome militare General Purpose Vehicle, veicolo per tutti gli usi, pronunciato dagli americani con l’abbreviazione jeep), la madre di tutte le fuoristrada. Nel 1956 esordì la prima monovolume: la Fiat 600 Multipla, con le portiere davanti che si aprivano a favore di vento e quelle dietro controvento, capace di ospitare sei passeggeri su tre file di sedili. Tra le tappe fondamentali della storia dell’auto il 1958 annoverò il lancio della Mini Minor, figlia della brillante intuizione dell’ingegner britannico di origine greca Alec Issigonis. Era, invece, il 1960 quando Lancia ritrovò la sua verve tecnologica con il battesimo della Flavia, trazione anteriore, motore 4 cilindri boxer a sbalzo anteriore, freni a disco, iniezione meccanica della benzina, seguita dalla Fulvia equipaggiata da un motore 4 cilindri a V stretta e distribuzione con due alberi a camme in testa. Sono numerosi i modelli che hanno cambiato il rapporto utente-auto, le aspettative, i desideri. Sportive come la Porsche 912 del 1963, che ha dato il via alla stirpe 911, immutabile e inossidabile; la Lamborghini Miura del 1966, disegnata da Marcello Gandini e con il motore di Giotto Bizzarrini (bellissima e pericolosissima: all’inizio s’incendiava), e la Ferrari 512 dieci anni dopo. Auto da famiglia, dalla Ford Escort del 1975 alla Fiat Tipo del 1988, mentre ancora oggi il punto di riferimento rimane la Volkswagen Golf del 1974, ideata da Giorgetto Giugiaro. Altre intuizioni furono l’Audi 100 del 1968, l’auto di Ingolstadt che faceva il verso alle Mercedes; la Range Rover del 1970; la Bmw 2002 Turbo, del 1973, la berlina da famiglia per la pista frutto della collaborazione in Bmw tra il reparto tecnico e il centro stile capeggiato dal francese Paul Bracq, l’antesignana delle M Motorpsort; la Fiat Panda nel 1978 (altra folgorazione di Giugiaro) e la Mercedes 190 del 1982, la prima quattro porte di prestigio media con il lusso delle ammiraglie, con una linea che influenzò tutto lo stile Mercedes-Benz negli anni successivi. A tracciare nuove strade e a coprire nicchie molto redditizie sono state negli anni successivi Chrysler Voyager (1984), prima monovolume a sette posti, Renault Scenic (1996), prima Mpv di misure compatte, Porsche Cayenne (2003), la Suv capace di andare dappertutto, e più di recente Nissan Qashqai (2006), la crossover per famiglia via di mezzo tra una wagon e una Suv, Dacia Duster (2010), la tutto terreno low cost. In 125 anni l’automobile ha fatto un lungo cammino, lastricato di test e collaudi, cocenti delusioni e successi strepitosi, attraverso i quali è diventata il cardine centrale dell’economia non solo dell’industria che la produce ma della nazione che la ospita. Un’importanza strategica destinata a continuare almeno altri 125 anni!

2CV E MAGGIOLONE, RIVALI SENZA TEMPO

La Citroën 2CV (“due cavalli”, dalla valutazione dei cavalli fiscali in Francia) fu prodotta da Citroën dal 1948 al 1990, con una storia particolare. Durante la lunga parentesi bellica, Pierre-Jules Boulanger, che aveva preso il posto di André Citroën, morto nel 1935, aveva fatto “sparire” i prototipi demolendoli e nascondendone alcuni in un’azienda agricola per non farli scoprire dai tedeschi. Lo sviluppo della 2CV riprese dopo il 1945, quando fu esposta al Salone di Parigi il 7 ottobre 1948. La 2CV, con la livrea grigia voluta da Flaminio Bertoni, l’ingegnoso stilista italiano che l’aveva disegnata, venne presentata da Boulanger a Vincent Auriol, primo presidente della Quarta Repubblica francese. All’inizio non ebbe il successo sperato, ma poi recuperò. I suoi punti di forza furono il prezzo (costava la metà di un Maggiolino, suo eterno rivale), i consumi esigui e la possibilità di salire in auto con il cappello, linea guida voluta da Boulanger. Dopo i creativi e fantasiosi anni ‘30, il periodo più emozionante per l’automobile è stato, probabilmente, quello a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60, quando si sono per l’appunto confrontati mostri sacri come la 2CV e il Maggiolino.