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Gian Luca Sichel (CheBanca!): La fiducia è una cosa seria

Anche se molti istituti di credito hanno fatto poco per conservarla… Dopo l’acquisizione delle attività retail di Barclays, il Ceo di CheBanca!, Gian Luca Sichel, rilancia la sua ricetta per lo sportello del futuro: «Tornare a dare servizi a valore aggiunto che i clienti siano disposti a pagare»

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Non c’è neanche il tempo di festeggiare il raggiungimento del pareggio di bilancio a giugno (7,5 milioni di euro), traguardo fissato dal piano triennale appena concluso, che per CheBanca!, il braccio del Gruppo Mediobanca si apre una nuova sfida. Tutto parte dall’accordo di acquisizione della maggior parte delle attività retail di Barclays Italia, che vuol dire l’acquisto di 220 mila nuovi clienti in aggiunta ai 580 mila già presenti, e il raggiungimento di quota 1.545 per quanto riguarda le filiali. Si tratta di numeri importanti che aprono nuovi orizzonti a una banca che si pone come “sportello di riferimento” per gestire i risparmi delle famiglie, a beneficio delle quali ha messo a punto un insieme di servizi tecnologici all’avanguardia (nel 2015 è stata inclusa dal Financial News del Wall Street Journal nella lista dei Top Fintech40 Power People in Europa), affiancati da un’attività di consulenza one-to-one, un connubio che unisce innovazione tecnologica e trasparenza. Impegni non da poco per l’azienda guidata dal Ceo Gian Luca Sichel, secondo il quale le banche per guardare al futuro devono tornare a considerare un elemento antico: saper stringere un saldo rapporto di fiducia col proprio cliente.

Che cosa direbbe ai 220 mila nuovi correntisti che si sono ritrovati di punto in bianco vostri clienti senza avervi scelto direttamente?
Vorrei mandare un messaggio positivo, perché adesso i loro risparmi sono nelle mani di un operatore qualificato, il cui obiettivo è sviluppare i migliori servizi finanziari per le famiglie italiane. Inoltre facciamo parte del Gruppo Mediobanca, che vanta un livello di solidità patrimoniale tra i migliori in Italia: i rischi che spaventano un po’ tutti in questi tempi di bail-in non ci riguardano. Non è un caso che siamo nati in un periodo di crisi, ma siamo riusciti a realizzare un percorso di crescita organica di successo. Un ulteriore punto di forza, altrettanto importante, è quello che riguarda la customer experience che possiamo garantire: prenderemo il meglio del know how di Barclays per integrarlo con la nostra proposta. Nel breve periodo, in ogni caso, non cambierà nulla: i clienti continueranno a beneficiare dei prodotti e dei servizi a cui erano abituati. Tra dodici mesi invece avranno a disposizione una gamma di prodotti e servizi innovativi sui quali stiamo lavorando. Questo per me è il punto centrale: una banca che non ha prospettive di sviluppo si limita all’attività di base, mentre nel dna di CheBanca! c’è la volontà di crescere attraverso il miglioramento costante dell’offerta e della customer experience.

Siete nati come online bank, ma soprattutto dopo questa operazione vi ritrovate un numero importante di filiali. È prevista una razionalizzazione?
Tutte le filiali Barclays saranno, compatibilmente con i tempi tecnici, ribrandizzate CheBanca! e tutta la comunicazione sarà unificata. In ogni caso, 143 filiali non rappresentano un numero eccessivo: da giugno prossimo potremo pensare a un’ottimizzazione geografica e di servizio, ma senza alcun obbligo. E sempre con l’obiettivo di fornire un servizio migliore al cliente, anche alla luce della nostra ottica multicanale. Sarà un lavoro triennale guidato dalla volontà di offrire alla clientela il miglior assetto distributivo possibile.

Completare l’acquisizione di Barclays ha richiesto circa un anno. Com’è nata l’operazione? Qual è la strategia dietro tale accordo?
Il presupposto è la valenza industriale di questa scelta. Spesso i deal seguono una logica semplicemente finanziaria o di “dimensione”. Nel nostro caso, invece, abbiamo scelto un partner che presenta un profilo in linea con il nostro percorso, sia per quanto riguarda i canali distributivi – filiali e piattaforme – sia per competenze dei suoi collaboratori e per profilo dei clienti. È stato quasi un approdo naturale. Questa complementarietà rende anche più semplice l’integrazione: accoglieremo tutta la struttura distributiva di Barclays e le nuove competenze di prodotto andranno ad arricchire l’offerta e l’approccio di CheBanca!.

Sempre guardando ai numeri, 800 mila clienti è una cifra vicina al milione. Immagino che ora l’obiettivo sia tagliare tale traguardo. Proverete a raggiungerlo anche con nuove acquisizioni?
Ci sono diversi istituti in liquidazione… Ha ragione, l’obiettivo è quello, ma i tempi per raggiungerlo saranno definiti nel nuovo piano industriale (atteso entro Natale, ndr), che fisserà le linee guida strategiche per il prossimo triennio. Una banca con un milione di clienti ha una scala tale da garantire redditività, credibilità e capacità di autofinanziare gli investimenti. In ogni caso, non ci poniamo un obiettivo meramente numerico, ma di crescita costante. Di conseguenza, se entreremo in contatto con dei dossier che si adattano al nostro percorso strategico, li valuteremo alla luce di quanto detto, ovvero con l’obiettivo di analizzare la coerenza con il nostro profilo. Non è possibile dare dei tempi specifici: per noi l’attività di Merger&Acquisition non è un’attività sistematica.

L’Italia è un Paese “di poeti, santi e navigatori”, ma anche di risparmiatori. Il che coincide con il profilo della clientela di CheBanca!, sulla carta avreste quindi vita facile…
È vero, per fortuna … (sorride): in virtù di vari trend sociodemografici, gli italiani sono tra i maggiori risparmiatori a livello mondiale. E la missione della nostra banca è appunto seguire i clienti, principalmente le famiglie, nella gestione del risparmio.

Eppure la reputazione del settore bancario nel suo insieme è in sofferenza nel nostro Paese, a causa degli scandali – da Mps a Banca Etruria -, che hanno fatto entrare il settore in un profondo cono d’ombra. Come fare per uscirne?
Va riconosciuto che quanto accaduto negli ultimi cinque-otto anni ha fatto sì che questo mestiere assumesse una criticità elevatissima. Da una parte perché, con i tassi zero, è sparito il mondo dei Btp e dei Bot: se il consumatore vuole un rendimento, anche minimo, deve affrontare qualche rischio e ne deve prendere consapevolezza. L’altro tema, in effetti, è la presa di coscienza di come molti operatori – per tanti motivi – abbiano sperimentato un calo della propria reputazione verso il cliente finale. E senza fiducia è difficilissimo fare consulenza sul risparmio, soprattutto mentre aumenta la concorrenza. Nonostante tutte queste criticità, però, è proprio questo il lavoro che vogliamo fare noi. È una scelta che si cala nel contesto strategico di Mediobanca, perché CheBanca! fa parte di un gruppo che punta a diversificare la propria attività crescendo in segmenti di business a basso assorbimento di capitale e ad alto apporto commissionale. E l’asset management risponde perfettamente a queste caratteristiche.

Come si svolge, nello specifico, questo vostro lavoro?
Abbiamo investito molto nella formazione dei consulenti di qualità, con l’obiettivo di trasferire ai clienti una crescente cultura finanziaria grazie all’utilizzo di piattaforme innovative e, ovviamente, di prodotti distintivi. Abbiamo, per esempio, Yellow Advice, un servizio di consulenza digitale che aiuta il cliente a disegnare un portafoglio coerente con il proprio profilo di rischio-rendimento, anche nell’attuale contesto di volatilità altissima. In questo, ribadisco, è fondamentale la fiducia: puntiamo a conquistarla giorno dopo giorno, con trasparenza assoluta e accessibilità nella comprensione di prodotti e pricing. Le nostre customer survey ci confermano un livello di soddisfazione altissimo da parte dei nostri clienti, che iniziano a conoscerci investendo una parte del loro patrimonio e poi ci eleggono come banca di riferimento. Per innovatività, comunicazione e competenze siamo a oggi un unicum nel panorama finanziario italiano.

Perché ciò sia possibile occorre anche una maggiore alfabetizzazione della clientela potenziale sugli elementi base di economia e finanza; come valutate le ipotesi di introdurre l’informazione finanziaria nelle scuole?
Molto favorevolmente, perché pensiamo che l’educazione finanziaria di base sia un valore che va assicurato alle famiglie. Ed è meglio iniziare da giovani, perché il percorso non è semplice, ma la comprensione degli strumenti finanziari e dei profili di rischio-rendimento è parte della corretta creazione di un patrimonio di competenze ormai fondamentale. Noi cerchiamo di dare un contributo: abbiamo creato sul nostro sito delle sezioni dedicate alla cultura finanziaria, attraverso le quali si può accedere a news, lezioni, test e simulazioni. Inoltre, abbiamo sponsorizzato eventi per valorizzare le start up più innovative e ci impegniamo per rendere sempre più comprensibile e trasparente la nostra comunicazione.

Un nutrito gruppo di osservatori considera le banche il maggior colpevole della situazione economica del Paese. Si sente di fare un po’ di autocritica?
Penso che un po’ di autocritica vada fatta, anche se la colpa non può essere addebitata in toto agli istituti di credito. Dal 2000 a oggi, alcune banche hanno ceduto alla tentazione di seguire troppo le “mode”. Fino al 2008, con l’euforia dei mercati e un eccesso di liquidità, i manager hanno inseguito i volumi e la redditività a breve termine mentre all’arrivo della crisi, con il fallimento di Lehman Brothers, è cambiato tutto: si concede pochissimo credito, abdicando al ruolo di sostegno all’economia reale, che invece è il ruolo sociale di una banca. Una banca deve essere redditizia per generare e attrarre il capitale che servirà a finanziare le famiglie: se si interrompe il ciclo di redditività, cala il servizio per i clienti e la capacità di far fronte ai costi. L’errore principale forse è stato inseguire alcuni modelli di business non coerenti con la sostenibilità dei conti economici. Noi siamo nati nel 2008 come una banca innovativa e digitale e il nostro modello multicanale si è rivelato vincente fin da subito nella capacità di guadagnare la fiducia dei clienti.

Nel vortice della bassa redditività, si è finiti per avviare un radicale taglio dei costi e delle filiali. Basta come risposta per dare ossigeno al sistema?
È vero, la parola d’ordine è razionalizzazione, lo si è visto anche all’ultimo Forum di Cernobbio, ma bisogna fare attenzione: il business è fatto da clienti che comprano i prodotti e manifestano apprezzamento attraverso la disponibilità a pagare servizi che offrono valore aggiunto. Non si può pensare solo a tagliare, bisogna tornare a servire e soddisfare i clienti. La nostra difficoltà, come sistema, sta nel non riuscire più a dare valore ai clienti: con una strategia orientata al solo abbassamento dei costi si corre il rischio di perdere dimensioni e competitività.

Sarà il fintech a salvare le banche italiane o le seppellirà definitivamente?
Sarà la capacità di offrire valore a salvarle, perché la tecnologia in sé non è una soluzione. Che cos’è il valore? Un insieme di prodotto, competenze e modalità di erogazione del servizio. Il fintech può essere determinante proprio su quest’ultimo punto – perché le modalità con cui si offrono i servizi fa la differenza – ma non può vivere senza le altre due componenti. Non è in grado, da solo, di cambiare la percezione del sistema o soddisfare tutte le esigenze della clientela.

La tecnologia, però, nel momento in cui svolge bene la sua funzione crea fiducia…
Certo, è fondamentale per lo sviluppo, ma rimane uno strumento. Facciamo l’esempio del robo-advisor di cui ultimamente si parla molto. Il nostro servizio di consulenza Yellow Advice unisce questa tecnologia con una forte presenza umana, al fine di fornire assistenza su misura per gli investimenti. Questo è un bell’esempio di tecnologia che porta un servizio al cliente e genera valore. Qual è la base? Un’intelligenza artificiale che, a fronte del contesto macroeconomico, crea gli algoritmi alla base dei portafogli modello. Ma solo questo non basta: quando il cliente valuta dove investire, magari metà del suo patrimonio, vuole confrontarsi con una persona. Anche solo per capire come nasce quell’interpretazione del mercato, per essere rassicurato nel breve termine, per capire come funziona. L’esperienza dice che gli europei sono pronti a sperimentare, ma poi hanno bisogno di un confronto: a funzionare non è la tecnologia da sola, ma questo insieme. Il cliente usa internet per le operazioni semplici, ma quando si tratta di investire vuole avere anche un contatto personale.

Il successo della banca del futuro, dunque, sarebbe nella banca del passato?
Il successo risiede nella capacità di creare un modello realmente multicanale. Molti colleghi fanno riferimento ai grandi concorrenti, li chiamiamo over-the-top (Facebook, Amazon, Paypal ecc.) e li pongono come benchmark con l’obiettivo di sfidarli sul loro terreno. È un errore logico. Il mestiere della banca non è trasferire cento euro da una persona all’altra, quello lo fanno già altri in maniera efficiente e a costi ridottissimi. Il nostro compito è difendere il patrimonio del cliente lavorando con lui e per lui.

Se la vostra platea di riferimento sono le famiglie, da dove nasce la vostra crescente attenzione nei confronti delle start up innovative?
Sponsorizzare le start up ha un valore perché porta educazione finanziaria nella società, aiuta la nostra comunicazione e ci permette di raccogliere idee per migliorare i nostri servizi alla clientela. Le incontriamo, cerchiamo di supportarle e collaboriamo con loro, anche se nel contesto italiano è molto meno comune rispetto al mondo anglosassone. Al momento non abbiamo un’offerta di servizi dedicata alle start up, ma non è escluso che lo valuteremo a tempo debito.

Lo scorso mese, il Country Manager di Facebook ha detto a Business People di essere moderatamente ottimista rispetto all’agenda digitale italiana. Visto che la piattaforma principale su cui voi operate è il Web, lei come si definirebbe?
Concordo. Il nostro modello multicanale prevede che il cliente in base alle necessità possa servirsi di internet, così come avvalersi delle filiali o del call center, anche in continuità. Il nostro motore di customer relationship management è evoluto: seguiamo il cliente ovunque. Tant’è che cresce costantemente il numero di persone che ci contattano via web, con un trend nettissimo.

Che volto avranno le banche del futuro?
Ma CheBanca! è già il prototipo della banca del futuro (ride). Perché la banca del futuro sarà basata sui nostri concetti: omnicanalità pura in cui nessun canale è prevalente. Anche l’acquisto di un fondo di investimento comincerà magari online, per passare poi al telefonico e finalizzarsi con l’incontro fisico. Immagino inoltre una banca con aree di specializzazione molto forti: investimenti, impieghi (risparmi), progetti (finanziamenti) e accumulo…quello delle competenze è un mio pallino. Mentre la standardizzazione sarà indispensabile sulla parte transazionale. Vedrà, presto anche tutti gli altri seguiranno il nostro esempio (ride)…

Credits Images:

Al vertice di CheBanca! dal marzo 2013, Gian Luca Sichel è anche amministratore delegato di Compass dal 2010 (dove era arrivato due anni prima come direttore generale). In passato, ha lavorato in Barclays e Clarima (Gruppo Unicredit)