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La forma è sostanza

Cosa succede se a un’innovativa azienda dell’arredamento in crisi si applica la lezione del fashion business? Può capitare che diventi uno dei riferimenti mondiali del design d’interni del calibro di Kartell. Dove la creatività è insieme coraggio, cuore e curiosità, mentre per i prodotti l’estetica non può prescindere da un prezzo accessibile. La nostra intervista a Claudio Luti

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Dategli una sedia (di plastica) e solleverà il mondo! Il redivivo Archimede è Claudio Luti, presidente di Kartell, campione nell’export dell’abitare innovativo, con una produzione che al 75% prende il largo dal nostro Paese per approdare in ben 130 flagship store, 200 shop-in-shop e oltre 2.500 punti vendita multi-brand nel mondo (dagli Emirati Arabi al Quatar, passando per la Cina dove – entro cinque anni – verranno inaugurati ben 50 negozi). Un’espansione che nel 2012 ha regalato all’azienda un ebitda pari a 32 mln su 110 mln di fatturato. Il come è presto detto: prendere materiali inediti, vedi poliuretano, policarbonato, moplan, polipropilene e altri polimeri sintetici pensati per uso industriale, e introdurli nelle case, creando accessori, lampade, mobili e complementi d’arredo emozionanti e funzionali. Oggetti che hanno forma e sostanza tali da essere esposti nei più grandi musei: dal MoMa e Guggeneheim di New York al Centre Pompidou di Parigi, dal Kunsthalle di Bonn alla Triennale di Milano. Luti non ha fatto tutto da solo. Kartell è stata fondata nel 1949 dai suoceri, Giulio e Anna Castelli, l’uno un ingegnere chimico innamorato della plastica che ha lavorato con un premio Nobel, l’altra un architetto che ha vissuto la ricostruzione nel dopoguerra di Milano accanto alle più grandi firme dell’epoca. Da loro ha rilevato l’azienda (in crisi) nel 1988, e – applicando l’esperienza maturata in 11 anni di gestione della Gianni Versace – l’ha trasformata in uno dei leader incontrastati del design d’interni a livello planetario. Una tradizione all’insegna della modernizzazione che continua ancora oggi al fianco dei due figli, Federico e Lorenza, anche loro coinvolti nella gestione della società. E un prestigio personale che è valso a Luti la nomina di presidente di Altagamma, carica che ha lasciato nell’ottobre 2012 quando è stato eletto presidente di Cosmit, l’ente organizzatore del Salone del mobile a Milano.

Il nome Kartell in sé non voleva dire nulla fino a quando non gli è stato conferito, attraverso i vostri prodotti, un sinonimo di oggetti iconici, di plastica sì, ma anche glamour e dal prestigioso design. Da che assunto si parte, da quale convinzione ci si muove per raggiungere un risultato simile?

Si parte da una missione di fondo, quella di innovare attraverso la ricerca su materiali e tecnologie (unite a un buon design) forme e funzioni dei complementi d’arredo fino a una vera e propria trasformazione della filosofia stessa dell’abitare, tanto che il brand Kartell è oggi più associato a un lifestyle che non a un singolo prodotto. Kartell vuol dire innovazione, design industriale, qualità. Tutto questo è raggiunto grazie a una profonda coerenza che anima l’azienda da 65 anni a questa parte. Sono entrato in Kartell nel 1988 e già l’azienda aveva lavorato in questa direzione per 40 anni. Quello che ho fatto è stato rispettarne l’anima e la personalità e tuttavia rinnovare profondamente l’approccio al prodotto, la scelta dei designer, l’attenzione al brand. Oggi sono soddisfatto nel constatare come questi ultimi 25 anni di lavoro abbiano dato risultati sorprendenti. Ci vuole convinzione, perseveranza e direzione.

Giulio Castelli, fondatore della società, soleva ripetere: «Non è facile fare accettare aspetti nuovi di cose antiche. Se l’uomo ha paura del nuovo, diamogli qualcosa di ancora più nuovo». A quali requisiti deve rispondere oggi un prodotto per poter essere definito innovativo?

Oggi che il design è ormai più che centenario, non credo tanto nell’innovazione formale quanto in quella funzionale e prestazionale di un prodotto. Penso che, grazie alla ricerca sui materiali, sulle loro proprietà e prestazioni e non da ultimo sui processi tecnologici, si possa dare vita ad autentiche “rivoluzioni industriali”. Siamo stati i primi, ad esempio, a proporre la prima sedia completamente trasparente nel 1998 (La Marie di Philippe Starck), importando nel settore del design un materiale e una tecnologia normalmente utilizzati in altri settori (vedi caschi/i parabrezza delle moto ecc.). L’anno dopo nel 1999 abbiamo presentato Bubble Club sempre di Starck, il primo “divano industriale” da esterni, in polietilene, realizzato con processo rotazionale (allora esclusivamente utilizzato per le taniche, grandi vasi per fiori ecc.). Il Bubble Club è stato poi insignito del Premio Compasso D’Oro nel 2001. A soli dieci anni di distanza (oltre a svariati altri prodotti innovativi) quest’anno abbiamo presentato il primo divano trasparente, realizzato in unico stampo: Uncle Jack, sempre di Starck. Peserà fino a 28 kg. Quello che intendo dire è che innovazione significa anche avvalersi di processi e materiali normalmente utilizzati in altri contesti industriali per rivoluzionare una funzione, ovviamente proponendo un prodotto glamour e di buon design a un prezzo accessibile. Questa è Kartell.

Da Philippe Starck a Vico Magistretti, da Gino Colombini a Gae Aulenti, e poi Patricia Urquiola, Alberto Meda, i fratelli Castiglioni, Antonio Citterio, Ron Arad, Marco Zanuso, Ettore Sottsass, Joe Colombo. Con la Kartell hanno collaborato e collaborano tutt’ora i più grandi designer italiani e internazionali, senza disdegnare i contributi più glam, vedi la collaborazione con Lenny Kravitz o con stiliti del calibro di Dolce&Gabbana, Moschino, Lacroix, Missoni e Valentino. Cos’è la creatività? Per alimentarla ci vuole più coraggio, come sosteneva Matisse, o più cuore come teorizzava invece Chagall?

Entrambi! La creatività è certamente una questione di cuore, passione, attenzione alla persona, amore per un progetto. Ma un pizzico di coraggio aiuta a guardare oltre e, appunto, a osare. Aggiungerei un terzo elemento: la curiosità. È grazie a una particolare forma di curiosità che il designer (o anche l’artista) vede “oltre” e crea, perché non si accontenta della realtà come gli si presenta, ma si pone delle domande e cerca le risposte in altri contesti e ambiti. In questo modo un progetto crea nuove funzioni e abitudini.

Think different, pare essere il suo motto ante litteram. Cosa le hanno insegnato le sfide creative a cui accennava prima che possa tornare utile anche in altri campi della produzione industriale?

La sfida è un po’ il mio motto, essendo un imprenditore. Sfida da Kartell significa, ad esempio, assumersi dei rischi per innovare, scegliere un progetto piuttosto che un altro, un designer nuovo, investire su stampi e tecnologie per dare vita a un prodotto rivoluzionario… se non si osa non si va avanti. La staticità non ha mai premiato nessuno.

Siamo entrati nell’era delle stampanti 3D, che sono destinate a rivoluzionare il mondo della produzione. Come vede questo ulteriore innesto tecnologico un industriale che non ha mai disdegnato di utilizzarli tutti, fino alle nanotecnologie e al laser?

Sono aperto e ricettivo verso tutte le forme di innovazione, ovviamente devono essere contestualizzate e razionalizzate. Innovare per innovare non mi interessa se poi non sono certo che si possa trasformare in un successo commerciale. È una questione di “fiuto” e di umiltà imprenditoriale: magari, di fronte a progetti fantastici e fantasiosi, bisogna fare un passo indietro perché banalmente i conti non tornano e il prodotto non nascerebbe sotto i migliori auspici. Dunque, prima di introdurre una nuova tecnologia e ipotizzare un investimento, occorre far una lunga e accurata analisi sulla ricaduta dei costi sul prezzo finale del prodotto e sul loro eventuale assorbimento nel lungo termine. Un prodotto Kartell deve durare nel tempo e non seguire trend passeggeri.

Lei ha fondato la maison Versace insieme a Gianni e l’ha amministrata per 11 anni. Dopo di che ha preso in mano le redini di Kartell, regalandole una seconda giovinezza. Le caratteristiche di un buon manager sono innate o si acquisiscono?

Alcune, come il coraggio o l’intelligenza, credo che siano innate. Si acquisisce forse un metodo e l’esperienza matura nel tempo offrendo senz’altro un valido strumento.

E un’azienda in crisi si può sempre rianimare o esiste un punto di non ritorno?

Per salvare un’azienda in crisi occorrono (oltre ovviamente ai capitali), visione, strategia e concretezza. Talvolta anche una certa fermezza nel prendere decisioni drastiche, finalizzate all’evoluzione e alla buona salute dell’azienda. Ne ho dovute affrontare alcune in Kartell, scelte non facili che poi si sono rivelate sensate nell’ottica del lungo termine.

LE PASSIONI DI CLAUDIO LUTI

LEI AMA VARI SPORT: TENNIS, CALCIO E SCI. C’È UNA RAGIONE COMUNE PER CUI È APPASSIONATO DI QUESTE ATTIVITÀ? Lo sport in sé comporta assumersi dei rischi, ed è quello che faccio costantemente nel mio ruolo di imprenditore. È una forma mentis. Mi piacciono anche gi sport estremi come lo sci d’alta quota a 3 mila metri, la vela o il sub. Osare consente anche di assaporare livelli più alti di esperienza vitale… momenti unici e irripetibili.

A QUALE GRANDE ARTISTA DEL PASSATO AVREBBE VOLUTO CHIEDERE DI CREARE UN OGGETTO PER KARTELL? Mi sarebbe senz’altro piaciuto collaborare con Le Corbusier. Chissà come si sarebbe espresso se avesse avuto a disposizione i nostri materiali e le nostre tecnologie…!

Siamo quasi alle porte dell’Expo 2015. Una grande opportunità per il nostro Paese che ogni tanto minaccia di naufragare. In quanto presidente di Cosmit, cosa ritiene che questa manifestazione debba prendere, copiare, dal Salone del Mobile per poter riuscire nel suoi ambiziosi intenti?

Come presidente Cosmit, una tra le mie priorità è di fare sistema e stabilire rapporti stretti e sinergici con le istituzioni, sollecitando investimenti su servizi e logistica sempre più funzionali, in grado di accogliere in modo fluido, snello ed efficiente i visitatori che provengono da ogni parte del mondo. L’immagine e la comunicazione, inoltre, sono indispensabili e il primo vero biglietto da visita per presentarsi al pubblico, ad esempio attraverso un valido sito Internet e delle app dedicate che si pongano come valide guide pratiche e informative per operatori del settore, architetti, giornalisti e visitatori. In vista dell’edizione 2015 dell’Expo Milano, la grande ambizione sarà di presentare e offrire una città fruibile, che in tutte le sue eccellenze sia perfettamente equipaggiata per connettersi a questo importante appuntamento di visibilità mondiale.

A tal proposito, in occasione dell’ultimo Salone, lei ha dichiarato: «In questo momento sappiamo che tutte le aziende che esportano poco hanno difficoltà e devono assolutamente cercare di aumentare questa voce nel loro bilancio. Per farlo, però, non possiamo aspettare che la crisi la risolvano gli altri. Dobbiamo farlo da soli, fare sistema fra noi senza aspettare che il sistema ci venga calato dall’alto». È un po’ una condizione comune alle imprese di molti settori quella da lei descritta. In definitiva come se ne esce?

Oggigiorno, in Italia, ci troviamo di fronte a una situazione molto frammentaria, dove ognuno è per sé, e le singole aziende sono lasciate da sole. Chi punta all’export e all’internazionalizzazione del proprio marchio lo fa esclusivamente a proprie spese, e solamente grazie a meriti individuali. Bisogna invece, come già succede per Paesi quali la Francia e la Germania, creare un sistema di uffici istituzionali nel mondo, anche attraverso delle vere e proprie lobby, che agevolino il business delle aziende del loro Paese accompagnandole nella distribuzione all’estero e in eventuali cause di contraffazione, così come nella certificazione e registrazione dei prodotti in loco. Occorre dunque un sistema centralizzato che coordini uffici locali in grado di guidare le aziende nei diversi mercati.

Come si tutela il made in Italy? Cosa ne pensa dell’idea di coloro che vorrebbero farne addirittura un brand?

Il made in Italy è già un brand a mio avviso, ma anche in questo caso va tutelato e sostenuto a dovere con delle azioni specifiche. Sarebbe auspicabile un contributo economico da parte delle associazioni di categoria o che fosse creato un fondo da parte del ministero dello Sviluppo economico per le aziende che si impegnano attivamente a tutelare non solo i propri prodotti ma il made in Italy e il Sistema Italia nel mondo. Inoltre, bisognerebbe fare più comunicazione ed educazione culturale perché credo ci sia ancora tanta confusione sulla concetto di made in Italy e su cosa questo rappresenti in realtà. Purtroppo ci sono molti impostori in giro, e per questo serve fare sistema affinché il pubblico sia educato a un consumo più consapevole di prodotti di vera qualità ed eccellenza.

C’è un oggetto Kartell che lei sente più suo?

Sono affezionato a tutti i prodotti che ho creato, perché in ognuno di essi ho trasferito la mia visione strategica e l’innovazione tecnologica impiegata per realizzarli. Se non fosse stato così, semplicemente non li avrei portati a compimento. Quando realizzo un prodotto, è perché ne intuisco le potenzialità di succes-so, e ci credo nel profondo. Sono tutti, quindi, come dei figli… difficile scegliere. Forse, banalmente, quello che sento più mio è il primo prodotto realizzato nel 1988, insieme a un giovanissimo Philippe Starck: la sedia Dr. Glob, un prodotto che ha rivoluzionato il mondo del design nei confronti della plastica introducendo nuovi concetti quali l’opacità, touch, colore personalizzato, combinazione di diversi materiali, spessori e spigoli.

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Al vertice di Kartell dal 1988 e di Cosmit da ottobre 2012, Luti ha fondato insieme a Gianni la maison Versace, dirigendola per 11 anni. Alla sua società ha donato una seconda giovinezza, rilevandola in un momento di profonda crisi. Come? Associando a materiali innovativi forme pensate dai più grandi designer italiani e internazionali, dando vita a originali campagne di comunicazione e distribuendo i suoi prodotti,in ogni parte del mondo. Tant’è che oggi ben il 75% della produzione viene esportata