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Si scrive crisi, si legge opportunità

Non a caso lo stesso ideogramma cinese le esprime entrambe. Nicola Maccanico, managing director di Warner Bros. Pictures Italia sostiene che si sta perdendo una grande occasione per ridisegnare l’assetto economico del paese. Rivendica per il cinema il primato delle storie sulla tecnologia, e sull’essere manager puntualizza: «Il capo che pretende di conoscere tutto più di tutti, sbaglia»

L’eloquio è deciso, tipico di chi ha dimostrato di essere andato oltre il cognome che (con orgoglio) porta. La visione è certamente politica: quasi una predestinazione per chi, come lui, già a cinque anni sgambettava per i corridoi del Quirinale. Giovane, è giovane: 39 anni, di cui sette passati a dirigere prima il marketing della Warner Bros. Pictures Italia, e a seguire, da deputy managing director e, dal novembre 2009, nominato managing director della divisione italiana della major hollywoodiana. Per intenderci, è quella che produce e distribuisce saghe miliardarie come Harry Potter, Batman e Superman, per non dire dei capolavori targati Clint Eastwood. Romano, una laurea in giurisprudenza e con precedenti in start up di service provider e in Stream e Sky, al suo primo anno da direttore generale Nicola Maccanico si è trovato a incorniciare un fatturato pari a 100 milioni di euro, record assoluto mai raggiunto. E per il 2011 si appresta a bissare il risultato, forte anche del fatto che Sony Pictures dal luglio scorso ha deciso di affidare proprio alla Warner la distribuzione in Italia dei propri film. L’obiettivo è ambizioso: diventare nel 2012 il numero uno assoluto del mercato. «I margini», assicura lui, «ci sono». I competitor sono avvertiti.

Maccanico, in giro si dice che Warner sia la più italiana delle major hollywoodiane. In che senso?Perché una quota crescente del nostro fatturato è realizzata attraverso la produzione e la distribuzione di film italiani, voce quest’ultima che rappresenta ormai per il box office nazionale circa il 40%. È un impegno che grazie a nomi come Verdone, Soldini, Castellitto, Luchetti, Vanzina ci colloca tra i protagonisti della produzione tricolore.

Non è un mestiere facile quello dei produttori di contenuti nell’era digitale, con tutte le complicazioni legate alla migliore distribuzione possibile – dalle sale ai tablet – di un prodotto immateriale e intellettuale com’è il cinema. Senza considerare la minaccia della pirateria.È vero, la tecnologia digitale sconvolge il nostro precedente equilibrio, perché offre certamente una serie infinita di opportunità, ma nessuno sa ancora quale sarà il modello di business più vantaggioso. Andando poi in direzione di un mondo in cui si impone il concetto di cloud, di disponibilità del contenuto ovunque l’utente si trovi, viene meno il possesso del supporto che lo contiene. Tuttavia, il grave ritardo nella diffusione della banda larga nel nostro Paese ci consente di guardare da vicino le esperienze internazionali e risparmiarci qualche errore. Sappiamo invece come fronteggiare la pirateria: un’offerta legale migliore, per prezzo e qualità, e una tempestiva applicazione delle norme da parte dell’autorità giudiziaria. Noi operatori, però, dobbiamo smetterla di fare pressione solo sulle istituzioni, cominciando a trattare l’offerta pirata alla stregua di un competitor.

Perché non è mai stato un sostenitore a oltranza del 3D?Il 3D ha generato una grande illusione perché – attirando spettatori e consentendo di vendere i biglietti maggiorati del 30% – in molti l’hanno visto come la panacea dei mali delle sale. Spentosi l’effetto novità, per quanto straordinario, il 3D è diventato quello che è: un modo attraente e diverso di vedere un film, un’opzione possibile. Di recente, anche noi abbiamo continuato a fare numeri interessanti con Lanterna verde, ma nessuno si illuda, si cresce solo in virtù delle storie che si è in grado di proporre, non inseguendo applicazioni tecnologiche.

Ho l’impressione che il vostro sia considerato un settore “facile”, in cui basta la passione. Come s’impara il mestiere del cinema?Sul campo, ma questo vale non solo nel nostro caso. Per esempio, da noi anche gli stagisti sono operativi, in più – essendo molto giovani – sono portatori di esperienze e visioni relative a un target molto importante. Da manager mi sento di dire che la passione non basta, che anzi può rivelarsi pericolosa perché fa prendere decisioni basate sull’emozione più che sulle aspettative del pubblico e i risultati aziendali. Quando non si hanno responsabilità decisionali, la passione è un prezioso carburante professionale, ma se devi decidere, è meglio la mattina rimanga a letto…

E lei di decisioni ha dovuto cominciare a prenderne presto. Come si arriva a ricoprire così giovane un ruolo manageriale all’interno di una multinazionale Usa, quando l’età media della nostra classe dirigente è di 47,7 anni?Sono arrivato al cinema per caso, da Sky Italia, dove ero european affairs manager. Ho avuto la fortuna che il presidente di Warner, Paolo Ferrari, mi candidasse al ruolo di direttore marketing. Avevo 32 anni e al momento dell’assunzione mi è stato detto: «Sappiamo che non sai nulla di cinema, ma pensiamo che tu possa imparare in fretta». Ho apprezzato che l’azienda abbia voluto scommettere su di me. Da noi il fattore umano fa la differenza, anch’io scelgo i miei più stretti collaboratori non solo in base alla competenza, ma anche alla personalità che possono esprimere.

È stato difficile farsi strada?Ferrari mi ha insegnato il mestiere. E poi ho trovato una squadra competente. Per il resto ho iniziato sbagliando anche l’abbigliamento: mi presentavo sempre in giacca e cravatta, sembravo un banchiere, quando l’ambiente del cinema è decisamente più easy. Ma ho provveduto in fretta…

Un manager giovane necessita di un team giovane?Non proprio. L’optimum è un mix tra entusiasmo ed esperienza, perché solo col primo c’è il rischio di imboccare direzioni sbagliate, provocando inutili perdite di tempo, la sola seconda invece rischia di rallentare l’insieme perpetrando una situazione corporativa. Sta al manager contemperare le varie anime ricordandosi che la sua vera responsabilità è organizzare il lavoro altrui e prendere decisioni, non essendo necessariamente più preparato degli altri. Il capo che pretende di conoscere tutto più di tutti, sbaglia. La base, quella che fornisce le informazioni, è necessariamente specialistica, mentre al vertice – generalista – spetta la visione d’insieme. Per questo ritengo che il vero manager sia chi costruisce un’azienda in grado di sostituirlo in tutta calma nel momento in cui decidesse di andare via.

Deve agevolare la sua sostituzione?Deve semplificare la vita dei suoi collaboratori. Ci sono troppi manager che se vanno a prendere il caffè si blocca l’azienda. Non delegano, rendendosi indispensabili, perché questo dà loro maggiore sicurezza. Solo che così non fai crescere le persone con cui lavori, mentre se loro crescono spingono in avanti anche te. Certo, c’è il rischio che qualcuno ti sopravanzi, ma fa parte del gioco.

Quante volte ha benedetto di aver fatto un errore, per averle consentito di imparare una lezione?Innumerevoli. Le dirò di più: io lavoro principalmente sugli errori. Perché se da una parte tengo a evidenziare i successi del mio team, a motivarlo, dall’altra mi piace analizzare anche le nostre attività meglio riuscite per individuare eventuali margini di miglioramento. Le potrei parlare di tempi di uscita di film sbagliati, di posizionamenti di campagne pubblicitarie imperfette, di produzioni non azzeccate. Per fortuna, il cinema è un po’ come il campionato di calcio: c’è sempre una partita successiva in cui puoi cercare di recuperare punti. Il bilancio si fa alla fine, e a oggi devo dire che è quasi sempre stato positivo.

Diciamolo pure, lei porta un nome “pesante”. Suo padre, Antonio Maccanico, è stato più volte ministro della Repubblica, ha lavorato con La Malfa e Prodi, e per i presidenti Pertini, Cossiga e Ciampi. È stato estensore della cosiddetta legge Maccanico, che ha istituito l’Agcom e non solo, per non parlare del celeberrimo lodo Maccanico. Con quali ricadute sulla sua professione?Positive e non. Avere un padre come il mio, che se l’è cavata nella vita, vuol dire possedere un patrimonio che bisogna amministrare. È un po’ come con i soldi: siamo pieni di esempi di eredi che hanno dilapidato i capitali di famiglia. Un cognome come il mio bisogna gestirlo, perché i più pensano che la tua vita sia piena di scorciatoie. E quelle ti capitano pure, ma ti capita anche di dover fare fronte ad aspettative elevate o di avere a che fare con chi pensa che il posto che ricopri sia dovuto solo al nome che porti. Poco male… Per quanto mi riguarda ho fatto tesoro di una dichiarazione che il presidente Ciampi fece durante un’intervista. Parlando del figlio disse che, per evitare di vivere di riflesso, doveva lavorare alla sua identità personale. Aveva ragione, l’unica soluzione praticabile in questi casi è trovare una propria strada e percorrerla fino in fondo, altrimenti si diventa un infelice per tutta la vita.

Lei la sua sembra averla trovata nel cinema. Certo che, vivendo a Roma, le rimanevano altre due strade da poter praticare ai massimi livelli, la carriera ecclesiastica…(ride) A mio modo, c’ho provato: ho frequentato la scuola dai preti…

E la politica.Che è una passione che condivido con mio padre.

Da manager appassionato di politica, che giudizio dà sull’ultima manovra finanziaria del governo?Profondamente negativo, ma bisognava intervenire in qualche modo per far fronte all’emergenza e a quanto chiedevano le autorità europee. Bisognava uscire dall’impasse e sarebbe stato opportuno che maggioranza e opposizione si fossero chiuse in una stanza per uscirne con un provvedimento condiviso e meno iniquo. D’altra parte non ci si poteva aspettare di meglio da un governo che non ha alcuno slancio propulsivo e mantiene al suo interno un movimento, come la Lega, che difende a oltranza precisi interessi territoriali. Occorreva piuttosto mettere mano a una serie di riforme strutturali, a cominciare dalle pensioni e dall’evasione fiscale ai costi della pubblica amministrazione. Eliminando i privilegi precostituiti e antieconomici che permangono all’interno del nostro sistema previdenziale, introducendo strumenti come il “controllo doppio” per rendere la richiesta della fattura un gesto conveniente, e intervenendo sul numero eccessivo dei parlamentari e sulle spese improduttive degli apparati amministrativi.

Cosa più grave è che non s’è fatto nulla per la crescita…La verità è che stiamo perdendo un’occasione storica, questa crisi avrebbe potuto essere una grande opportunità per ridisegnare l’assetto economico dell’Italia. Non è un caso che i cinesi usino lo stesso ideogramma per scrivere le parole crisi e opportunità… Noi invece la stiamo trattando da crisi e come tale la stiamo vivendo, in una lotta tra fazioni che ha messo da parte ideali e ideologie disconoscendo ogni rispetto dell’avversario e del compromesso come sintesi del confronto democratico.

Tutta colpa di Berlusconi?Il torto più grave del berlusconismo è l’aver sovrapposto il piano economico e quello politico. Ma attribuire al premier tutte le responsabilità di quanto sta accadendo è sbagliato. C’è un concorso di colpe nelle istituzioni, nella magistratura e nei media: negli ultimi 20 anni la nostra classe dirigente non ha saputo costruire ricchezza, valore ed equilibrio sociale.

Dica la verità, quanto la tenta la politica attiva?Al momento poco, e nessuno mi ha mai chiesto di farne parte. Non credo nel professionismo politico senza aver prima sperimentato il confronto con la società civile ed aver maturato una propria storia professionale. Al momento il mio obiettivo è fare bene, al meglio, il manager; se in una seconda fase della mia vita qualcuno dovesse pensare che il mio contributo potrebbe essere utile al Paese, non escludo di poterlo fare. D’altra parte mio padre mi ha sempre insegnato che bisogna avere fiducia nell’umanità, e io sono convinto che gli italiani siano decisamente migliori di chi e da come vengono oggi rappresentati.

In questa nostra chiacchierata, lei ha spesso alluso alla fortuna. Winston Churchill sosteneva che non esiste, e che fortuna è «ricerca puntuale dei dettagli». Si ritiene più fortunato o più perfezionista?Ho la fortuna di essere perfezionista…

LE PASSIONI DI NICOLA MACCANICO

LIBRO I am Legend di Richard Matheson

PROGRAMMA TVQualcosa di personale di Antonello Piroso (Espn sport classics, più precisamente rivedere le partite della Juventus quando vinceva…)

PIATTOFrico, piatto friulano a base di formaggio e patate

FILM Gran Torino di Clint Eastwood

LUOGOSan Pietro di Positano

SPORTTennis

MUSICAU2 e il primo Michael Jackson

HOBBYLeggere biografie di personaggi diversi come politici, cantanti, sportivi; consiglio al riguardo Open la biografia di Agassi che ho appena finito

AUTOSmart (ho in vendita un’Infiniti ormai da 12 mesi senza successo, se qualcuno fosse interessato…)

Credits Images:

Nicola Maccanico 39 anni, romano, una laurea in giurisprudenza. Dal novembre 2009 è managing director di Warner Bros. Pictures Italia