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Una donna di valore

Professionalità, impegno, rispetto, coerenza e fascino, un potente mix racchiuso in Bruna Bottesi, vice president e general manager Imaging e Printing di HP Italia

L’economista Arnold Kling non ha avuto titubanze quando gli è stato chiesto cosa avrebbe cambiato se sarebbe potuto ritornare a prima della crisi: «Sostituirei gli amministratori delle grandi banche e dei colossi della finanza con top manager di sesso diverso». Una provocazione o semplicemente un modo per sottolineare che anche nei grandi colossi dell’economia le donne stanno fuori dalle stanze dei bottoni lasciando spazio così solo a un’uniformità di punti di vista e di comportamenti che può diventare persino pericolosa? Ebbene di certo se anche solo ci concentriamo sui board delle prime 40 prime aziende italiane a maggiore capitalizzazione, vediamo che solo 20 consiglieri su 600 sono donne. E non va tanto meglio se si prendono in considerazione le posizioni di vertice o di top management. Non è casuale che il tema delle quota rosa – ma forse sarebbe meglio parlare di quote di genere – è diventato un caso alimentato da un dibattito quanto mai vivace. Eppure Bruna Bottesi ce l’ha fatta. Siede dall’inverno 2008 sulla poltrona di vice president e general manager della divisione Imaging & Printing di HP Italia. Parliamo, quindi, di un colosso mondiale del mondo It: 115 miliardi di dollari di fatturato nel 2009 e 310 mila dipendenti. Bottesi ha la responsabilità di sei business unit nell’ambito della stampa e della gestione documentale. Un insieme di prodotti e di servizi che a loro volta si rivolgono a mercati molto differenti: consumer, small & medium business, entraprise, public sector e graphic.

La sua è una responsabilità complessa…La semplice parola “stampa” racchiude un mondo, per il quale la nostra offerta è davvero ampia: dalle stampanti per la casa alle macchine di alta produttività per la stampa di libri, dalla gestione di ambienti complessi alle soluzioni per la piccola e media impresa, dalla stampa industriale per le insegne alla grafica per veicoli, dalla stampa di produzione commerciale e photofinishing a soluzioni web based per la stampa di fotolibri personalizzati, dalla stampa di etichette e imballaggi a quelli di poster, mappe, striscioni per arrivare alla stampa in tridimensione per modelli in ambito meccanico! Una responsabilità sì complessa… Ma straordinariamente appassionante.

E di vertice. Questo la fa sentire una donna di potere?Non nego che sia una posizione di rilievo, ma preferisco pensare di essere rispettata per l’impegno verso le persone e riconosciuta per il valore del mio lavoro. Un percorso peraltro costruito con coerenza negli anni.

Perché parla di coerenza?Perché la credibilità nasce, anzi si costruisce, con la congruenza con cui si gestisce il business all’interno e all’esterno dell’azienda nel tempo. Questo significa non farsi guidare mai dall’onda del breve termine e dalla singola occasione, ma sempre dalla prospettiva di medio-lungo periodo. Alla base c’è la convinzione che ci sono valori anche nel business che sono imprescindibili e su cui non ci sono aperture al compromesso.

Per esempio…Il rispetto, in senso ampio, nei confronti delle persone, degli impegni ma anche dei competitor, e ancor prima del mercato. Senza rispetto è difficile che si sia credibili. Ed esserlo in una multinazionale è molto importante anche all’interno dell’azienda.

HP schiera ben due vice-president donne e questo stupisce. Si sente a favore delle quote rosa nei cda?Sul tema delle quote rosa vedo luci e ombre. Da un lato trovo surreale che si debba ancora ricorrere a una forzatura organizzativa o legislativa; dall’altro questa strada sembra essere l’opzione più percorribile per far sì che venga rispettato il valore della diversità intesa come mix di talenti. C’è da augurarsi che possa essere solo lo spunto iniziale per attivare un reale cambiamento.

Ha parlato però di valore della diversità e non di valore delle donne. Può spiegare meglio?Credo molto nel valore della differenza. Culture, esperienze, età, sessi diversi miscelati sono in grado di portare un grande contributo a una company. Questo significa che non credo all’assunto che sempre una donna è portatrice di valore, ma che la vera forza stia nel mix dei talenti, che quindi devono essere anche femminili, se meritano. È una questione di merito, non di sesso. Poi certo per me è stato importante lavorare in un’azienda come HP che ha valutato positivamente il valore che portavo come talento e l’ha alimentato. E così è stato fatto per Alessandra Brambilla (vice president HP personal system group). Attenzione però arrivare ad alti livelli per una donna ha un costo: bisogna accettare compromessi con la sfera personale e familiare. Anche per questo lavorare in una company che riconosce questa difficoltà e cerca di attenuarla con degli strumenti di flessibilità – orario elastico e home working, per esempio – aiuta.

Perché è così difficile che ci sia un riconoscimento al femminile?C’è innanzitutto un nodo a monte: prevalentemente sono gruppi di uomini quelli che decidono dei talenti. È ovvio che prevalga il punto di vista maschile su cosa e chi è talentuoso. Inoltre una cultura della diversità non è così diffusa, anche nelle grandi società internazionali. Di contro in HP proprio questa ideologia – attenzione non fine a se stessa, ma come fonte di valore – è sempre stata vista come un grande patrimonio e quindi è stata ed è alimentata. Tanto che esistono processi strutturali, sia a livello locale che internazionale, dedicati alla valutazione dei talenti e dei percorsi di carriera per coltivarli. Questa è senza dubbio una best practice a sostegno anche dei talenti rosa.

Lei si occupa di printing. La stampa è sinonimo di carta, ma giorno per giorno tutto diventa sempre più virtuale. Non la spaventa?Iniziamo con il dire che non credo che si stamperà meno, ma che piuttosto si stamperà in modo diverso e cose diverse proprio grazie all’esplosione dei contenuti digitali. Nello stesso tempo le printer smetteranno di essere pure stampanti. Già oggi è possibile accedere al web attraverso diversi dispositivi tra cui anche le nuove stampanti, scaricare informazioni, modificarle, inviarle e poi stamparle. Questo approccio più virtuale consente una maggiore personalizzazione dei contenuti e una stampa più mirata. Le nuove tecnologie saranno un alleato importante per poter accedere ai contenuti via web, crearne di nuovi, condividerli e stamparli dove e quando serve attraverso qualunque dispositivo. Come? Grazie al cloud dove la stampante viene vista come un nodo della rete che abilita a una serie di servizi, di applicazioni e di contenuti da remoto.

Oggi connettività e cloud sembrano essere due parole d’ordine di HP, e non solo. Perché?È semplice: l’esigenza di mobilità cresce esponenzialmente. Basti pensare ai tassi di crescita dei dispositivi mobili come gli smartphone per capire perchè HP sta sviluppando soluzioni di connettività e di cloud computing, ovvero di quegli abilitatori tecnologici all’accesso e alla fruizione dei contenuti digitali sempre e dovunque.

È facile essere la subsidiary italiana di una multinazionale americana?Per certi aspetti non è semplice. Mi spiego. L’Italia non è in grado di distinguersi per tassi importanti di crescita, peraltro neanche di decrescita. Il nostro mercato si muove sempre con range modesti. Questo fa sì che l’internazionale guardi sì all’Italia – visto che è una subsidiary in grado di portare numeri importanti e di esprimere eccellenze – ma non mette il nostro mercato nella hit list dei mercati da sviluppare. Questo è ovviamente anche espressione dei limiti del nostro sistema Italia.

Ha parlato di eccellenze, quindi l’Italia non è sempre fanalino di coda come siamo abituati a ritenere?No assolutamente. Ambiti come il consulting & service HP Italia è esempio di best experience; nel mercato graphic vantiamo una quota di mercato che altre country possono solo sognare, e potrei continuare. Il valore italiano è riconosciuto. La difficoltà è piuttosto di attrarre qui gli investimenti, proprio per la ragione detta prima. E questo rende ancor più strategica la credibilità del nostro top management in headquarter.

HP è una società americana, il che è sinonimo di team building. Cosa rappresenta per lei il team e qual è la strada per ricevere il massimo dal proprio team e quale per dare il massimo al proprio team?Credo molto nel lavoro di squadra. La diversità e il confronto sono elementi basilari per creare consapevolezza, motivazione e rafforzare il team. Questi valori vanno poi associati alla concretezza e alla capacità di guidare attraverso l’esempio. Coinvolgere e farsi coinvolgere possono sembrare concetti scontati, in realtà richiedono forte empatia e volontà di mettersi in gioco.

Lei è da quasi 20 anni in HP. Cosa lega così a lungo un manager a un’azienda?Due ragioni. La prima è legata alla filosofia aziendale di HP, l’ HP Way per l’appunto, un insieme di valori e comportamenti che permettono agli individui autonomia operativa, spazi di crescita, formazione e una certa informalità come fattore aggregante. Questo mi lega in primo luogo a quest’azienda e fa di HP una scuola di business ma prima ancora un’intensa esperienza umana. La seconda è perché HP mi ha permesso di crescere e di sviluppare le mie competenze in modo trasversale, spaziando in tipologie di business molto diverse tra loro sia per dimensione che per dinamiche di mercato. Quindi paradossalmente ho cambiato lavoro senza cambiarlo.

HP Way significa che tutti si danno del tu?Non solo, non ci sono uffici chiusi per cominciare, neanche quelli dei vp senior. HP riconosce a chiunque la capacità di esprimere valore. La condivisione è parte del dna di questa company. Il senso di appartenenza è una delle sue più forti energie. C’è fiducia ma anche forte responsabilizzazione, perché se tutti per HP possono essere sorgente di valore, a tutti è anche chiesto di dare il meglio. Poi i ruoli rimangono e rimane il fatto che a volte questi ruoli prendono anche decisioni scomode, non condivise.

Ma questa filosofia paga?Tantissimo. HP ha una cultura per obiettivo: l’importante è raggiungere il traguardo nel miglior modo possibile. Ebbene i risultati di molti anni ci dicono che l’HP Way spinge a dare il massimo.

Due ingegneri – Bill Hewlett e David Packard – nel 1939 fondano la società. Decenni dopo HP è sempre nei primi 10 marchi dei 100 Best Global Brand di Interbrand. Come si costruisce il valore di un marchio nel tempo?Un marchio acquisisce valore quando è in grado di mantenere una sua capacità distintiva sul mercato attraverso innovazione e qualità, riconosciuta dall’esperienza positiva del consumatore o dell’azienda maturata con un dato prodotto, servizio o soluzione. Il valore del marchio HP è in continua crescita proprio perchè l’azienda offre soluzioni innovative e non soltanto nuove. È il caso della recente introduzione del web connected printing: una vera e propria rivoluzione che, senza l’ausilio di un PC, abilita l’accesso diretto alla rete in modo semplice e sicuro.

Innovazione ed efficienza sono veramente le ricette anti-crisi?Ovviamente per un’azienda IT l’innovazione è un fattore imprescindibile della competitività. È anche scontato dire che la crescita dell’efficienza dei processi aziendali è stata una delle prime priorità, ma sempre per ottenere una catena del valore più efficace. L’efficienza fine a se stessa, senza efficacia, è qualcosa di molto relativo. La vera sfida è proprio quella di fare di più con meno però aumentando – e non diminuendo – la capacità di generare business e profitto. Il bilanciamento tra questi due obiettivi non è semplice, ma è certamente più complesso se un’azienda non ha una visione strategica di medio-lungo periodo.

Lei ha recentemente affermato che è anche importante cambiare pelle…Durante la crisi bisogna mettere in discussione i propri modelli di business e sviluppare skill – competenze, strutture, processi, leader – che servono ad affrontare un mercato difficile. La capacità di leggere e di cavalcare il cambiamento è quanto mai determinante. Oggi per esempio iniziamo a vedere i segnali di una ripresa, è quindi altrettanto importante valutare se le posizioni conservative adottare nel 2009 non siano ora al contrario penalizzanti.

Oggi si parla sempre più anche di stabilità monetaria per una sana ripresa. Qual è il pensiero di un’azienda che lavora in Europa con il dollaro?Questa è la grande partita, ma è anche una partita che si gioca al di fuori della sfera anche dei colossi multinazionali. Ecco perché dico che oggi tutti operiamo in un contesto di grande instabilità, non solo finanziaria, ma anche economica e politica. Questo è un dato di fatto. La mia capacità di business manager di una multinazionale americana che ragiona e lavora con il dollaro e con altre valute al di fuori dell’euro, sta proprio nel lavorare con la volatilità dei parametri – cambi Asia-America-Europa inclusi -, monitorandoli per cominciare e cercando di mantenere il più possibile in equilibrio il business livellando i gap di revenue e di competitività che inevitabilmente si vengono a creare. HP come altre multinazionali ha introdotto dei meccanismi che cercano il più possibile di stabilizzare nel semestre i picchi forti di fluttuazione. Ma detto questo comunque le fluttuazioni rimangono e la necessità di saperle gestirle pure.

LE PASSIONI DI BRUNA BOTTESI

LibroIl cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini

Programma TvNdp di Piroso

Vino Sauterne

LuogoTutti e nessuno, dipende dalla compagnia

HobbyLettura e musica

Musica Maroon 5

PiattoSpezzatino alla Tirolese

Squadra La Ducati con Rossi nella prossima stagione!

Credits Images:

Bruna Bottesi, 44 anni, sposata con una figlia, è vice president e general manager Imaging & Printing di HP Italia dal novembre 2008. In azienda dal 1991, ha ricoperto ruoli di responsabilità in diverse aree tra le quali il product management, la gestione del canale distributivo e la gestione di partner e fornitori di software indipendenti