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Lunga vita al coccodrillo

Ottant’anni di polo, tennis, moda. Dalle origini all’epopea nei tornei di tutto il mondo, ecco come René Lacoste cambiò il modo di vestire dentro e fuori dal campo. Una rivoluzione semplice e istantanea, come tutti i grandi colpi di genio

Ottanta, e non li dimostra. Il celebre coccodrillo continua a guardare verso destra, e a incarnare un mito dell’abbigliamento sportivo. Chi non ha, o non ha avuto, nell’armadio una polo Lacoste? Si fa presto a dire polo: eppure la nascita di questo capo nacque per una vivace intuizione del campione René Lacoste, che rivoluzionò la moda maschile sui campi da tennis sostituendo la tradizionale camicia a maniche lunghe in tessuto inamidato con un leggero e comodo modello a mezzamanica in jersey di cotone a nido d’ape. Prima i maghi della racchetta giocavano in pantaloni, camicia e cravatta: grazie alla comparsa di Lacoste e della sua polo, si giocarono i set con la comoda maglietta in cotone piquet.

LA GUERRA DELLE POLO: LACOSTE VS FRED PERRY

Alloro o coccodrillo? Si parla, ovviamente, dei piccoli simboli campeggianti sulle polo: l’alloro inglese di Fred Perry e il coccodrillo francese di Lacoste. «Noi ragazzi ad Arezzo», conferma Patrizio Bertelli, patron di Prada, «consideravamo quelli con la Lacoste dei signorini, indossavamo le Fred Perry». Storicamente sodale del coccodrillo è invece Massimo Moratti, presidente dell’Inter: «Quelle polo hanno cadenzato la mia giovinezza, è un marchio che considero come un parente. Non a caso ne ho regalata una scoloritissima, che aveva almeno 30 anni, a mio figlio Angelo. L’avevo indossata durante il mio primo viaggio con mio fratello Gianmarco». Sul fronte Lacoste hanno suscitato ammirazione per esempio quella a righine indossata da Gwyneth Paltrow nel cult-movie di Wes Anderson I Tenenbaum, più le svariate multicolori di Diego Abatantuono e di Nicola Pietrangeli, il cui padre è stato rappresentante della ditta francese per decenni. Fred Perry accompagna invece le apparizioni degli Oasis, è nel guardaroba degli attori britannici Rupert Everett e Ewan Mc Gregor, ma anche in quello del re di Spagna, Juan Carlos, che le usa in barca, di Valentino Rossi, Fabrizio Frizzi, Dario Fo.

La vera storia del Coccodrillo non può essere separata da quella di René, nato a Parigi nel 1904: il primo torneo lo disputa nell’ isola di Wight, dove era stato mandato a imparare l’inglese. È piccolo, fragile e non prometteva benissimo, nonostante fosse stato affidato al miglior insegnante parigino dei tempi, Henri Darsonval. Dopo le prime sconfitte, però, il carattere determinato del ragazzo si evidenzia: inizia a studiare il gioco dei migliori tennisti francesi, annota tutto su un taccuino, del quale Patricia Kapferer e Tristan Gaston-Breton, autori del libro Le style René Lacoste (edito da L’Equipe), riportano il facsimile di una pagina, scritta su una cartaccia da pacchi. Diventa il proprio allenatore: raffinato, severo, quasi maniacale, lucidissimo. È lui il Coccodrillo. Perché? «Il soprannome», ha raccontato in varie occasioni lo stesso campione, «mi venne dato dai miei compagni di squadra. A Boston, dove eravamo per la semifinale con l’Australia di Coppa Davis, passavo ogni giorno davanti alle vetrine di un negozio molto elegante che esponeva una magnifica borsa in pelle di coccodrillo, perfetta per contenere le mie racchette. La mia adorazione per la borsa in questione divertiva i miei compagni e il nostro capitano, Pierre Gillou, che finì per promettermi che se avessi vinto i miei due singolari, me l’avrebbe regalata. Così fu mia, e io diventai il Coccodrillo». Il pubblico si affezionò subito al soprannome, che metteva in risalto l’implacabile perseveranza dimostrata dal campione sul campo da tennis. In pratica, non mollava mai la presa. E fu subito leggenda, grazie anche a un articolo apparso sul Boston Evening Transcript in cui si parlava del campione francese come “il Coccodrillo”. Un coccodrillo disegnato dall’amico Robert George fu ricamato sul suo blazer e, da un campo da tennis all’altro, il mito cominciò a diffondersi. La polo 1212 fu il grandioso colpo di genio, e non rimase confinata nell’ambito tennistico, ma si diffuse anche sui campi da golf grazie alla moglie di René, Simone Thion de la Chaume, che era una golfista di enorme talento. Dal pubblico degli anni ‘30 Lacoste fu amatissimo per le prodezze sportive, da “solista” e per aver fatto parte, insieme a Jacques Brugnon, Henri Cochet e Jean Borotra, della formidabile squadra dei “Quattro Moschettieri”, sportivi diversissimi capaci di strappare agli americani la Coppa Davis agli statunitensi nel 1927 e vincerla per sei stagioni consecutive, fino al 1932. Di questi quattro, Lacoste era il più giovane, ma il più abile a rete. Nel singolo ottenne grandi risultati: grazie alla sua brillante tattica, ai suoi colpi sopraffini da fondo campo e il suo rovescio perfetto vinse due volte il torneo di Wimbledon (nel 1925 e nel 1928), tre volte il Roland Garros (1925, 1927 e 1929) e due edizioni del US Open (1926 e 1928).

DI PARI PASSO CON WIMBLEDON

Difficile scindere la carriera agonistica di René Lacoste dal più antico e prestigioso evento nello sport del tennis, dove fu trionfatore. Il torneo, partito il 24 giugno a Wimbledon (Londra) e tutt’ora in corso, è il terzo dei tornei del Grande Slam; si gioca ogni anno, preceduto dall’Australian Open e dagli Open di Francia, e seguito dagli US Open. La competizione (l’unica tra quelle del Grande Slam a essere giocata sull’erba) dura due settimane, soggette a protrarsi a causa della pioggia. La prima edizione si tenne nel 1877; unico evento disputato fu il singolare maschile. Nel 1884, l’All England Club aggiunse il singolare femminile e il doppio maschile. Il doppio femminile e quello misto vennero aggiunti nel 1913. I Campionati si spostarono nella sede attuale, nei campi vicino a Church Road, nel 1922. In occasione della prima edizione il Times dedicò all’evento otto righe a pagina 11. Il primo nome non inglese che appare nell’albo d’oro del torneo è quello dell’americana May Sutton, che vinse a soli 18 anni nel 1905. Lacoste, insieme a Borotra, Cochet e Brugnon vinceva sui campi di tutta Europa; i Quattro Moschettieri non potevano mancare all’appuntamento inglese. Dal 1924 al 1929 ebbero il monopolio: Borotra in finale su Lacoste, poi Lacoste, in finale su Borotra, poi Borotra su Howard Kinsey, Cochet su Borotra, Lacoste su Cochet, Cochet su Borotra. Si portarono a casa anche due doppi: uno nel 1925 con la coppia Borotra-Lacoste, un altro nel 1926 con Brugnon e Cochet. Nel 1977 ci fu grande festa; per celebrare il centenario del torneo il duca e la duchessa di Kent invitarono tutti i vincitori del passato ancora in vita (27 uomini e 15 donne). Il campo principale (Centre Court) può ospitare 18 mila spettatori; dal 2009, grazie a un tetto retraibile, si sono evitate le solite lunghe interruzioni del torneo causate dai temporali.

Il giornalista sportivo Gianni Clerici racconta di avere a lungo creduto che il soprannome, Le Crocodile, derivasse dall’atteggiamento tattico, dal tennis geometrico basato sulla regolarità, le percentuali, i passanti: ma fu lo stesso Lacoste a spiegare, durante un’intervista, la verità. Per lui, nato in una famiglia modesta, il successo sui campi da tennis e poi alla guida dell’azienda che oggi festeggia una lunga storia, fu fonte di grande felicità. Quando, meno che trentenne, si ritirò dal professionismo, fondò con l’amico e collega André Gillier la linea di abbigliamento sportivo che porta ancor oggi il suo nome. Grazie alle sue universali polo divenne celeberrimo e molto ricco: nel 1967 si trasferì a Saint-Jean-de-Luz, dove diresse fino all’ultimo giorno di vita la sua azienda.

QUANDO IL COCCODRILLO FU BATTUTO DA UN DENTISTA

Tra i tanti successi che ha conosciuto Lacoste in questi 80 anni c’è una piccola sconfitta di cui pochi sono a conoscenza. Nel 2008 l’ufficio centrale dell’Intellectual property britannico di Londra stabilì che la causa intentata dalla casa francese contro un piccolo studio odontoiatrico di Cheltenham, nel Gloucestershire, per violazione dei diritti sul celebre logo del coccodrillo non aveva fondamento. La clinica di Simon Moore e Tim Rumney aveva avuto, secondo Lacoste, il torto di stampare sul proprio biglietto da visita un coccodrillo dai denti aguzzi che avrebbe potuto indurre i consumatori ad associare le polo da tennis a trapani e bisturi. Moore e Rumney si sono difesi sostenendo che era impossibile confondere un brand da passerella con un piccolo studio medico di provincia. E in effetti, come sostiene la sentenza del giudice Ann Corbett, confermata anche in appello, «i servizi dentistici sono così differenti dall’abbigliamento che il consumatore medio, opportunamente informato e ragionevolmente vigile, non può commettere un errore del genere». L’errore di Lacoste, invece, è costato 1.450 sterline, il rimborso delle spese legali sostenute dallo studio dentistico del Gloucestershire.

La polo Lacoste è uno di quei magici casi dell’identificazione di un capo con un marchio. Oggi, dire Lacoste è sinonimo della polo e cercare una Lacoste vuole anche dire essere alla ricerca di una maglia di quel tipo. E se all’inizio le strade battute erano perlopiù formali, sono poi cominciate le riletture dei capi attraverso infinite varianti di colori e di forme, tagli e sfumature. Il brand si è allargato ad altri sport, come il golf, diventando forse uno degli elementi di abbigliamento più famosi e riconosciuti a livello mondiale. Lacoste, negli anni, ha abbracciato la moda a 360 gradi: il marchio ha progressivamente arricchito e ampliato le sue collezioni con scarpe, abiti, accessori e molto altro. Attualmente, il Coccodrillo è presente in 110 Paesi diversi attraverso una rete distributiva che comprende anche 1160 boutique monomarca. Nel 2011 il marchio ha raggiunto un volume d’affari all’ingrosso di 1,6 miliardi di euro, pari a 3,7 miliardi di euro al dettaglio, di cui 90% generato al di fuori della Francia.

E per festeggiare il proprio 80° anniversario Lacoste ha creato una collezione esclusiva: si parte con la gamma Edition, una serie di articoli che ripercorrono i principali momenti di gloria. Per disegnare la polo, ad esempio, ci si è basati su alcuni bozzetti originali di René Lacoste (il quale amava di tanto in tanto creare i capi in prima persona) presi dall’archivio storico dell’azienda. Un altro punto di forza di questa linea è la nuova edizione, sempre nella classica tonalità biancolatte, della scarpa da tennis in canvas, con trama a lisca di pesce, lanciata da Lacoste nel 1963. Quanto agli occhiali da sole, sono stati ideati come rilettura moderna della montatura da aviatore che fu un successo Lacoste negli anni ‘80. Unexpected è invece la gamma che guarda al futuro del brand: anche il “classico” abitino polo femminile è proposto in otto tessuti diversi, mentre le scarpe evocano le espadrillas di origine basca. Chissà se Monsieur Lacoste, quando diceva «io, quando voglio una cosa, impiego l’unico mezzo che ho a portata di mano, una minuziosa preparazione», avrebbe mai immaginato tutto questo, e che nel mondo si sarebbero venduti due prodotti Lacoste ogni secondo?

UN LOGO AD HOC

Per commemorare i suoi 80 anni, Lacoste ha incaricato Peter Saville di creare il logo dell’anniversario. Saville, ritenuto un guru delle opere grafiche per la sua geniale impronta anticonvenzionale, ha iniziato la carriera come co-fondatore e art director della leggendaria etichetta discografica Factory di Manchester; in quel periodo crea una serie di celebri copertine di disco per i Joy Division e New Order. Ha collaborato con grandi nomi della moda, tra cui Jil Sander, Christian Dior, Givenchy, Alexander McQueen e Stella McCartney. Nel 2003 il Design Museum di Londra gli ha dedicato un’imponente mostra retrospettiva che in seguito si è spostata a Tokyo.

Credits Images:

René Lacoste nel 1932, all’epoca dei Quattro Moschettieri. Quell’anno a Wimbledon il quartetto francese si aggiudicò la Coppa Davis