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A lezione dalla natura, intervista a Reinhold Messner

Una preparazione fisica e mentale adeguata non è soltanto la prima regola per affrontare montagne e viaggi estremi, ma è anche punto di partenza per una buona leadership aziendale. Lo insegnano le spedizioni di esploratori e scalatori ormai entrate nella storia e diventate fonte di ispirazione per una platea di manager a livello internazionale

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Da oltre 30 anni è uno dei simboli mondiali dell’alpinismo: grazie alle sue 3.500 imprese, Reinhold Mes­sner ha realizzato cento prime ascen­sioni, scalato tutti i 14 ‘ottomila’, at­traversato deserti e distese di ghiac­cio, dalla Groenlandia al deserto dei Gobi. Volto fami­liare anche ai meno esperti di montagna (chi non ricor­da “Altissima, purissima, Levissima”?) e fondatore del Messner Mountain Museum, mette oggi la sua esperien­za e la sua conoscenza della natura selvaggia a disposizio­ne di aziende di tutto il mondo (circa 15 incontri l’an­no, dal Giappone all’America, da Hong Kong a Lon­dra, al Sudafrica) per testimoniare e raccontare la capa­cità dell’uomo di reagire alle sfide più estreme, traccian­do linee guida che possono essere trasposte nella gestio­ne del rischio in ambito manageriale. Del resto, Mes­sner ha partecipato alle spedizioni dei “ragazzi del Dax”, gruppo fondato da businessman tedeschi oltre 20 anni fa e che si riunisce ogni anno sulle montagne. I parelle­lismi tra l’esperienza nella natura, la wilderness (e il parti­colare approccio mentale che consente di affrontarla) e la gestione dell’impresa non mancano, a partire da quel­lo che è il senso dell’avventura per Messner, il coraggio di esporsi e, soprattutto, in quello che è stato il suo modo di vivere la montagna, lo stile alpino, l’arrampicata sen­za ausili esterni (equipaggiamento minimo e leggero, sen­za portatori, sherpa od ossigeno supplementare) che nel 1980 lo portò sulla cima dell’Everest. Un approccio che dalla montagna si sposta alla gestione aziendale e alla po­litica, come lo stesso Messner spiega quando riflette sul­la “dimensione della rinuncia”: «Solo chi impara a rinun­ciare a determinati tipi di aiuti, sovvenzioni, riuscirà a sal­vare la sua azienda o il suo Paese».

Messner, in cosa consistono le sue lezioni? Non si tratta di lezioni vere e proprie, non sono un mae­stro né di motivazione né di leadership. Quello che fac­cio, quando sono invitato a convegni aziendali e picthing session in tutto il mondo (anche se devo dire meno in Ita­lia) è raccontare la mia esperienza e quella di altri esplora­tori e alpinisti nella wilderness, le spedizioni verso il Polo, nelle distese di ghiaccio, le ascensioni di grandi montagne (dalla parete nord dell’Agner all’Everest), l’esplorazione di deserti. Tutti casi che possono dimostrarsi validi esem­pi – positivi e negativi – di risk management.

I principi della cultura della montagna e l’esperienza del­la wilderness applicabili alla vita aziendale. Qual è il pri­mo insegnamento che un manager dovrebbe trarre? Per prima cosa la capacità di reazione dell’uomo di fronte alla natura selvaggia e che emerge – se si vuole sopravvi­vere – nelle situazioni più estreme, come trovarsi a 50 gra­di sotto zero: è qualcosa che fa parte dell’uomo. Sta a chi mi ascolta trarre queste conclusioni, rapportare queste esperienze alle proprie. È difficile, oggi, trovare una stra­tegia, un management in grado di amministrare un’azien­da, un Paese, una provincia. Sorrido quando sento di per­sone, dalle segretarie ai businessmen, che tornando da un’ascensione dell’Everest (e oggi è relativamente facile), si credono, dopo quella sola esperienza, grandi maestri di leadership. Identificano il successo con la meta, ed è un errore. Ecco perché i miei racconti trattano sia di succes­si che di fallimenti, perché senza tentare non si può nem­meno fallire.

Un esempio? Prendiamo Edmund Hillary e la sua ascesa sull’Everest nel 1953 (vedi box): trattandosi di una spedizione ingle­se, e poichè lui era neozelandese, per una questione pu­ramente nazionalistica non era sta­to previsto come salitore. Quando la prima cordata rinunciò poco prima della cima, Hillary si propose per un secondo tentativo, ma chiese di po­ter scegliere il proprio compagno, un semplice sherpa (Tenzing Norgay, ndr) perché sapeva essere motivato. Quella sua prova diventò il suo più grande successo.

Assumersi la responsabilità del­le proprie decisioni, prima fra tut­te la selezione del team: basi soli­de che non sempre, però conduco­no al successo. In questo senso, una delle figure più interessanti – e che riscuote maggio­re successo in queste mie “sessioni” – è quella di Ernest Shackleton (vedi box), che circa cento anni fa tentò di raggiungere il Polo Sud. La spe­dizione fu un fallimento, ma riuscì a portare in salvo il suo equipaggio. Questo è un chiaro esempio di lea­dership e di una delle qualità più im­portanti che un capo dovrebbe ave­re: la capacità di trasmettere fiducia ai propri collaboratori.

Lei parla spesso, a proposito del­le sue esperienze, della dimensio­ne della solitudine, dell’importanza di imparare a vivere con se stessi. Come si concilia questo con la ge­stione del team? Generalmente in questi incontri non parlo delle mie soli­tarie, ma mi concentro sui racconti che coinvolgono più persone, perché permettono ovviamente di capire come lavorare in gruppo. E qui entrano in gioco la collaborazio­ne, la capacità di capire, entrare nell’animo dell’altro, ca­pirne lo spirito.

Come? Attraverso la compassione nel senso filosofico del ter­mine, “cum patior”, percepire la sofferenza altrui, pro­varne pena e desiderare di alleviarla. In una spedizio­ne, basta che uno solo dei membri non sia motivato o si senta costretto a partecipare, perché fallisca. Solo confrontandomi con i miei compagni, con la mia squa­dra, cercando di aiutarli posso evitarlo. Se non cerco di comprendere quello che prova un mio collaboratore non posso pensare di gestire bene la mia azienda e che lui si senta coinvolto.

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DALLA MONTAGNA ALL’AZIENDA. Reinhold Messner, classe 1944, è da oltre 30 anni un simbolo mondiale dell’alpinismo. Ha realizzato 3.500 imprese, scalando tutte e 14 le montagne che superano gli ottomila metri di altezza e cimentandosi in cento prime ascensioni. Fondatore del Messner Mountain Museum di Bolzano, mette la sua esperienza al servizio delle aziende, organizzando una quindicina di incontri ogni anno