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Carlo Barlocco: giocare d’anticipo

I cambiamenti non vanno fatti in tempo di crisi, ma prima. Sapendo prevedere gli scenari, scommettendo nel breve e nel medio termine. Il numero uno italiano svela la ricetta anti-recessione di una delle più grandi aziende di elettronica. E ai manager consiglia: «La prima qualità è saper ascoltare»

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Un manager prestato alla tecnologia. Ama definirsi così Carlo Barlocco, a 44 anni al vertice di Samsung Electronics Italia e con un percorso di studi (laurea in Giurisprudenza, tesi sul di­ritto commerciale) che ha davvero poco a che fare con il mon­do hi tech. «Quando guardo una nuova tecnologia non lo fac­cio con gli occhi dell’ingegnere, ma con quelli del consumatore: mi avvici­no con curiosità ma anche con un po’ di sospetto», spiega il manager. Prima di mettere sul mercato un prodotto mi chiedo “ma perché le persone dovreb­bero comprarlo? Qual è la sua utilità?”». In altre parole la tecnologia non fine a se stessa, ma al servizio della quotidianità di ogni individuo. Una concezio­ne che coincide in tutto e per tutto con la filosofia della multinazionale su­dcoreana, un’azienda praticamente sconosciuta al suo arrivo in Italia (1991), ma che ha saputo conquistare la leadership nel mercato Tv e smartphone e un ruolo da protagonista in tutti i settori dell’elettronica di consumo. «Quando sono arrivato eravamo circa 70 dipendenti (erano, invece, appe­na 13 i lavoratori al momento dell’apertura della sede italiana nel 1991, ndr) e il compito era creare atten­zione sul nostro brand», ricorda Barlocco. «Oggi a va­lore, secondo Interbrand, siamo il settimo marchio al mondo e dobbiamo quasi affrontare un problema di sovraesposizione! Attualmente siamo 550 dipendenti con un senso di appartenenza molto forte; se 15 anni fa si andava a cercare talenti fuori, oggi sono le altre grandi aziende che vogliono portarceli via».Il manager è stato protagonista di questo cambiamen­to: entrato in azienda nel 2001 come Marketing Manager IT and B2B Division, la sua carriera è stata un crescendo di successi e riconosci­menti che lo hanno portato, nel 2013, al ruolo più prestigioso, quello di Senior Vice President, Head of Sales & Marketing di Samsung Electronics Italia. Nessu­no meglio di lui può svelare i segreti e la filosofia che hanno permesso all’azien­da di prevedere i trend futuri, cambiando più volte la propria strategia per caval­care la crisi.

Never GIVE UP

Partiamo da un dato di fatto: la tecnologia è diventata fondamentale, nel lavoro e nel tempo libero. Voi, tra le aziende che più di tutte stanno portando innova­zione nel settore, avvertite una certa responsabilità? Certo. Non sembra, ma con il nostro lavoro si contribuisce a cambiare la vita delle persone; non mi piace la parola “condizionare”, ma a volte capi­ta anche questo. Si creano nuovi lavori e nuovi approcci al business. Basti pensare a come Uber stia rivoluzionando la gestione degli spostamenti. Si­curamente bisogna essere consapevoli delle responsabilità nel momento in cui si creano nuove tecnologie, che devono migliorare la qualità della vita delle persone, la loro quotidianità e non solo accelerarla. Questo per noi è molto importante e ci facciamo molta attenzione.

C’è anche una funzione sociale. Assolutamente sì. È importante che da leader di mercato della tecnologia si con­tribuisca a sensibilizzare non solo i cittadini, ma anche il network Paese sull’im­portanza della digitalizzazione. Noi lo stiamo facendo con tanti progetti, che poi attuiamo sul territorio, da soli o con i nostri partner.

Quando si parla di Samsung, spesso è citato il competitor Apple. Al di là della guerra tra prodotti, come vivete questo dualismo in azienda? Apple è un’azienda che aiuta a migliorare perché ha portato, soprattutto nel cam­po della mobile communication, tanta innovazione e ha stimolato il settore a fare dei cambiamenti importanti, sia dal punto di vista del design, dell’usabilità e dei contenuti. Avere un concorrente come Apple – per noi lo è solo nella parte mobi­le – è sicuramente uno stimolo.

Vi sentite portatori di due filosofie diverse? Non conosco bene i principi di Apple, mi sembra che alla base di entrambi ci sia un’attenzione verso il consumatore finale, la qualità non solo del prodotto, ma anche dell’esperienza d’uso. Per entrambi l’obiettivo non è sempre la riduzione del prezzo e l’accessibilità del device, ma l’interesse a spiegare perché il disposi­tivo che costa un po’ di più, magari ha più ragione di essere acquistato per le sue prestazioni e l’esperienza d’uso. Noi, però, abbiamo una peculiarità unica: stia­mo lavorando all’Internet delle Cose, abbiamo un obiettivo importante sulla con­nessione dei nostri dispositivi, sull’ecosistema dei nostri elettrodomestici (il con­cetto di Smart Home, ndr). Magari in casa Apple sono focalizzati su qualcosa che per noi è solo una parte del nostro portafoglio.

Qual è, secondo lei, l’anima di un’impresa? È lo scopo per cui esiste. Non può essere solo l’idea di un profitto, ma è lo scopo sociale che l’azienda stessa si propone. Quello di Samsung è di de­stinare le nostre risorse umane e la nostra tecnologia per creare prodotti che possano contribuire al miglioramento della società. Vogliamo che le per­sone assolvano bene alle loro funzioni quotidiane grazie ai dispositivi che mettiamo a loro disposizione.

Cosa contribuisce a creare l’anima di Samsung? Il primo valore per noi sono le persone, cuore e motore della nostra azienda: è con la loro intelligenza che na­sce il prodotto, piuttosto che la strategia di marketing. A un’impresa serve quindi uno scopo, che solitamente è quello del fondatore, servono le persone giuste e, ov­viamente, una strategia di lungo termine supportata da una Ricerca & Sviluppo importante, che sia alla base della sostenibilità del business futuro.

Ma in una multinazionale come la vostra, che opera in molti mercati e settori, ci possono essere più anime, più sfaccettature? No, la nostra forza è proprio quella. Ovviamente quello che chiamano hu­man touch varia da Paese a Paese: il contributo che un italiano o un france­se possono dare rispetto a un americano o a un asiatico non è né peggiore né migliore, sicuramente è diverso per una questione culturale. Tra colleghi di New York, Seul e Johannesburg non cambia il modo di lavorare, bensì il modo di interpretare la vita. Ma i principi di base – l’organizzazione, i pro­cessi, i flussi – così come l’orgoglio di essere parte di un gruppo e il senso di appartenenza, restano gli stessi. Riusciamo a coinvolgere i dipendenti in un cammino, una sfida continua di aggiornamento e innovazione, a creare un team unico, unito e forte. Questo è lo spirito comune di Samsung: la perso­na non è vista solo come individuo, ma anche come parte di un team.

Le passioni di Carlo Barlocco

Da alcuni la crisi viene considerata un’opportunità. Voi come l’avete affrontata? Più che affrontarla, l’abbiamo prevenuta: nei momenti di crisi la domanda si sta­bilizza o diminuisce. Bisogna essere pronti a dare al consumatore una ragione in più per cambiare televisore, frigorifero o telefono. Se non c’è innovazione, non c’è stimolo ad acquistare. Noi abbiamo giocato d’anticipo, prevenendo la crisi e investendo tanti soldi e risorse nell’innovazione.

In questi anni mai un momento di difficoltà? Non abbiamo avuto problemi di calo del business o difficoltà nell’incontrare la domanda dei consumatori. Abbiamo, però, cambiato tante volte la nostra strate­gia. Quando si parte, l’obiettivo di un’azienda che deve crescere va focalizzato sui volumi e sul market share, quando poi si diventa leader di mercato le priorità diventano altre. Abbiamo raggiunto risultati molto importanti nel consumer, ma stiamo spingendo su segmenti del business dove non siamo ancora forti, come il B2B. Abbiamo cambiato la nostra struttura italiana, europea e internazionale pro­prio nell’ottica di avere una proposta e un’offerta anche nel B2B. Come ricorda spesso il nostro Ceo, la cosa importante è il cambiamento e i cambiamenti vanno fatti quando le cose vanno bene, sapendo prevedere, scommettendo su cosa suc­cederà nel breve e nel medio termine. Cambiare quando le cose non vanno bene e quando le risorse non sono sufficienti diventa difficile. Samsung è stata sem­pre capace di prevedere i trend per gli anni successivi e di cambiare in tempo la propria strategia.

1938Byung-Chull Lee avvia l’azienda a Taegu (Corea). Inizialmente si occupa soprattutto di esportazione di prodotti alimentari essiccati, come pesce, frutta e verdura, nella Manciuria e a Pechino. Dieci anni più tardi Samsung – “tre stelle” in coreano – acquisisce mulini e macchine, proprie strutture produttive e di vendita, gettando le basi per la moderna multinazionale che porta il suo nome.

1969Nasce Samsung-Sanyo Electronics (ridenominata nel marzo 1975 Samsung Electro- Mechanics e fusa nel marzo 1977 con Samsung Electronics). In quegli anni l’azienda avvia la produzione di Tv, lavatrici, frigoriferi e, a fine anni ‘70, di forni a microonde. L’elettronica di consumo dà un grande impulso alla crescita dell’azienda, che inizia a esportare i propri prodotti per la prima volta.

1980Avviene la fusione tra Samsung Electronics e Samsung Semiconductor. La crescente attenzione dell’azienda nei confronti della tecnologia porta alla creazione di due istituti di Ricerca & Sviluppo (R&S) che hanno aiutato a crescere in settori quali elettronica, telecomunicazioni ottiche e nuovi campi di innovazione tecnologica dalla nanotecnologia alle architetture di rete avanzate.

1991Nell’anno in cui debutta sul mercato italiano, Samsung è già al lavoro nello sviluppo del suo primo telefono cellulare. Nel primo anno nel nostro Paese il gruppo, che conta solo 13 dipendenti, fattura oltre 10 milioni di euro. Vent’anni più tardi i dipendenti sono 380 e i ricavi della società passano a 2,1 miliardi di euro; la quota di mercato nell’elettronica di consumo è pari al 28%.

2011Al Mobile World Congress di Barcellona viene presentato il Galaxy S II. Nominato come miglior smartphone dell’anno, è il primo Android a fare concorrenza all’iPhone. Inizia la “guerra” tra Samsung e Apple.

2015Ad aprile viene inaugurato il Samsung District, un edificio di ultima generazione nel quartiere di Milano Porta Nuova. I nuovi uffici, dove oggi lavorano 550 dipendenti, ospitano non solo Samsung Electronics, ma anche le sedi italiane di altre società del gruppo: Samsung Engineering, Samsung C&T Corporation, Cheil Worldwide, Samsung Heavy Industries, Samsung SDI e Samsung Design Milano.

A dimostrazione del sempre più rilevante ruolo dell’azienda in Italia, lo scorso aprile avete inaugurato la vostra nuova sede, il Samsung District di Milano. Quali sono, secondo lei, i pregi e i difetti del nostro Paese nei con­fronti delle aziende? Non ci sono pregi e difetti. Quello che il nostro Paese ha avuto per tanti anni è la capacità (o l’incapacità) di piangersi addosso piuttosto che reagire. Per fare un esempio, la Corea del Sud, dove si trova il nostro headquarter, è il Paese con la più alta concentrazione digitale. Ci sono reti Lte, si parla già di 5G e i ragazzi stu­diano nelle scuole sui tablet. In Italia per tanto tempo ci si è invece fermati a sof­frire la nostra incapacità di innovare e programmare nel medio-lungo termine. Oggi però sembra che tanti progetti stiano ripartendo, c’è voglia di innovare, di fare digitale. Il problem solving degli italiani è un valore aggiunto: la nostra capa­cità di reagire ci ha permesso di essere uno dei Paesi più forti al mondo, indipen­dente da quello che si dica e si legga sui giornali.

Quali sono le caratteristiche che un manager dovrebbe avere?Personalmente non sono per le decisioni dall’alto, punto molto sul team building. Sono convinto che fenomeni nel mondo ce ne siano stati, ma anche che non sia­no così frequenti. Per questo la prima capacità di un manager, oltre alla curiosi­tà, deve essere quella di saper ascoltare, a 360°: le persone al tuo fianco, i clienti, il mercato, i consumatori. Ascoltare e rielaborare il messaggio è fondamentale e tante volte permette di prevenire i momenti di crisi. Poi c’è la fiducia: non si può lavorare con un team di cui non ci si fida. Le persone devono sapere che possono esprimere la propria opinione e manifestare contrarietà al proprio capo; poi an­che in un sistema democratico c’è qualcuno che deve prendere le decisioni. Ter­zo, ma non meno importante, è la velocità: un buon manager, soprattutto in mo­menti di crisi, deve essere capace di correre dei rischi e scegliere. E farlo rapida­mente. Senza cadere nell’errore di dire “bisogna fare in fretta, faccio io”. Il mana­ger deve credere nelle opinioni degli altri, poi prendere una decisione. Oggi chi non decide è spacciato, non può fare questo lavoro.

Con l’innovazione tecnologica è cambiato anche il modo di lavorare.Certamente, soprattutto in Samsung, dove siamo portati a sperimentare soluzio­ni prima degli altri. Quindici anni fa lavoravo per otto ore al giorno davanti al Pc, oggi forse passo intere giornate lontano dal computer, ma controllo qualsiasi dato aziendale dallo smartphone: mando mail, valuto progetti, layout…

C’è una ricetta per mantenere l’attaccamento dei propri dipendenti, anche quando si è costretti a prendere decisioni difficili?Per fortuna in questi anni non siamo stati costretti a prendere questo tipo di de­cisioni, perché le cose sono andate e stanno andando bene. Penso, però, sia im­portante instaurare un buon rapporto di fiducia e trasparenza con il datore di la­voro; se il dipendente viene messo a conoscenza del suo percorso all’interno del­l’azienda – e sa cosa può succedere di positivo o negativo in questo percorso – si instaura un rapporto di fiducia tale per cui si può lavorare serenamente.

Che bilancio può fare dei suoi primi 15 anni in Samsung?Diciamo che quello che nella carriera di un manager può essere un limite – l’aver legato per 15 anni la propria esperienza a una sola azienda – dà davvero tanto dal punto di vista umano: il poter condividere i momenti più belli della tua vita, dal matrimonio alla nascita dei figli, con tanti dipendenti e colleghi, che ti aiuta­no anche nei momenti di difficoltà, ti fa sentire a casa. Sapere che puoi contare su persone che ti sostengono è molto importante.

Un momento che ricorda con piacere e uno negativo che si è rivelato, invece, positivo nella sua carriera?Di certo il passaggio più importante, e che ha coronato il lavoro svolto nei dieci anni precedenti, è stato il riconoscimento del Chairman Award nel 2012 (premio di casa Samsung, dedicato al miglior manager a livello mondiale, ndr). Essere se­lezionato tra quattro-cinque su 300 mila dipendenti è qualcosa di straordinario. Ricordo con piacere la cerimonia, che si è svolta a Seul con tutta la mia famiglia. L’invito nell’headquarter, infatti, viene rivolto anche a moglie e figli -– chi vuole porta pure i genitori –, è un modo di sentirsi parte di Samsung, come in una fami­glia allargata. Sono attestati di stima che superano qualunque successo o traguar­do, ti lasciano qualcosa dentro e ti rafforzano per le esperienze successive.

E un momento negativo che si è rilevato utile per la carriera?Non è facile lavorare in un’azienda con una cultura completamente diversa dalla nostra. Tante volte ci si è scontrati sugli orari di lavoro: è sempre giusto allungare le riunioni fino a notte oppure ogni tanto è meglio fissare un limite e tornare dal­la propria famiglia? Su questo, ad esempio, le culture Sud europee come quella italiana sono in conflitto rispetto a quella asiatica e coreana in particolare. Si può anche arrivare a quello che sembra uno scontro – culturale e generazionale ose­rei dire –, ma nella collaborazione continua si arriva anche ad apprezzare i valo­ri di un altro Paese, che magari non conoscevi nemmeno. Quando poi il team è quello giusto e si ha un obiettivo comune – perché poi i “pasticci” nelle aziende avvengono quando i manager non lo condividono – i problemi si aggiustano. In Samsung la nostra forza è proprio questa: saranno diverse le interpretazioni, ma puntiamo tutti nella stessa direzione.

Le sue ambizioni future?A dir la verità non sono alla ricerca del cambiamento fine a se stesso, mi piace molto la fedeltà e la continuità. Spero di rimanere in Samsung, il che vorrà dire che sarò stato in grado di continuare a migliorare la produttività di questo team. Come dicevo prima, è fondamentale il rapporto di fiducia: finché la mie capacità saranno apprezzate dall’azienda, sicuramente il mio obiettivo sarà quello di con­tinuare a lavorare per Samsung e migliorarla. Anche perché – ce ne accorgiamo dai curricula che riceviamo – oggi sono in un posto dove tanti vorrebbero stare. Perché pensare ad altro?

Articolo pubblicato sul numero speciale L’anima delle imprese di agosto 2015

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Dopo la laurea in Giurisprudenza con una tesi in diritto commerciale, Carlo Barlocco è entrato in azienda nel 2001, quando c’erano appena 70 dipendenti. Oggi la forza-lavoro della sede italiana della multinazionale è di 550 persone