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Diatech, terapie su misura

Una piccola azienda di Jesi fa concorrenza ai colossi del settore farmaceutico grazie al kit che permette di adattare la cura oncologica al singolo paziente. Una rivoluzione che ora fa sorridere il sistema sanitario e fa gola agli americani: «Le marche sono la nostra Silicon Valley», dice il fondatore Fabio Biondi

È un business silenzioso che non va molto spesso in prima pagina, come succede con la tecnologia o il digitale, ma quando i risultati arrivano allora tutti ne parlano. E tutti lo vogliono, anche all’estero. È il lavoro di Diatech Pharmacogenetics, l’azienda marchigiana che si occupa di farmacogenomica e di biologia molecolare. Tradotto: qui si realizzano test anti-cancro talmente innovativi da attirare l’attenzione degli americani, di solito in prima linea nel settore. E invece no: questa volta all’avanguardia ci sono le Marche e un’azienda, nata nella seconda metà degli anni ‘90, che da sola detiene oggi il 70% delle quote italiane e il secondo posto in Europa nel settore della personalizzazione delle cure. Il gruppo ha chiuso l’anno con un fatturato di oltre 11,6 milioni di euro, +30% rispetto al 2014 confermando il trend di crescita dell’anno precedente. Ma di cosa si occupa di preciso? Lo abbiamo chiesto al suo fondatore e presidente Fabio Biondi.

Come può un’impresa con appena venti anni di storia alle spalle competere con giganti come Roche o Quiagen?Noi siamo specializzati in un business che, per loro, è solo una piccola parte del fatturato. Ma in questa nicchia siamo i più bravi. Si tratta della farmacogenomica, cioè la disciplina che studia la risposta individuale ai farmaci in base al profilo genetico.

Come ci siete riusciti?Tutto è cominciato da un’intuizione. Era il 1994 quando lo scienziato americano Kary Mullis fece una scoperta destinata a rivoluzionare il mondo della ricerca scientifica: l’amplificazione in vitro di frammenti del Dna. Da lì abbiamo deciso di fare un’importante scommessa: inventare e produrre su larghissima scala un test in grado di rivelare se un determinato farmaco o un chemioterapico sia compatibile con il genoma del singolo paziente. Due anni dopo è nata Diatech.

In che cosa consiste il vantaggio della vostra tecnologia? Siamo riusciti a semplificare notevolmente i sistemi di diagnosi: anziché ricorrere alla biopsia, oggi basta un prelievo di sangue. Insomma, è un sistema meno invasivo che contribuisce a preservare la salute del paziente e riduce i fattori di rischio di tutta la procedura.

Il vostro prodotto ha attirato l’attenzione di una multinazionale americana… Si tratta di Agena, una società di San Diego, in California, con la quale abbiamo siglato un accordo per la distribuzione in esclusiva dei nostri kit diagnostici sul mercato Usa. Con due vantaggi: si riducono i tempi e i costi delle diagnosi, migliorando anche il trattamento dei pazienti. Ma non dimentichiamo l’aspetto finanziario. L’accordo ci ripaga di anni di lavoro e potrebbe fruttare un raddoppio del fatturato del nostro Myriapod: da 2,5 a cinque milioni di euro.

Avete anche ricevuto 1,7 milioni di euro da Bruxelles: come li utilizzerete?Si tratta di un finanziamento dell’Unione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020. Siamo stati tra le prime imprese in Italia a superare l’esame europeo nel campo della salute. Si tratta di un risultato importante, un riconoscimento delle nostre capacità di fare ricerca, sviluppo e sinergia condividendo competenze, risorse e know how. Il finanziamento servirà per un progetto di ricerca, nome in codice Leonid, che ha l’obiettivo di sviluppare un innovativo test diagnostico che consente l’analisi di alcuni marcatori tumorali decisivi nella scelta della terapia del cancro al polmone. La sperimentazione è già iniziata e se rispetteremo la tabella di marcia, potremmo mettere sul mercato il nuovo prodotto entro i prossimi due anni. L’utilizzo di questo test, certificato dall’Ue e associato a un software di analisi dei dati, permetterà di ottenere risultati standardizzati e di evitare l’interpretazione personale delle informazioni. Detto altrimenti, si riduce l’errore umano.

Non vi stanno un po’ strette, le Marche?Al contrario. Il nostro futuro è qui e abbiamo da poco inaugurato una nuova sede, un bellissimo posto dove lavorare, potete chiederlo a tutti. E questo mi rende molto fiero come imprenditore. Le Marche, nel loro piccolo, sono un caso raro: ci sono tre facoltà di Biologia e siamo considerati un distretto farmaceutico del valore di 2,5 miliardi di euro nella produzione, grazie agli stabilimenti Angelini di Ancona e Pfizer di Ascoli Piceno.

Il suo lavoro non si può improvvisare…Ma neppure programmare con anticipo. Io ho una laurea in Farmacia e ho iniziato a lavorare nel 1977 come tecnico commerciale nella divisione diagnostici nella Sclavo, un’azienda specializzata nelle attività di ricerca, sviluppo, produzione e vendita di kit e reagenti per la diagnostica in vitro. Per questo, quando ho letto della scoperta dell’americano Kary Mullis, ne ho intuito le enormi possibilità di sviluppo.

Dove sarete tra cinque anni?Il futuro è nella personalizzazione della medicina, in un approccio più etico e democratico. Si studierà il paziente prima di tutto come individuo, unico e diverso da tutti gli altri, e grazie all’analisi del suo Dna sapremo subito quali terapie funzioneranno e quali invece no. Io li chiamo farmaci “umanizzati”: non si sprecano risorse, basti pensare che alcune cure costano fino a 800 euro al giorno, e non si regalano false illusioni ai pazienti.

ITALIA ALL’AVANGUARDIA

È l’obiettivo della moderna medicina, dare a ogni singolo paziente una cura studiata su misura, e l’Italia sta facendo passi da gigante. «Oggi c’è una forte spinta a migliorare la qualità della diagnosi e della terapia», spiega Gabriella Fontanini, professore ordinario all’Università degli Studi di Pisa e direttore della Scuola di specializzazione in anatomia patologica, «e in Italia abbiamo molti centri di eccellenza riconosciuti anche a livello europeo». Uno di questi è il laboratorio di patologia molecolare dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa: un team di 15 ricercatori guidati dalla professoressa Fontanini, che utilizzano strumenti all’avanguardia e riescono a effettuare quasi 3 mila test all’anno, ponendosi tra le prime strutture in Italia. «Dopo aver raggiunto ottimi risultati nella scelta dei farmaci migliori per un determinato tumore», anticipa la direttrice a Business People, «il prossimo passo, grazie anche alla collaborazione con diverse aziende tra le quali Diatech, sarà quello di definire le strategie diagnostiche ottimali per ogni paziente al fine di consentire un reale trattamento individualizzato».