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Giovanni Bossi: «La trasparenza come valore»

Tecnologia, organizzazione leggera e sportelli 2.0, è il nuovo modello che stravolge l’immagine tradizionale degli istituti di credito: «La nostra vocazione è servire la società costando il meno possibile», sostiene l’a.d. del gruppo veneto. «Il segreto per crescere? Trasferire informazioni»

Tradizione recente e innovazione continua. Struttura leggera e dedizione alla clientela. È difficile riscontrare i valori tradizionali di un istituto di credito in Banca Ifis. E non solo perché parliamo dell’unico gruppo indipendente in Italia che ha scelto di specializzarsi nel credito: commerciale, fiscale, difficile. Non c’è un ambito che non sia stato finanziato proprio mentre la concorrenza chiudeva i rubinetti a privati e imprese. La scommessa di dare soldi mentre tutti serravano la cassaforte si è presto rivelata vincente: lo raccontano non solo i dati di bilancio in continua crescita, ma soprattutto l’incredibile percentuale di assunzioni in un periodo in cui il mondo creditizio taglia filiali e personale: +20% nel 2014. Il segreto? La volontà di essere al passo con i tempi presentandosi come un’eccellenza digitale. Che twitta le proprie proposte e chatta con i propri clienti. Ma che ha anche un punto di vista radicalmente differente sul ruolo delle banche nella società. Una prospettiva che solo Giovanni Bossi, amministratore delegato da vent’anni esatti, può raccontare.

«Mai sottovalutare il potere distruttivo della stupidità» (Carlo M. Cipolla)

Lei si definisce un “naturale maker del nuovo modo di fare banca”. Che vuol dire? Le banche sono animali strani, perché operano su licenza amministrativa della Banca d’Italia. Poi però ogni banca è fatta a suo modo e noi come Banca Ifis siamo diversi da tutti. Innanzitutto, perché non siamo focalizzati sugli sportelli: il modello tradizionale vede in essi lo snodo centrale per la distribuzione dei prodotti. Quarant’anni fa non lo si poteva fare, mentre oggi “liberarsi” delle filiali è possibile grazie alla tecnologia. Ed è un grande vantaggio.

Perché serve un nuovo modo di fare banca? L’intermediazione creditizia nella società moderna deve costare meno. Secondo il Testo unico bancario (Tub), la banca deve esercitare il credito e raccogliere risparmio: se questo processo costa tanto, chi è che ne paga il prezzo? L’economia reale. Se riduciamo questo costo, tutti ne traggono beneficio. Il nostro nuovo modo di fare banca, di contattare i clienti, di raccogliere risparmio e di fare credito ci permette di ridurre al minimo la zavorra.

Qual è lo spirito che ha portato alla fondazione dell’istituto? Il presidente Sebastien Egon Fürstenberg ebbe l’idea di fondare un istituto bancario per semplificare il ricorso al credito mentre era la mente finanziaria di Americanino. Nel 1985 uscì dall’azienda per dedicarsi solo alla banca con cui sostenere le pmi, quella categoria di imprese che compongono il sistema portante dell’economia del Paese, ma che tutt’oggi trovano grandi difficoltà, ad esempio, nel rapportarsi con la pubblica amministrazione quando magari devono aspettare 6-12 mesi per i pagamenti dopo aver fornito servizi allo Stato. Nel 2002 abbiamo iniziato a esercitare l’attività bancaria e due anni dopo ci siamo quotati allo Star di Milano, crescendo ogni anno negli obiettivi e nel sacrificio, in un’evoluzione che ci vedrà protagonisti del settore anche nei prossimi anni.

Le passioni di Giovanni Bossi

Il credito è, dunque, il nucleo principale dell’attività di Banca Ifis: una mosca bianca nell’era del credit crunch… Se tutto un sistema limita i finanziamenti all’economia, la banca che ha modo di incrementarli trova terreno fertile, un mercato aperto. Abbiamo studiato una strategia vincente per sostenere le pmi, che per noi – va sottolineato – sono le piccole e “micro” imprese, attraverso lo strumento del factoring. Si tratta di un sistema tradizionalmente riservato a medie e grandi imprese, noi abbiamo aperto una nuova via dirottandolo sulle pmi. Erogare liquidità ai piccoli è rischioso, perché il tasso di default è alto e tanti rischiano di non ripagarti. Il nostro compito è stato trovare un modo per ridurre al minimo il rischio di credito senza però chiudere i rubinetti.

Una banca che si chiude in un momento di crisi non tradisce se stessa? Esiste una responsabilità sociale del mondo creditizio?Le banche operano su licenza e devono rispettare delle regole. Mentre la politica nazionale chiede di aiutare l’economia reale, dall’altra parte le normative internazionali obbligano le banche ad avere sempre più liquidità per evitare rischi di default. Dopo che il Nord Europa ha pagato un prezzo enorme per i fallimenti bancari, si vuole evitare di esporre nuovamente i contribuenti a questo pericolo chiedendo alle banche più solidità dal punto di vista patrimoniale. Quindi, per continuare a operare o si deve trovare nuovo capitale oppure si devono ridurre i rischi. È possibile trovare nuovo capitale dopo aver chiesto sacrifici agli azionisti? Difficile in questo momento, in cui le banche non guadagnano. E non riescono a farlo perché il loro attuale business model non è redditizio.

Il punto di partenza è un diverso approccio nei confronti del cliente?L’innovazione è cruciale per aprirsi alle richieste del cliente e anche di chi non lo è e vuole semplicemente conoscerti. Le aziende possono contattarci via chat e WhatsApp, senza perdere tempo per incontrare qualcuno che poi non riesce magari ad aiutarle a pieno. A questo servono i nuovi media, i social network e gli strumenti digitali, tanto che da poco abbiamo sperimentato anche la realtà aumentata.Il virtuale non basta, anzi. L’aspetto umano è fondamentale quando si parla di soldi: che ruolo hanno gli sportelli nella vostra organizzazione?Non abbiamo sportelli tradizionali, ma uffici di riferimento in tutte le regioni, che solitamente si trovano al terzo piano di edifici direzionali con vista sugli svincoli autostradali. Perché le aziende ci devono raggiungere con facilità e soprattutto noi dobbiamo fare altrettanto con esse. C’è bisogno di conoscere bene le persone con cui lavoriamo: il digitale ci consente di presentare e affinare l’offerta, ma poi abbiamo bisogno di “toccare” il cliente in senso fisico. E ne ha bisogno anche l’utente. Ci sono degli aspetti di rischio che nel contatto personale possono venire arrotondati: quando vedo un’azienda, conosco l’imprenditore, ne respiro l’atmosfera, capisco molte cose in più, e così l’imprenditore verso la banca. La valutazione della performance dipende anche dal numero di visite mensili che i nostri commerciali effettuano.

Come si fa gioco di squadra in un sistema organizzativo così complesso?La tecnologia permette il dialogo tra persone distanti con continuità. Noi facciamo tante videoconferenze, ma non solo quelle con le tecnologie P2P. La rete commerciale è gestita via Skype. Alcuni settori hanno dei gruppi su WhatsApp e si scambiano le notizie sui successi reciproci. È un entusiasmo contagioso. Tutti i dipendenti hanno uno smartphone aziendale con accesso alla Intranet aziendale e gli agenti sono dotati anche di un tablet con applicativi specifici. Solo per convenzione e forma mentale ormai abbiamo una sede e una scrivania.

Il manager non si valuta più dall’intuito,

ma dalla forte capacità analitica

che gli consente di discernere i dati

L’ultimo passaggio è il ritorno all’esterno, con un sito in cui presentate i dati di bilancio. Perché questa voglia di trasparenza? Di solito è il cliente quello che viene “denudato” in banca…Sarebbe facile rispondere perché non abbiamo nulla da nascondere (ride). In realtà trasparenza vuol dire farsi vedere ed è una sorta di habitus mentale che si declina nel rapporto con i collaboratori e gli stakeholders. Così ciascuno dei nostri dipendenti, anche quelli che non si occupano di aspetti commerciali, sono in grado di comunicare tante cose sul nostro lavoro. La trasparenza diventa così un modo di trasferire informazioni. E più riusciamo a darne ai nostri collaboratori e alle persone che ci guardano – per interesse o anche solo per curiosità – maggiore sarà la conoscenza della cultura aziendale che riusciremo a trasmettere all’ambiente attorno a noi.

L’informazione è potere?In realtà la forza di un’azienda è la capacità di discernere e gestire la mole enorme di dati che arrivano dalla società e dall’interno dell’organizzazione. Una volta la competenza di un manager si misurava sulla capacità di prendere decisioni su poche basi. L’intuito, insomma. Oggi ogni decisione viene presa su informazioni copiose e a basso costo: quindi i dirigenti devono essere fortemente analitici.

Nel 2015 avete toccato un miliardo di capitalizzazione per la prima volta. Come si fa a crescere in tempi di crisi?Vent’anni fa quando cominciai eravamo in 18, oggi siamo 650 e cresciamo al ritmo di cento all’anno. Il primo trimestre 2015 è andato bene con 26 milioni di utile e soprattutto un aumento del patrimonio netto fino a quasi 600 milioni di euro. Senza dimenticare la qualità del credito, fondamentale per essere sostenibili: in Banca Ifis questo aspetto è classificato “eccellente” grazie al nostro modello di business. Così anziché preoccuparci delle sofferenze nostre, alleggeriamo quelle altrui comprando portafogli di crediti difficili.

1983Banca Ifis è fondataa Genova da Sebastien Egon Fürstenberg,attuale presidente. Nel 1997 viene iscritta nell’elenco speciale degli Intermediari finanziari.

2002Inizia l’esercizio dell’attività bancaria. Aderisce a Factor Chain International, assumendo da subito un ruolo primario nel contesto europeo.

2003Ammissione al Mercato telematico azionario (Mta): l’anno successivo entra nel segmento Star di Borsa Italiana.

2008Avvia il programma di diversificazione delle fonti di raccolta, anche attraverso rendimax, il conto deposito online ad alto rendimento. Seguirà nel 2013 contomax, il conto corrente crowd online.

2011 Esito positivo dell’opa su Toscana Finanza. Inizia la presenza di Banca Ifis nel settore dei crediti di difficile esigibilità.

2015 A marzo supera il miliardo di capitalizzazione e il prezzo per azione tocca il massimo storico di 20 euro.

Qual è il trucco? Uno dei segreti è lavorare tantissimo, ma questo non basta perché lo fanno anche altri. Si deve provare, sbagliare e riprovare pensando sempre alle esigenze del mercato al quale ci si rivolge. Un’azienda non può essere un ectoplasma alieno alla società, lo sappiamo, e questo vale a nche per le banche che storicamente si sono comportate un po’ così. Noi puntiamo a dare sempre risposte al mercato con cattiveria, innanzitutto verso noi stessi. Nel mondo liquido di oggi la dinamicità è strutturale, non si può vivere di rendita: bisogna sempre sottoporre a vaglio critico il proprio posizionamento. Che non vuol dire cambiare sempre, ma essere costantemente pronti a farlo.

Lei sostiene che l’obiettivo dell’azienda deve essere “crescere sempre”. Ma espandersi vuol dire anche mutare: come si gestisce il cambiamento? Crescere fa parte del nostro dna, lo abbiamo sempre fatto. E così il livello di complessità è esploso. L’aspetto più difficile per me è gestire la relazione tra le persone. Il modo più indicato per farlo è far sì che tutti i componenti dell’organizzazione lascino sull’altare della crescita qualche area di competenza. Quello che una volta faceva una persona, oggi la fanno in due o in cinque: la fatica è proprio nel gestire e facilitare il distacco e il passaggio delle responsabilità. E poi c’è il tema del reperimento delle risorse umane: noi stiamo assumendo un sacco di giovani, ma non è semplice trovare persone di qualità da portare al progetto. Forse perché siamo molto esigenti («Cerchi il solito lavoro in banca? Allora sei nel posto sbagliato, Banca Ifis non fa per te!», è il claim del sito che la banca ha appena lanciato per il recruiting Lavorareinbanca.it, ndr). Uno dei problemi è la strutturazione del lavoro: dipendesse da me, ci muoveremmo tutti in maniera dematerializzata. Un’azienda come la nostra non può caratterizzarsi perché compra il tempo dei suoi collaboratori, deve invece pagare la migliore intelligenza delle nostre persone.

In definitiva, qual è l’anima di una banca? La banca è un’impresa che ha a che fare con un bene immateriale e ricercatissimo: il denaro. Custodisce un’intermediazione da vivere non in modo passivo, ma nuovo: si devono servire più clienti possibili costando il meno possibile, alla società e ai clienti. La banca migliore è quindi quella superleggera, quella che garantisce i servizi richiesti nel modo meno invasivo, che agevola un sistema piuttosto che complicarlo. C’è qualcosa che non va se viene percepita come un rapace.

Anche lei è cambiato in questi vent’anni. Come? Applicando l’economia al running (ride). Chi lavora in Banca Ifis non può dire che l’amministratore delegato sia distante o non abbia le maniche rimboccate a lavorare con gli altri. Ma un leader deve dare degli input precisi per far sentire tutti parte di un progetto, deve saper coinvolgere le persone sempre e comunque.

Articolo pubblicato sul numero speciale L’anima delle imprese di agosto 2015

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A.d. di Banca Ifis dal 1995, il manager dopo la laurea in Economia e commercio aveva iniziato la carriera di docente di Scienza della finanze alla Luiss