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La burocrazia non ci fa lievitare

La vicenda di Orva, azienda leader nel mercato delle piadine, offre uno spaccato dell’economia italiana: conti a posto e lavoro a pieno regime, ma le carte bollate ne hanno bloccato per quattro anni le prospettive di crescita. L’imprenditore romagnolo Luigi Bravi lamenta: «Avrei fatto meglio ad andare all’estero»

Per un imprenditore, la situazione in cui si trova Luigi Bravi, presidente della Orva di Bagnacavallo (Ra) specializzata nella produzione di piadine, pani morbidi e sostitutivi, è paradossale e frustrante, ma non del tutto inedita: «Abbiamo ordini sufficienti a garantire una significativa crescita del fatturato e anche nuove assunzioni – da 40 a 50 addetti in due anni – ma ci scontriamo con il fatto che le nostre linee produttive sono sature, ma il nuovo stabilimento, un progetto a cui stiamo lavorando ormai da quattro anni, non sarà pronto che nel 2017. E questo fondamentalmente a causa dei molti rallentamenti creati da una burocrazia che ci sottrae tempo e risorse finanziarie».

Il tema della burocrazia che “soffoca” le imprese non è nuovo…In questo progetto, le centinaia di migliaia di euro spese in pratiche di vario tipo sono risorse sottratte all’investimento tecnologico e, a mio modo di vedere, una vera e propria dispersione di ricchezza. Il tema non è il rispetto delle normative, che non è in discussione, ma piuttosto come sollevare le imprese da inutili fardelli. L’Italia è il secondo Paese in Europa per importanza del settore manufatturiero, ma è soltanto dodicesima a livello di competitività. Si continua a girare intorno al problema senza provare a risolverlo per davvero. Non lamentiamoci, poi, se uno decide di andare all’estero. Quattro anni fa ho scelto Bagnacavallo, la mia città, per costruire un nuovo stabilimento. Oggi forse valuterei con maggior attenzione l’opzione di andare in Paesi come l’Austria o la Slovenia, proprio per il livello di tassazione più interessante e per la maggiore snellezza della burocrazia. La distanza non sarebbe un problema. Già oggi gestiamo per via telematica lo stabilimento di Misano Adriatico (Rn).

Perché considera prioritario investire in innovazione tecnologica?La vera priorità è continuare a fare investimenti. L’azienda è una ricchezza che non va sperperata e, soprattutto nel caso di una pmi, più che puntare sulla diversificazione, è meglio focalizzarsi sul tenere viva la propria specializzazione, cercando di rafforzarsi nel proprio settore. Gli utili vanno lasciati in azienda, sono denaro che torna in circolo come investimenti in tecnologia e, prima ancora, in risorse umane. Detto questo, penso che l’innovazione tecnologica debba essere continua in quanto è una leva competitiva: consente di migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi riuscendo contemporaneamente a farli costare sempre meno. Per ottenere questo risultato senza ricorrere a strumenti come la riduzione di personale, occorre andare a reperire i volumi che oggi si trovano in Italia, ma soprattutto all’estero. È proprio lì che dobbiamo riuscire a essere competitivi, perché la dieta mediterranea, sempre più apprezzata, apre molte porte, ma per avere successo occorre proporsi con il prodotto giusto e un prezzo attraente.

In tema di risorse umane, lei ha dichiarato che i giovani sono una delle chiavi del suo successo. Spesso però è un discorso di forma più che di sostanza.Per quanto mi riguarda è un discorso di pura sostanza. Cosa serve a un’azienda per fare un prodotto di successo? Una profonda conoscenza del mercato, dei concorrenti e dei clienti nonché risorse umane di qualità e di livello adeguato. E anche, ma soltanto dopo, la migliore tecnologia. Tanti imprenditori investono in tecnologia senza rendersi conto che o non è quella che serve ai loro scopi o che non dispongono di personale capace di farne buon uso. Dal mio punto di vista, questo è un clamoroso errore. Per tornare ai giovani, l’età media dei 150 dipendenti di Orva è di 34 anni. Questo perché sono convinto che i giovani viaggino a una velocità decisamente superiore alla nostra a patto, naturalmente, che vengano motivati e responsabilizzati. Noi abbiamo investito moltissimo per informatizzare la nostra azienda e l’informatica e i device digitali sono pane quotidiano per le nuove generazioni. Tenga conto che circa il 10% del nostro personale è laureato.

L’80% dei lavoratori è donna. Perché?Premesso che oggi l’operatore, più che “faticare”, deve saper gestire la macchina che gli è assegnata, e che in questo senso la tecnologia ha eliminato qualsiasi disparità fra uomo e donna, una delle cause sta nel fatto che è più facile reperire personale femminile, perché in generale le donne sono più penalizzate in termini occupazionali. Specie nella nostra zona, dove la crisi del settore calzaturiero ha portato a un surplus di manodopera femminile. Abbiamo puntato sulle donne perché tendono a essere più fedeli all’azienda e ad avere un approccio più responsabile al lavoro. In generale, il fatto di aver lasciato molto spazio ai collaboratori e ai dipendenti e di aver adottato un atteggiamento molto aperto, ha contribuito a creare un grande attaccamento all’azienda. E questo indubbiamente è un nostro fattore di successo. Insieme alla sostenibilità ambientale, uno dei valori fondanti della nostra etica aziendale è proprio il rispetto delle maestranze. E questo non significa limitarsi a garantire un luogo di lavoro efficiente e decoroso, ma anche preoccuparsi di renderlo confortevole e gradevole. Ritengo che la qualità della vita delle persone che lavorano in Orva non può differenziarsi dalla qualità dei suoi prodotti.

Quanto è premiante essere un’azienda socialmente responsabile?È un valore aggiunto che viene riconosciuto, anche se magari non immediatamente. Oggi la principale preoccupazione della grande distribuzione è spuntare prezzi sempre più bassi. Però, quando ci sono gli audit, constato che alla fine questo è un valore che i nostri clienti sono disposti a riconoscere.

Come si mantiene alta la qualità in un contesto in cui la gdo parla di “prezzo più basso sempre”?Questa corsa al ribasso è molto pericolosa. Il rischio è di arrivare a un punto di non ritorno. Sta diventando molto difficile, perché nel nostro mondo può capitare anche che ti mettano a confronto con piccoli imprenditori che utilizzano il ribasso del prezzo come unica arma per competere. Anche se molte grandi catene continuano a vedere nel fornitore un partner e sono consapevoli che questa corsa verso il basso vuol dire svilire un prodotto: il risultato è un pericoloso calo di marginalità che erode le risorse finanziarie per fare investimenti. Per quanto ci riguarda, il nostro obiettivo è di aumentare l’incidenza dell’export, portandola dall’attuale 5%-6% al 20% nel giro dei prossimi anni, proprio perché all’estero i livelli di marginalità rimangono ancora più elevati.

IL NUOVO STABILIMENTO DEI SOGNI

Atteso da quattro anni, il nuovo stabilimento sorgerà a Bagnacavallo (Ra), si svilupperà su un superficie di 20 mila metri quadrati e ha richiesto un investimento di 25 milioni di euro. Si caratterizzerà per un’architettura che si inserisce armoniosamente nell’ambiente e utilizzerà tecnologie di avanguardia a livello di linee produttive, ma anche soluzioni capaci di assicurare la massima responsabilità aziendale garantendo un impatto zero delle emissioni inquinanti. Prevista anche una palestra attrezzata a disposizione dei collaboratori.