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Facciamo le scarpe alla beneficenza

Creare un’impresa profittevole che, al contempo, avesse nel Dna la responsabilità sociale. È rincorrendo questo obiettivo che Blake Mycoskie, il fondatore di Toms, ha inventato la filosofia One for One

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Charlize Theron, Jessica Alba e Liv Tyler. Sono solo alcune delle celebrity conquistate dalle Alpargatas firmate Toms. A portare a Hollywood la calzatura tradizionale dei gauchos argentini è stato, nel 2006, Blake Mycoskie, che ha fondato il brand per inseguire la sua visione di un modello di business basato sulla responsabilità sociale: per ogni paio di scarpe venduto, un altro viene donato ad un bambino che ne ha bisogno. È il concetto One for One col quale, a oggi, Toms ha donato circa 38 milioni di scarpe in tutto il mondo. Un successo che ha spinto l’azienda e il suo fondatore ad allargare il raggio d’azione dell’attività di business, e quindi di beneficenza, all’eyewear (cure oculistiche per ogni paio di occhiali da sole venduti), al caffè (settimane di acqua potabile per ogni confezione di Caffè Toms) e alle borse (per ogni borsa acquistata, Toms contribuirà ad assicurare un parto sicuro a una mamma e a un nascituro in difficoltà).

E nel 2013 è nato anche The Marketplace, piattaforma e-commerce che riunisce su Toms.com più di 30 brand socialmente responsabili, che mira a sostenere il successo dei marchi, ma anche a offrire al consumatore un luogo dove fare acquisti e al contempo del bene.

Sul suo biglietto da visita è indicata la carica Chief Shoe Giver, cosa significa?Credo che il punto di avere una carica di questo tipo sia far sì che le persone chiedano “che cos’è un capo donatore di scarpe?”, così io posso rispondere spiegando loro il nostro modello di business, ossia che doniamo un paio di scarpe ogni volta che ne viene acquistato uno.

Sono oltre 100 i giving partners di Toms, associazioni internazionali attive con programmi di aiuto nei diversi territori coinvolti (Argentina, Etiopia, Guatemala, Haiti, Ruanda, Sudafrica e Stati Uniti) che hanno il compito di portare le scarpe direttamente nei Paesi bisognosi. Questa formula consente di creare un link diretto tra chi acquista e chi riceve, in uno scenario di social responsability che esce da schemi tradizionali e standardizzati. L’azienda americana produce inoltre un terzo delle giving shoes in questi Paesi (Haiti, India, Etiopia, Kenya e Argentina), generando posti di lavoro per le popolazioni locali. A oggi sono state donate 38 milioni di paia di scarpe e oltre 100 mila settimane di acqua potabile, mentre sono 300 mila i malati cui è stata restituita la vista dal 2011 tramite Toms eyewear.

Come le è venuto in mente il concetto One for One e come funziona?È successo nel 2006, in Argentina. In sostanza è un modo per aiutare quei bambini che hanno bisogno di scarpe per andare a scuola, ma volevo farlo attraverso un’impresa e non per mezzo di un’associazione non profit. Per questo abbiamo pensato, un paio di scarpe lo vendiamo, uno lo regaliamo. È un’idea molto semplice, facile da comprendere.

Come l’ha messa in pratica?Abbiamo iniziato su piccola scala: 200 bambini da aiutare, 200 paia di scarpe da vendere, un negozio a Los Angeles. Poi la gente ha cominciato a conoscerci e siamo passati a mille scarpe e mille bambini, e poi siamo arrivati a 10 mila e via dicendo. Non avevamo alle spalle un business plan grandioso, siamo cresciuti organicamente e fino a oggi abbiamo aiutato 38 milioni di ragazzini.

Come sceglie le organizzazioni internazionali con cui lavorare?Cerchiamo realtà che operino già sul campo, nelle comunità che hanno bisogno. Ci appoggiamo a queste organizzazioni perché hanno già le conoscenze necessarie e relazioni con le persone che vogliamo aiutare.

Quest’anno avete annunciato una partnership con Christy Turlington Burns e la sua fondazione Every Mother Counts per lanciare una collezione limited edition di zaini e tote-bag. Come siete entrati in contatto con questa onlus?Desideravamo intervenire anche nel campo della salute materna, perché ci sono molte donne che partoriscono senza vedersi garantire le necessità di base e spesso vanno incontro a complicazioni. Per questo abbiamo cercato un partner che ci aiutasse nella distribuzione di “kit di nascita” a queste donne. La scelta di puntare sulle borse nasce dal fatto che anche i kit che regaliamo sono contenuti in delle borse e vogliamo sempre mantenere un parallelismo tra quanto vendiamo e quanto doniamo.

Attraverso la piattaforma The Marketplace ora diversi altri brand sono coinvolti nel business model One for One. Chi sono e come funziona la partnership?Abbiamo individuato brand che avessero un obiettivo di beneficenza e stessero muovendo i primi passi nel mondo del business. Non si tratta di realtà che fanno donazioni in chiave di marketing, ma che come Toms abbiano l’aspetto sociale come parte integrante della loro anima. Lavoriamo insieme per introdurli nella nostra community e aiutarli a sviluppare il loro business.

La filosofia One for One funziona davvero dal punto di vista del business? Anche durante la crisi economica?Penso che i momenti di crisi siano in realtà interessanti per far crescere una nuova azienda, purché si basi su un’idea originale. Perché spesso quando i business tradizionali sono in difficoltà, i retailer sono alla ricerca di nuove proposte e, quindi, imprese come Toms trovano opportunità inedite in questi frangenti.

Oggi Toms vende anche occhiali, caffè, borse. Quale sarà il prossimo passo?Ci concentreremo molto sugli accessori, categoria che ci permetterà di fare del bene e al tempo stesso facile da affrontare dal punto di vista del merchandising. Questa non è la sua prima esperienza di business, prima di Toms aveva già fondato altre cinque aziende.

Dove trova le idee, il tempo e le energie?Devo dire che ho cominciato quando ero molto giovane, visto che ho fondato la mia prima azienda quando avevo 19 anni, ma per ogni business che ho avviato nei diversi momenti della mia vita sono sempre stato circondato da persone straordinarie e questo credo sia il segreto per costruire qualsiasi cosa: tu hai una buona intuizione, ma devi per forza avere accanto delle persone capaci che ti aiutino a metterla in pratica.

Ma le resta mai del tempo libero?Si! Cerco sempre di trascorrere un terzo dell’anno lavorando in ufficio, un terzo lavorando in giro per il mondo e un terzo concedendomi del tempo libero.

Un consiglio per chi vorrebbe buttarsi nel mondo del business?Il migliore che posso dare è di partire in piccolo. È molto importante non lasciarsi sopraffare dalla grandezza di un’idea e dal lavoro necessario a metterla in pratica: partendo in piccolo ci si può mettere alla prova su scala ridotta e poi crescere a partire da lì. Così non è nemmeno necessario raccogliere un grosso capitale, per lanciare Toms abbiamo messo in campo meno di 5 mila dollari.