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Happy new year Mr. Obama

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L’Economist non è mai troppo tenero quando decide di criticare un leader politico, e ne sa qualcosa Silvio Berlusconi, attaccato a più riprese con quasi compiaciuta cattiveria dal settimanale inglese. Che lo ha fatto anche con George W. Bush, spesso ridicolizzato, e con infiniti altri. Con Barack Obama ha sempre tenuto un atteggiamento di interesse, di attesa, di sospensione del giudizio dato il contenuto di novità che la presidenza del primo afroamericano alla Casa Bianca comporta. Però recentemente ha cambiato il suo approccio. Una copertina di dicembre aveva l’immagine di Obama mentre camminava pensieroso, preoccupato, non a suo agio su una carta geografica, con i piedi proprio su uno dei punti più caldi, l’Iran. Il titolo era The Quiet American. L’americano tranquillo è un famoso romanzo di Graham Greene il cui protagonista, Alden Pyle, è descritto come un sognatore sconclusionato che vorrebbe cambiare il mondo, ma che delle cose del mondo non sa e non capisce nulla. A poco più di un anno dalla sua elezione, così l’Economist praticamente liquida Obama come un politico inadeguato al suo ruolo.

Nubi all’orizzonteIl settimanale inglese lo fa con il suo consueto stile irriverente. Ma non è il solo a pensare che il cammino del giovane presidente Usa stia diventando davvero difficile e che il suo 2010 sarà più ricco di problemi, tensioni, sconfitte che di giorni di festa. La stessa popolarità dell’inquilino della Casa Bianca, dopo il trionfale assenso (un record) successivo alla vittoria elettorale, ne ha risentito: oggi è scesa sotto il 50%, riportando Obama e il suo mito con i piedi per terra. Per gli appassionati di sondaggi, si può aggiungere che a novembre solo il 58% degli elettori democratici, cioè quelli del suo stesso partito, riteneva che l’America avesse imboccato la strada giusta per risolvere i suoi problemi. Non è una marcia trionfale. E anche la first lady Michelle è coinvolta in questo calo di popolarità.Che cosa ha rotto l’idillio? E che cosa si deve aspettare Obama nei prossimi 12 mesi? In prima fila vengono, ovviamente, i problemi economici. La nuova amministrazione, appena arrivata al potere, ha varato un pacchetto straordinario di aiuti da 787 miliardi di dollari per stimolare la ripresa. Qualche risultato, è innegabile, c’è stato: interi settori industriali che rischiavano la bancarotta, come l’automobilistico, sono riusciti a sopravvivere; la General Motors, per fare solo un esempio, ha già incominciato a rimborsare anticipatamente i prestiti ottenuti. Ma questo non è bastato a raggiungere uno degli obiettivi principali che Obama e i suoi si erano prefissi con il loro grande sforzo finanziario, cioè la lotta alla disoccupazione. Dal 2007 l’economia americana ha perso circa 7 milioni di posti di lavoro: gli aiuti concessi dall’amministrazione all’industria sono riusciti a salvarne solo 640 mila. Larry Summers, consigliere della Casa Bianca, aveva assicurato che, proprio grazie agli interventi decisi da Obama, mai il tasso di disoccupazione in Usa avrebbe toccato la soglia psicologica del 10%. E invece lo ha fatto nell’ottobre scorso, quando è arrivata a quota 10,2. E non sarà facile per il presidente farla ritornare sotto quella barriera.

Senza bacchetta magicaNon sarà facile anche perché non si può pensare ad altri aiuti, ad altri stimoli finanziari per l’economia. Lo stesso presidente lo ha detto esplicitamente al Congresso: non ha in mente nessun provvedimento ambizioso, nessun New Deal, per lanciare una crociata anti disoccupazione. Piuttosto pensa a misure di portata più ridotta, ma mirate. Perché questi toni dimessi, questa concretezza? Sono le fredde cifre del bilancio a imporlo. Nell’ultimo anno il deficit del Tesoro americano è salito a 1.400 miliardi di dollari, l’1 % del prodotto interno lordo: un record storico (aveva raggiunto quei livelli durante la seconda guerra mondiale) e internazionale (gli Usa hanno uno dei deficit più alti a livello globale). Lo stock di debito è invece arrivato a quota 12 mila miliardi di dollari, una cifra incredibile, difficile persino da scrivere, da pronunciare, da immaginare. Significa che, per onorare il servizio del debito, l’America dovrà pagare ogni anno 700 miliardi di dollari di interessi: una somma superiore ai budget di ministeri come l’Istruzione o la Sicurezza del Territorio. Con simili cifre di bilancio e avendo già fatto stampare miliardi di dollari per fornire liquidità al sistema a rischio crack con la crisi finanziaria, Obama nel 2010 non potrà più mettere in cantiere programmi espansivi, misure di salvataggio di settori ancora in difficoltà o di stimolo ad altri settori potenzialmente in crescita. Per farlo, dovrebbe aprire un capitolo politicamente esplosivo: quello delle tasse. Uno dei cardini della sua campagna elettorale era stato la promessa che non avrebbe aumentato la pressione fiscale sugli americani che guadagnano meno di 250 mila dollari all’anno. Ora è vero che l’America è il Paese dei Paperoni, però se si vogliono tassare solo i super ricchi non si ottengono risultati significativi. Ha detto Jeffrey Sachs, professore della Columbia University di New York, esperto di finanza pubblica americana: «Tasse più elevate per i ricchi, per quanto giustificate, non risolvono neppure lontanamente la crisi del deficit. Agli Stati Uniti, in realtà, serve la tassa sul valore aggiunto, come quella in vigore in Europa. Ma durante la campagna elettorale Obama l’ha vigorosamente esclusa». Così come ha escluso la proposta avanzata dalla speaker della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie che avrebbe potuto fornire alla casse dello Stato circa 150 miliardi di dollari.

Tornare a Main StreetQuesti fondi non arriveranno e il loro mancato arrivo sta provocando un effetto negativo sull’immagine dell’amministrazione Obama che continuerà (forse addirittura accentuandosi) nel 2010. Gli americani si aspettavano dal nuovo presidente alcune riforme radicali del loro sistema. Una, quella sanitaria, sta facendo dei passi avanti, pur fra polemiche di inusuale violenza. E questo è un punto a favore del presidente. Ma decisamente a suo sfavore è l’assoluta mancanza di iniziative nei confronti dei signori dell’economia di carta, della grande finanza, accusati da tutti di essere stati la vera origine della crisi che ha portato il mondo sull’orlo di una grande depressione, e che sono ancora tutti lì al loro posto, fanno esattamente le stesse cose (potenzialmente rovinose) che facevano prima e, salvo pochissimi casi, continuano a guadagnare i soliti stipendi e i soliti bonus. Gli americani si aspettavano una svolta, speravano che la Main Street avrebbe preso il sopravvento su Wall Street con l’amministrazione del democratico Obama. Ma vedono che anche lui non riesce a superare il muro dei grandi interessi consolidati e dei loro potentissimi lobbisti.

Forte con i deboli, debole con i fortiIl 2010 sarà ovviamente un anno difficilissimo per la Casa Bianca anche dal punto di vista della politica estera. Quella che è e rimane la prima potenza mondiale, guidata da un leader che è stato insignito, per così dire, “a credito” del Premio Nobel per la pace, dovrà dimostrare di essere all’altezza. E dovrà farlo su molti fronti: il Medio oriente dove il confronto arabo-israeliano non segnala notizie positive, l’Iraq, l’Afghanistan, l’Iran che vuole aumentare la sua presenza nel nucleare, la Cina che ormai si profila come potenza quasi antitetica rispetto agli Usa, così come la Russia. Obama, ha scritto l’Economist, si comporta in politica internazionale con calma e pragmatismo, e questo è un dato positivo dopo i modi talvolta quasi brutali di Bush. Ma questo comporta anche il rischio di essere interpretato come un segnale di debolezza e di incertezza. «Il problema è che Obama» dice l’Economist «è spesso più gentile e disponibile verso i suoi nemici che verso gli amici ». Nel 2010 si vedrà se la strategia del “tranquillo americano” Barack Obama sarà quella giusta per un signore che sta seduto sulla poltrona del padrone del mondo.

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Barack Obama
Le tappe del 2010
Gennaio - pronuncia primo discorso sullo stato dell’unione
Febbraio - chiusura della prigione di Guantanamo
Aprile - summit sulla sicurezza nucleare mondiale
Agosto - ritiro delle truppe americane dall’Iraq
Novembre - elezioni di Mid-term per rinnovare la Camera e un terzo del Senato