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Lavoro

«Io ti nomino dottore in precariato»

Lo certifica l’Istat: più studi e più probabilità avrai di trovare un primo lavoro atipico. Il 35% dei neolaureati sono precari, contro il 21% di chi ha concluso la scuola dell’obbligo

La laurea è una garanzia di precariato. Chi più studia, infatti, ha più certezza di trovare un lavoro atipico. I dati Istat presentati commissione Affari Costituzionali della Camera raccontano questa realtà: la precarietà all’ingresso nel mondo professionale «cresce all’aumentare del titolo di studio», essendo pari al 21,2% per chi ha concluso la scuola dell’obbligo e al 35,4% per chi ha conseguito un titolo di studio universitario».

Inoltre, continua il presidente Giorgio Alleva «le differenze di genere aumentano nel tempo, registrando uno scarto di circa quattro punti percentuali tra i nati tra il 1960 e il 1974, di dodici tra i nati tra il 1975 e il 1979 e di sedici tra i più giovani». Se il lavoro atipico coinvolge soprattutto i giovani, non risparmia «anche gli adulti e i soggetti con responsabilità familiari: tra le donne, il 41,5% delle occupate con lavoro atipico è madre».

LA LAUREA? GARANZIA DI UN LAVORO PRECARIO

I lavoratori temporanei sono aumentati a dismisura dal 1997 e «tra il 2008 e il 2016, nella classe 15-34 anni, la quota di dipendenti a termine e collaboratori aumenta di 5,6 punti, dal 22,2% al 27,8%». Anche se nel 2016, anche per gli sgravi contributivi del Jobs Act, è aumentato il tempo indeterminato. «Nel 2016, per la prima volta dall’inizio della crisi, aumentano gli occupati di età compresa tra i 15 e i 34 anni (+0,9%). La crescita riguarda anche il corrispondente tasso di occupazione (39,9%, +0,7 punti percentuali), che tuttavia rimane di oltre dieci punti sotto il livello del 2008».

«L’intervento pubblico, attraverso i flussi di imposte/contributi e dei trasferimenti non tutela le fasce più giovani della popolazione», attacca Alleva. Tasse e benefici determinano «le fasce più giovani della popolazione un aumento del rischio di povertà: dopo i trasferimenti e il prelievo, il rischio di povertà aumenta dal 19,7 al 25,3% per i giovani nella fascia dai 15 ai 24 anni e dal 17,9 al 20,2% per quelli dai 25 ai 34 anni di età».

GIOVANI POVERI E MAI IN PENSIONE

Il problema, ovviamente, guardando in prospettiva si rifletterà sulle pensioni future.. «Nonostante la ripresa dell’occupazione in atto, le condizioni del mercato del lavoro rappresentano un elemento di criticità per le storie contributive delle nuove generazioni, caratterizzate spesso da carriere lavorative discontinue e di bassa qualità e da un ingresso sul mercato del lavoro differito rispetto a quanto sperimentato dalle precedenti generazioni», è l’analisi dell’Istat. E soltanto il 16% dei giovani ha sottoscritto una pensione integrativa.

Ma quando andranno in pensione questi ragazzi? Dai 66 anni e 7 mesi, in vigore per tutte le categorie di lavoratori dal 2018, si passerà a 67 anni a partire dal 2019, quindi a 67 anni e 3 mesi dal 2021. Per i successivi aggiornamenti, a partire da quello nel 2023, si prevede un incremento di due mesi ogni volta. Con la conseguenza che l’età pensionabile salirà a 68 anni e 1 mese dal 2031, a 68 anni e 11 mesi dal 2041 e a 69 anni e 9 mesi dal 2051. E con il 72,5% del reddito nel 2060, contro il tasso di sostituzione dell’82,8% del 2010.