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Lavoro

Lavoro: italiani assenteisti? Non nelle aziende private

L’ottava edizione del Barometro sull’Assenteismo di Ayming evidenzia come la percentuale registrata dai direttori Hr sia la più bassa in Europa. Per i dipendenti, però, si va al lavoro meno spesso che all’estero… Per le aziende: tre leve per ridurre l’assenteismo in ufficio

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L’Italia presenta la percentuale più bassa di assenteismo a livello europeo. Almeno per quanto riguarda i dipendenti delle aziende private. È solo uno dei dati che emergono dall’ottava edizione del Barometro sull’Assenteismo, il Coinvolgimento e la Motivazione dei dipendenti condotta da Ayming a livello europeo (Italia, Francia, Benelux, Regno Unito, Germania, Spagna e Portogallo i Paesi coinvolti).

IL PESO DELL’ASSENTEISMO. L’assenteismo – inteso come uno stile di comportamento delle persone che si assentano dal luogo di lavoro in maniera sistematica – rappresenta il sintomo di un rapporto di scarsa fiducia tra collaboratori e azienda ma costituisce anche un elemento rilevante nella gestione delle risorse umane, perché ha un impatto significativo anche dal punto di vista economico: Ayming stima che un punto percentuale del tasso di assenteismo generi un costo variabile pari a un range dallo 0,3% al 1,87% del totale della retribuzione dei collaboratori.

“IO? SEMPRE PRESENTE, O QUASI”

ITALIANI PENALIZZATI DALLE HR. Confrontare l’assenteismo tra diversi Paesi europei non è semplice, perché – si sottolinea nel report – c’è poca uniformità da parte dei responsabili delle Risorse umane nella definizione del termine “assenteismo” e nell’indicare quali tipologie di “assenza” dovrebbero rientrare sotto questa voce. Ad esempio, alla domanda “Quale tipologia di assenza considerate nel calcolare il tasso di assenteismo?”, quasi il 100% del campione di aziende italiane intervistate considera parte del fenomeno, oltre alle assenze ingiustificate, anche quelle per malattia personale/professionale, incidenti sul lavoro/infortunio e congedo maternità/paternità. Questo dato è il riflesso di un orientamento culturale secondo il quale l’assenza del collaboratore, a prescindere dalla motivazione, viene percepita e valutata dall’azienda in modo negativo. Rispetto ad altri Paesi europei ad esempio, l’abitudine italiana di considerare i congedi parentali come legati al concetto di “assenteismo” riflette una cultura in cui la genitorialità dei collaboratori è ancora lontana dall’essere percepita come un valore, quanto piuttosto rappresenta un rallentamento organizzativo e, nei casi più eclatanti, un ostacolo allo sviluppo professionale e alla carriera.

SORPRESE PIACEVOLI. Nonostante questa concezione allargata del termine “assenteismo”, il tasso di assenteismo registrato dai direttori Hr italiani è il più basso rilevato in Europa: solo 5,49% contro il 6% della Spagna, il 6,21% del Portogallo e il 7% della Francia. La percentuale varia sensibilmente in funzione della dimensione dell’organizzazione: da una percentuale minima dell’1,28% in organizzazioni con un numero di collaboratori compreso tra 20 e 49, fino ad arrivare al dato massimo del’8,01% in aziende che impiegano dai 250 ai 499 dipendenti. Nelle organizzazioni più piccole, infatti, l’assenza di un collaboratore ha un impatto maggiore sui processi aziendali e sulla programmazione del lavoro stesso; il concetto del “se il mio lavoro non lo faccio io, non lo può fare nessun altro” appare come uno dei principali freni all’assenza delle persone, seppur per giustificata causa. Inoltre, probabilmente, il dipendente di una piccola realtà, a prescindere dal suo ruolo in azienda, si sente anche più responsabile dei “risultati” della propria organizzazione, perché più coinvolto. Inoltre, quello che il 56% degli HR manager italiani intervistati aggiunge è che il tasso di assenteismo nel 2015 è risultato stabile rispetto all’anno precedente, mentre il 28% afferma che nella propria realtà è diminuito e solo il 17% registra una crescita. Dati, questi, in contrasto ad esempio con la Francia, dove ben il 49% degli intervistati dichiara che il tasso di assenteismo è aumentato nell’ultimo anno, il 24% ritiene che è diminuito e il 27% afferma che è stabile.

COME COINVOLGERE I DIPENDENTI. La ricerca evidenzia un dato facilmente prevedibile: i dipendenti coinvolti e soddisfatti tendono ad assentarsi meno rispetto a coloro poco felici del proprio lavoro. Come aumentare, quindi, il coinvolgimento dei dipendenti? In Italia i collaboratori intervistati indicano tre motivi principali che generano in loro soddisfazione e interesse per la propria azienda: il contenuto del proprio lavoro (l’84% degli intervistati, il riconoscimento da parte dell’azienda (82%), le relazioni umane instaurate sul posto di lavoro (80%). I dipendenti più soddisfatti apprezzerebbero anche un miglioramento dell’ambiente fisico di lavoro, una maggiore attenzione alla salute fisica e una maggiore flessibilità lavorativa. Compito delle aziende dovrebbe quindi essere quello di motivare i propri collaboratori al fine di tenere alta la loro soddisfazione e il loro coinvolgimento. Le tre motivazioni espresse dai dipendenti italiani in merito alla propria soddisfazione sono infatti un comune denominatore, rispetto alla qualità del lavoro e al proprio coinvolgimento, tra i dipendenti dei Paesi coinvolti nello studio.

I CAMPANELLI D’ALLARME. Nello studio i direttori HR individuano una serie di campanelli di allarme della minore partecipazione dei dipendenti alla vita aziendale. Il dato interessante che emerge è che l’assenza dal posto di lavoro non è tra i primi sintomi dichiarati dai collaboratori, ma al settimo. Il primo campanello d’allarme, in base alle risposte dei dipendenti intervistati, è trovare un lavoratore che, pur presente, si limita a fare lo stretto necessario; il secondo è un dipendente che chiede un colloquio al superiore; il terzo, è una persona che non esprime più opinioni e non dà più suggerimenti sul posto di lavoro.