Banche e assicurazioni, case di moda e grande ristorazione: con un master in sport business è più facile entrare. Ma che c’entra? Eppure è quello che succede: dopo un anno di studi in management dello sport molti giovani vanno in Volkswagen, Intesa Sanpaolo, DeAgostini, Generali, Alitalia, ma anche Oviesse, Tim e Benetton. Perché per lavorare in azienda bisogna conoscere le regole del gioco. E fare team building. Proprio come negli spogliatoi. Altro che allenatori nel pallone. E allora succede anche che la Volkswagen, quando ha avuto bisogno di migliorare la gestione dei gruppi di lavoro nell’ufficio marketing e vendite in Italia, si è rivolta a consulenti del tutto particolari: gli studenti di un corso in strategie dello sport business. Ed è solo un esempio fra tanti. Perché i parallelismi fra la pista e l’azienda sono molti: non è forse vero che allenatori e top manager lavorano ogni giorno per ottenere il massimo dalla loro squadra, rafforzando la motivazione e lo sviluppo personale? E ci riescono applicando più o meno gli stessi metodi. Con una differenza sostanziale: nella vita e nel lavoro si può anche arrivare quarti, soprattutto se la competizione è agguerrita e i competitor tanti. Ma nello sport è diverso: se non sei sul podio non sei nessuno. «E vince solo uno, il primo. Ecco perché lo sport è più spietato del lavoro», dice a Business People Roberto Re (vedi box) di Hrd Training Group, società che si occupa di sviluppo delle risorse umane e formazione manageriale. «Ed ecco spiegato il motivo per cui i manager con un passato da sportivo o quelli che sono cresciuti professionalmente sui banchi delle sport business school hanno una marcia in più». Quale? «Grande fiducia in se stessi e grande capacità di reagire, al cambiamento e anche alla sconfitta». Così ci si trasforma da semplici vincitori a grandi vincenti. Vale per i leader ma anche per il middle management. E allora ecco spiegato il fenomeno del bancario con un master in sport business. L’80% di chi esce da queste scuole, infatti, trova subito lavoro e non è detto che lo sbocco sia sempre e soltanto lo sport system. Anzi. Il manager sportivo è un professionista a 360 gradi, sa pianificare e gestire progetti complessi, conosce gli aspetti giuridici e amministrativi. Un know how fondamentale in tutte le imprese. E infatti lo troviamo in aziende private che si occupano di produzione e distribuzione o nelle agenzie di comunicazione che organizzano eventi e grandi campagne promozionali, in ambito sportivo e non. Insomma, i futuri dirigenti arrivano dal campo. Cosa imparare dai campioni dello sport«L’essere stati atleti, a qualsiasi livello e non per forza campioni, è un bagaglio fondamentale per chi vuole intraprendere la carriera manageriale in questo ambito perché si ha il vantaggio di conoscere già i meccanismi che regolano questo mondo, spesso non semplici da capire per chi viene dal di fuori», spiega Giorgio Buzzavo, classe 1947, amministratore delegato di Verde Sport, il braccio sportivo di casa Benetton. «Tuttavia, il rischio maggiore per un atleta è quello di voler restare nello sport a ogni costo appena terminata l’attività», continua l’ex cestista, poi dirigente in Lotto, Caber e Spalding e dagli anni ‘90 presidente di Benetton Basket e Sisley Volley, «senza compiere prima un percorso formativo, di specializzazione o semplicemente un’esperienza lavorativa in un altro ambito. Il salto dal campo alla scrivania è infatti enorme ed è quindi indispensabile arricchire e diversificare le proprie conoscenze, evitando così di rimanere per sempre con la mentalità dell’atleta». Lo sport preferito dai colletti bianchiBanche e Autogrill a parte, è lo sport system a rimanere lo sbocco più naturale per chi ha un master in tasca. Nessuna sorpresa: con un giro d’affari di 50 miliardi di euro l’anno, quasi il 3% del prodotto interno lordo Italiano, è un settore alla continua ricerca di nuovi professionisti. Circa mille, secondo le più recenti stime, le posizioni aperte. «Lo sport è un sistema molto complesso e necessita di professionalità e pianificazione, di risorse economiche e ottimizzazione dei costi. Dietro a una qualunque squadra, di calcio o di volley», conclude Buzzavo, «ruota una serie di attività e di progetti gestiti da gente preparata, che deve avere solide basi soprattutto nel marketing, nelle attività commerciali, di comunicazione e gestione del personale».
Sette indirizzi per diventare manager dello sport. E non solo
C’È CHI DICE NO: IL DIRIGENTE MIGLIORE NON È SEMPRE UNO SPORTIVO |
Un buon manager sportivo non è detto che sappia dirigere una qualsiasi azienda. La doccia fredda arriva da uno studio condotto dalla Cass Business School e dall’Università di Sheffield: è l’esperienza acquisita sul campo, ciascuno nel suo, che fa grande un manager. Capiamoci: i team di Formula 1 guidati da ex piloti o ex meccanici, dicono i ricercatori americani che hanno analizzato migliaia di casi, vincono in media il doppio di gare rispetto ai loro rivali. Ma non mettete Jean Todt alla guida di un ospedale: in questo caso, sempre secondo la ricerca americana, le strutture sanitarie con performance migliori sono quelle gestite da (ex) medici e non da manager esterni. La chiave del successo sarebbe quindi assumere un expert leader che abbia accumulato anni di esperienza su un preciso terreno. Come dire: essere un ceo competente non è più sufficiente, bisogna prima di tutto avere una solida preparazione nel core business della propria azienda. |