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Lavoro

Morti sul lavoro, grazie burocrazia!

Tanti uffici da visitare per le aziende, documenti da produrre e corsi da seguire, ma poi pochi ispettori effettuano davvero le visite sui luoghi di lavoro. E così c’è chi la fa sempre franca, sulla pelle dei lavoratori

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Tornano a crescere i morti sul lavoro in Italia nei primi sette mesi del 2017, incredibile ma vero. Gli incidenti crescono dell’1,3%, le vittime di oltre il 5%. Di chi è la colpa? (Anche) della burocrazia che come sempre nel nostro Paese riesce a trasformare delle procedure concrete in una guerra di carte bollate. A vigilare sui lavoratori così finiscono a essere più i documenti che gli ispettori, provenienti da almeno sei organi pubblici diversi. Ma le carte non bastano a salvare le vite, se poi gli ispettori non verificano personalmente l’attuazione delle normative in un cantiere. E la formazione in aula non ha la stessa efficacia di quella sui luoghi di lavoro.

Morti sul lavoro, colpa (anche) della burocrazia

Pochi fondi, poco personale, scarsi investimenti in prevenzione e regole complicate: così la normativa sulla sicurezza italiana finisce spesso in un vicolo cieco. Per esempio, l’omologazione di un’ascensore è a carico delle Asl, ma i montacarichi sono di competenza dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl). E ponteggi edili sono competenza dell’Ispettorato del Lavoro. Se ci sono rischi elevati arrivnao le Direzioni territoriali del ministero del Lavoro, mentre le competenze specifiche sono terreno di caccia dell’Inail, l’Istituto nazionale di assicurazione contro gli infortuni. Non basta: per il settore minerario c’è il ministero dello Sviluppo economico, mentre per le industrie estrattive di seconda categoria intervengono le Regioni. E l’anti-incendio è dei Vigili del Fuoco.

Con il fallimento della riforma costituzionale, ricorda Repubblica, si è bloccato anche il passaggio di tutte le competenze al nuovo Ispettorato nazionale del lavoro, così prosegue indisturbato il rimpallo tra Stato e Regioni. Che non riesce a mettere in ordine nemmeno le linee guida per le aziende, grandi e piccole: c’è chi se ne ritrova davanti 86 – ottantasei – con un numero incalcolabile di carte da presentare.

La carte non salvano le vite

La Cgia di Mestre ha simulato alcune situazioni: un falegname verniciatore nei primi 5 anni deve redigere (in alcuni casi due volte) nove documenti: valutazione dei rischi in generale, valutazione polveri di legno, rischio chimico, rumore e vibrazioni, stress, rischio incendio, scariche in atmosfera, rischio campi elettromagnetici, rischio esplosione e movimentazione carichi. Se ha un socio, almeno uno dei due deve partecipare a tre corsi: responsabile servizio di prevenzione e protezione, al corso primo soccorso e al corso anti-incendio. L’altro è chiamato a partecipare a sessioni di formazione generale, specifica e di aggiornamento.

A tutta questa mole di lavoro non corrispondono poi controlli reali: c’è chi la passa sempre franca, fino a un incidente. Sono appena 160 mila le ispezioni annue: un numero che dà la ragionevole certezza di non ricevere mai un controllo. D’altronde, gli ispettori delle Asl con qualifica di polizia giudiziaria sono 2.800, cui si aggiungono 300 ispettori tecnici del Lavoro e 400 carabinieri.