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Lavoro

Smartphone aziendali, giù le mani dai nostri dati

Il Garante della Privacy ferma gli abusi: va bene conservare le informazioni come tutela e monitoraggio dell’attività lavorativa, ma guai a chi spia nei fatti privati

Smartphone aziendali, guai a chi fruga nei nostri dati. Ci ha pensato il Garante della Privacy a mettere un freno alla libertà dei datori di lavoro nell’accesso alle informazioni custodite dagli utenti in quelli che ormai sono le nostre appendici 2.0: gli smartphone.

L’Authority si è pronunciata contro una multinazionale che non solo accedeva ai dati dei suoi dipendenti, anche quelli privati che nulla avevano a che fare con l’attività professionale, ma li poteva copiare, cancellare e comunicare anche a terzi. Addirittura, dai controlli partiti dalla denuncia di un dipendente licenziato, si è scoperto addirittura che il sistema di posta elettronica era programmato per tenere traccia delle email addirittura per dieci anni: un tempo spropositato. E il sistema rimaneva attivo per sei mesi dopo la fine del rapporto di lavoro, essendo accessibile però solo dalla società.

Invece, sostiene il Garante, «il datore di lavoro, pur avendo la facoltà di verificare l’esatto adempimento della prestazione professionale e il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro da parte dei dipendenti, deve in ogni caso salvaguardarne la libertà e la dignità, attenendosi ai limiti previsti dalla normativa. La disciplina di settore in materia di controlli a distanza, inoltre, non consente di effettuare attività idonee a realizzare, anche indirettamente, il controllo massivo, prolungato e indiscriminato dell’attività del lavoratore».