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Lavoro

Più welfare aziendale in Italia, ma non si ascoltano i dipendenti

L’indagine commissionata da Welfare Company alla luce delle agevolazioni previste dalla Legge di stabilità. In media le aziende propongono cinque benefit, troppi però non ascoltano le esigenze di chi lavora

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Cresce l’attenzione per il welfare aziendale in Italia. Più del 70% delle società italiane hanno introdotto piani di welfare per i propri dipendenti. Certo, l’attenzione è soprattutto da parte delle grandi aziende e delle multinazionali, in particolare nel Nord Ovest dell’Italia, mentre c’è meno sensibilità su questo tema al Sud, nelle piccole imprese, in particolare quelle a gestione familiare. È quanto emerge da una recente indagine commissionata da Welfare Company, società di Qui! Group specializzata in soluzioni di welfare aziendale e pubblico. La ricerca – condotta dal professor Luca Pesenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano su un campione di Hr manager fornito dall’Associazione italiana direzione personale (oltre 330 manager, in fondo all’articolo la ricerca) – è stata effettuata alla luce delle nuove opportunità previste dalla Legge di Stabilità 2016. Alla luce delle agevolazioni previste, un responsabile delle risorse umane su tre (il 33,2%) ha affermato di lavorare già alla creazione di un piano di welfare aziendale, quattro aziende su dieci tra quelle già munite di un piano hanno dichiarato che stanno organizzando un ampliamento dei servizi al dipendente. Soltanto l’8,2% si dice non interessato.

I BENEFIT PIÙ DIFFUSI. In media, le aziende propongono ai propri dipendenti circa cinque benefit. Tra i servizi più diffusi, se si escludono mense e buoni pasto e orari flessibili (storicamente i più diffusi), le cinque categorie di benefit più presenti sono: assistenza sanitaria (42,5); convenzioni e agevolazioni al consumo (35,2%), permessi di paternità (25%), benefit per lo studio dei figli (23,2%) e smart working (22,9%). Per gli Hr manager intervistati, il welfare ha effetti positivi sul clima aziendale e riduzione della conflittualità (utile per il 62% degli intervistati), attrae i talenti (per il 52% degli intervistati) e riduce il turnover (47,7%) l’assenteismo (39%).

FALSI MITI DA SFATARE. “Soltanto il 31% ritiene il welfare aziendale utile per il sostegno dell’occupazione femminile. Questo perché oggi sono ancora poco diffusi gli strumenti di conciliazione vita-lavoro, invece fondamentali in un piano di welfare che mira a trattenere i talenti”, commenta Chiara Fogliani, consigliere delegato di Welfare Company. “La ricerca rivela inoltre che sette aziende su dieci non introducono piani di welfare perché temono sia oneroso dal punto di vista economico/gestionale. Ma è un mito da sfatare: grazie agli sgravi fiscali, 1000 euro che un’azienda eroga sotto forma di servizi di welfare invece che in prestazione in contanti comportano un risparmio di 350 euro per l’azienda e 180 euro in più in busta paga per il dipendente, che ottiene un beneficio ‘netto'”.

POCA COMUNICAZIONE. “La ricerca conferma che le aziende concepiscono sempre più il welfare come leva per attrarre i talenti. Il welfare non è più considerato soltanto un elemento di responsabilità sociale, ma diventa parte integrante delle policy del management delle risorse umane”, commenta il professor Luca Pesenti. “Notiamo che quasi sei aziende su dieci sono oggi intenzionate a intervenire concretamente sul fronte della conciliazione famiglia-lavoro, un tema molto discusso ma finora di fatto trascurato nei piani di welfare aziendale e dal welfare pubblico. Si va sempre più verso un welfare integrato. Punto critico, ad oggi, resta l’analisi dei bisogni: viene fatta solo in un caso su quattro e per altro solo un terzo di chi la fa coinvolge il sindacato. Troppo poco: analizzare i bisogni è decisivo per una buona riuscita del Piano di welfare”.

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