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Sostenibilità

Help for Life: volontari senza frontiere

Dal dolore degli ospedali italiani alla lotta contro i mali del mondo: così la onlus padovana ha spiccato il volo per portare supporto medico e istruzione in tutto il pianeta. «Cerchiamo di cambiare le abitudini pericolose, non le culture», spiega il presidente Sergio Bocella: «La parte più difficile? Scegliere tra le tante richieste di aiuto»

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Una lumaca per non dimenticare che con l’umiltà, anche se lentamente, si possono ottenere grandi risultati. La sua chiocciola per sottolineare l’accoglienza verso i poveri. E un cuore per testimoniare la solidarietà verso la sofferenza: negli elementi che ne compongono il logo, sono racchiusi i valori guida della Fondazione Help for Life Onlus, costituita a Padova nel 2006 come emanazione di Padova Ospitale, con l’obiettivo di realizzare missioni socio-sanitarie e progetti di accoglienza, assistenza e cura per le fasce più povere della popolazione. Gli oltre 300 volontari – di cui circa 150 gli attivi – e i molti privati e aziende che li sostengono con donazioni e contributi sono accumunati dalla convinzione che la salute e il riconoscimento della dignità umana siano diritti inalienabili della persona, a prescindere dall’etnia, dalla cultura e dalla religione. Sono tanti i progetti lanciati in varie parti del mondo, dall’India al Kenya fino all’Etiopia: tutti articolati in modo da prevedere attività di assistenza sanitaria, di formazione e istruzione, ma anche di promozione dello sviluppo sociale, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita e dare impulso all’economia locale. I fronti sui quali la Fondazione è attualmente impegnata sono tanti: ci racconta i principali il presidente Sergio Bocella, da un anno al timone.

Quali sono i legami tra Padova Ospitale e la Fondazione?Sul piano formale sono due realtà completamente autonome, anche se sono numerosi i volontari che prestano servizio per entrambe. Padova Ospitale fu costituita nel 1996 con l’obiettivo di offrire un aiuto ai pazienti in cura nelle strutture ospedaliere della città e di costruire case di accoglienza destinate a loro e ai loro familiari. Col tempo la sua attività si è estesa anche ai Paesi in via di sviluppo. A un certo punto si è sentita la necessità di separare l’attività svolta sul territorio dai progetti di respiro internazionale, andando a costituire la Fondazione Help For Life.

Cosa vi ha convinto a intervenire anche in altri Paesi? La consapevolezza, che matura quasi subito in chi si dedica al volontariato, che le situazioni di difficoltà sono trasversali agli Stati, alle etnie e alle convinzioni politiche. Chi è in difficoltà parla una sola lingua, quella della sofferenza. Pur senza avere la presunzione di aiutare tutti e di risolvere tutti i problemi del mondo, Help For Life vuole offrire un aiuto concreto a chi è nel bisogno e, contemporaneamente, promuovere e diffondere la cultura della solidarietà nella nostra società e fra le generazioni future.

Le vostre missioni integrano interventi sanitari e attività rivolte al sociale, per quale motivo?I nostri progetti devono avere una ricaduta positiva sulle comunità nelle quali interveniamo, ma soprattutto rappresentare un’occasione di cambiamento non estemporaneo. Le missioni sanitarie durano in media due settimane e coinvolgono medici specialisti e infermieri che, oltre a prestare assistenza ai malati, si occupano anche di addestrare i colleghi locali all’uso di nuove procedure e tecniche. Pensiamo che salute e istruzione siano le basi dello sviluppo sociale. Questa la motivazione da cui sono nati progetti come quello realizzato lo scorso anno in Etiopia da alcune insegnanti volontarie, che hanno organizzato stage e corsi di formazione per i docenti locali. Analogamente, in Kenya la cura delle ustioni contempla anche un’attività di formazione nelle scuole per insegnare ai bambini ad adottare comportamenti più sicuri in modo da ridurre il numero di incidenti domestici.

ABBIAMO DECISO DI LAVORARE ALL’ESTERO

PERCHÉ LA LINGUA DELLA SOFFERENZA

È UNIVERSALE

Ricevete più richieste di aiuto di quelle che potete gestire. Chi decide come e chi aiutare?Gli organi dell’associazione valutano le segnalazioni alla luce di diversi parametri. Il primo è se la Fondazione dispone delle professionalità e dell’esperienza necessarie. La maggior parte dei nostri volontari lavorano nelle strutture sanitarie cittadine e questo ci garantisce le competenze per operare in questi ambiti. Detto questo, quello dell’allocazione delle risorse è un problema etico serissimo. Ogni volta ci troviamo di fronte a una scelta tragica e difficile, che ci mette in crisi. Il problema è sempre quello: è praticamente impossibile stabilire, anche a posteriori, se il danno provocato a chi non hai aiutato sia stato superiore ai benefici prodotti a chi ha deciso di supportare.

Parlando dei vostri progetti, una cautela è forse quella di non essere troppo invasivi…Cambiare un’abitudine è altra cosa dal pretendere di modificare una cultura. Spiegare a una mamma come evitare che il suo bimbo possa ustionarsi con la pentola sul focolaio è diverso dall’invitarla a utilizzare le moderne “cucine economiche”. Noi cerchiamo di modificare le abitudini, quando questo aiuta la popolazione o la persona a sollevarsi da uno stato di necessità. Per restare al progetto sulle ustioni in Kenya, prima di suggerire nuove cure, abbiamo fatto missioni per due anni e solo dopo che le suore avevano acquisito fiducia in noi, e noi stessi avevamo imparato a conoscere bene la realtà in cui operavano, ci siamo permessi di dare delle indicazioni tecniche diverse. Prima di partire per una missione i volontari vengono in associazione a incontrare i responsabili del progetto che spiegano loro cosa, come e in che termini si deve fare, insieme ai comportamenti da evitare di fronte a una cultura diversa dalla nostra. Inoltre, chi parte per la prima volta è sempre accompagnato da una persona esperta che lo guida.

Kenya

Nell’Ospedale cattolico North Kinangop è in corso dal 2013 un progetto per sviluppo della chirurgia plastica e ricostruttiva, in collaborazione con la Clinica di chirurgia plastica dell’ospedale di Padova, nel Trattamento delle ustioni da acqua bollente e da fuoco dovute a incidenti domestici. Attraverso il gioco, i bambini vengono istruiti a prevenire questi incidenti. Il piano prevede anche la realizzazione di un laboratorio per il confezionamento dei tutori elastocompressivi per il trattamento delle cicatrici, il supporto all’implementazione della rete internet e alla gestione di una serra per la produzione di spirulina, un’alga ad alto valore nutritivo.

Etiopia

Dal 2011 sono state eseguite 19 missioni mediche con 129 operatori e 22 missioni infermieristiche con 46 operatori per un totale di 558 giorni di assistenza assicurati e di 22 mila persone curate. È stata fornita acqua potabile a cinque villaggi. Infine, sono state costruite una scuola elementare per 300 bambini nel villaggio di Shebraber e una scuola tecnica a Emdibir. Nella clinica di Maganasse è in allestimento un laboratorio oculistico per la produzione di occhiali. Prosegue il progetto Adotta una classe, che punta sull’adozione a distanza per aiutare i bimbi di Arakit. Per ampliare l’offerta formativa è in programma anche la costruzione di una nuova ala.

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Il presidente della Fondazione, Sergio Bocella, durante una delle sue missioni