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Attualità

Perché il ricordo di Caporetto ci fa ancora così male

A cent’anni di distanza, gli errori di Cadorna, la distrazione di Badoglio e le colpe ricadute sui soldati semplici restano una metafora del nostro Paese

Nel centenario di Caporetto ci accorgiamo di quanto ci faccia male il ricordo di quella disfatta. E’ passato un secolo da quella che pure fu una sconfitta fondamentale per l’unità d’Italia, visto che portò a Vittorio Veneto, ma Caporetto resta una ferita aperta. E una metafora dell’Italia tra gli errori di Cadorna, la distrazione di Badoglio e le colpe che alla fine caddero sui soldati semplici fucilati per viltà.

Centenario Caporetto: perché ci fa così male

Caporetto non fu quindi tanto una disfatta militare quanto una caduta “psicologica”. Due anni e mezzo di strage inutile e di assalti sanguinari avevano stremato le truppe che si ritrovarono abbandonate a loro stesse nel momento più difficile. Gli italiani avevano all’improvviso perso la voglia di combattere, e la ritrovarono solo dopo quelladisfatta di fronte al terrore del nemico che avanzava per la prima volta dopo le tante battaglie che avevano fiaccato l’Austria-Ungheria.

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Caporetto: che cosa successe

Solo la rivoluzione russa permise ai tedeschi di correre in aiuto degli alleati con Erwin Rommel, futura “Volpe del deserto”, con otto divisioni realizzò il primo blitzkrieg della sua carriera che approfittarono del massiccio fuoco di artiglieria nella notte del 24 ottobre 1917 per infiltrarsi nelle linee italiane seminando il panico tra soldati e generali.

Fu proprio l’incapacità dei comandanti italiani a causare il crollo della II e della III armata. I generali italiani erano scordinati e rigidi, burocratici diremmo oggi, e non seppero reagire. Su tutti va ricordato Pietro Badoglio, poi protagonista degli ultimi anni della Seconda guerra mondiale: capo del XXVII corpo d’armata, Badoglio non diede l’ordine di rispondere con l’artiglieria dando l’ultimo colpo alla resistenza italiana. are in modo massiccio l’artiglieria, una mancanza che contribuì non poco alla rottura del fronte italiano.

Dalla tragedia al riscatto: la solita metafora italiana

Come sempre avienne in Italia, alla sconfitta seguì un riscatto: il Piave, la battaglia del Solstizio e successivamente di Vittorio Veneto. Il Paese mantenne i nervi saldi, l’avvicendamento di Armando Diaz al posto di Luigi Cadorna come capo di Stato maggiore generale riaggiustò il tiro delle truppe dell’esercito. Sarebbe bastato poco, insomma, per evitare Caporetto.

Disorganizzazione, poca resilienza, superficialità, scarso spirito di coesione: i vizi italiani che costarono tante vite cento anni fa sono gli stessi che troviamo spesso ancora oggi nell’attività economica, politica e nella società. E non è tanto un vizio degli italiani in generale – quelli si prendono sempre la colpa come i soldati che vennero fucilati per viltà – quanto delle classi dirigenti pigre e addormentate sui loro privilegi. Finché le cose non cambieranno davvero, Caporetto sarà sempre dietro l’angolo.