Fare impresa in Italia è difficile. Lo conferma anche l’edizione 2016 di Doing Business, la classifica stilata ogni anno dalla Banca mondiale, che, nonostante un recupero di 11 posizioni, ci vede al 45esimo posto tra le 189 nazioni analizzate. Difficile, ma non impossibile, come dimostra l’esperienza di Francesca Giorgetti che tre anni fa ha creato Tutte le spezie del mondo, cui fanno capo un portale tematico e un laboratorio sito in via Vittoria Colonna a Milano, dove è possibile trovare una trentina di differenti sali, una grande varietà di erbe e, soprattutto, oltre 300 spezie – come dice il nome stesso della società – provenienti da ogni angolo del pianeta e proposte nella versione intera, in polvere e anche in miscele ideate per le diverse cucine, dall’asiatica fino all’africana. «Il segreto è trovare una nicchia superspecializzata», afferma. Ma anche, verrebbe da aggiungere, avere una buona dose di creatività e passione.
Cosa l’ha convinta a puntare proprio sulle spezie?Per tradizione familiare sono sempre stata una grande appassionata di cucina, dove le spezie sono un ingrediente importantissimo. Un altro mio grande interesse è andare alla scoperta di nuovi Paesi e della loro cultura, cercando anche di sperimentarne la cucina. Al rientro dai miei viaggi portavo sempre nuove spezie e ingredienti particolari. I problemi iniziavano quando, avendoli esauriti, cercavo di riacquistarli. Quasi sempre constatavo che prodotti facilmente reperibili all’estero erano introvabili in Italia. Qualcosa, però, stava cambiando. In Rete, infatti, mi capitava spesso di imbattermi in discussioni tra altri appassionati che esprimevano il mio stesso disappunto. Ero in un momento in cui anche la mia vita aveva bisogno di un cambiamento forte. La nascita dei miei figli limitava le mie possibilità di continuare a viaggiare e la crisi economica stava inducendo aziende e università a ridurre gli investimenti in formazione, il campo in cui lavoravo. E così mi sono detta: il negozio che vorrei trovare, lo creo io.
Quanto tempo è passato prima che l’idea si concretizzasse?Il mio shop è attivo dal 2013. La sua apertura è stata preceduta da tre anni di preparazione. Non avevo nessuna competenza di vendita di prodotti alimentari, delle normative che regolamentano il settore o l’importazione di prodotti e dovevo ottenere le necessarie abilitazioni. Mi sono recata in Paesi, come l’India e il Madagascar, dove queste spezie vengono prodotte, per apprendere le tecniche di coltivazione e i trattamenti a cui vengono sottoposte. Il mio obiettivo era acquisire gli strumenti per riconoscere il prodotto di qualità più elevata. Ho capito fin dal primo momento che, anche a fronte della concorrenza, dovevo puntare su un posizionamento alto e su un assortimento quanto mai vario e completo. E questo anche se, per passare dalla seconda alla prima scelta, avrei dovuto accettare un sovrapprezzo medio pari al 30 o al 40% e, per alcune erbe, anche al 100% in più.
A posteriori, la scelta ha premiato?Il giro di affari è raddoppiato anno su anno, costringendomi a traslocare due volte il laboratorio passando dalla prima piccolissima sede all’attuale. L’impegno a garantire una grande varietà di prodotti di prima scelta e la disponibilità a collaborare mi hanno permesso di annoverare tra i miei clienti molti ristoranti, tra cui alcuni importanti stellati come Alajmo e Bottura. Il lavoro con gli chef è una parte entusiasmante del mio mestiere, perché è interessante vedere come l’estro di ognuno combina le spezie che trova da noi in nuovi piatti e sapori originali. E questa è esattamente la motivazione con cui vengono anche produttori di birre artigianali, di marmellate o di liquori. Di recente ho avuto contatti anche con un famoso “naso” che crea i propri profumi partendo dalle materie prime e che, da qualche tempo e sull’onda di un rinnovato interesse per i cocktail di qualità basati su vini aromatizzati con le spezie, ha esteso la propria attività di consulenza anche ai produttori di liquori. Questo per dire che ho aperto pensando al consumatore finale, ma ben presto mi sono resa conto che il problema di doversi approvvigionare all’estero era proprio anche di tanti operatori. Un altro punto di forza del mio laboratorio è l’attenzione a garantire un prodotto sempre fresco, soprattutto per le miscele e le spezie in polvere che più facilmente deteriorano le parti aromatiche.
Chi totalizza la maggior parte delle vendite, il sito o il laboratorio? L’online funziona bene anche se, proporzionalmente, è cresciuta di più la vendita all’ingrosso. Oggi il dettaglio vale circa un quarto del mio giro di affari. Il sito, però, resta fondamentale, perché è la mia vetrina. Chi viene in laboratorio spesso mi ha trovato cercando sul web prodotti rari. Sono consapevole di non aver sfruttato fino in fondo il potenziale dell’e-commerce. Finora mi sono limitata a esporre i prodotti, ma sto progettando di arricchirlo con una newsletter e contenuti per chi ama le spezie, il cibo e la ristorazione.
Altri progetti per il futuro?Abbiamo acquisito diversi clienti importanti e questo mi consentirà, probabilmente già a partire dal prossimo anno, di ampliare la struttura, anche se per una realtà di piccole dimensioni come la mia non è semplice, a causa delle note rigidità dell’organizzazione del lavoro in Italia. L’idea è di aumentare la nostra capacità di acquisire, ma soprattutto di evadere gli ordini per cogliere nuove opportunità di business. Ho avuto, per esempio, diversi contatti con rappresentanti di alto livello che distribuiscono prodotti pregiati come lo champagne o il Sassicaia, e che sarebbero interessati a trattare anche le nostre spezie. Vorrei sviluppare ulteriormente anche la collaborazione con gli chef, che amo particolarmente perché rappresenta la parte più creativa e stimolante del mio lavoro.
UN ALTRO “ERRORE” DI CRISTOFORO COLOMBO |
Il primo a portare in Europa il “pimento”, secondo la denominazione spagnola (da noi pepe della Giamaica), fu Cristoforo Colombo. Il genovese era convinto di aver finalmente trovato il pepe. Si sbagliava, perché in realtà si trattava dei frutti essiccati della Pimenta Dioica, della famiglia delle Mirtacee. A ingannarlo fu, probabilmente, l’aspetto delle bacche. Ancora oggi questa è una delle spezie più confuse a causa del suo particolare bouquet, in cui è possibile ravvisare il profumo della noce moscata, del chiodo di garofano e della cannella e una nota di piccante che richiama il pepe nero. Proprio da questa complessità nasce il nome All Spice, adottato nei Paesi anglofoni, dove è utilizzato per la realizzazione di dolci della tradizione come i biscotti di Natale o la Pumpkin Pie. Il suggerimento di Francesca Giorgetti, invece, è di sfruttarla per aromatizzare le cipolline caramellate in agrodolce o per dare un tocco in più ai salmì di selvaggina. |