Provate a trascorrere una settimana senza corrente elettrica. Sette giorni senza poter ricaricare il tablet o lo smartphone, privati di frigorifero e condizionatore, a digiuno di televisione e luce. Tempo 24 ore e chissà quanti rischierebbero l’esaurimento nervoso. Eppure nell’epoca dei nativi digitali e dell’interconnessione, in cui a tutto si può rinunciare tranne che al caricabatterie sempre in valigia, ci sono ben 1,5 miliardi di persone che non hanno accesso all’energia elettrica. Come se, dall’oggi al domani, l’intera Cina rimanesse al buio. C’è però chi di fronte a questa emergenza ha deciso di rimboccarsi le maniche. Qualcuno li ha ribattezzati i “rivoluzionari dell’energia solare”, convinti come sono di voler andare nelle baraccopoli a istruire la povera gente sull’utilizzo delle fonti alternative e rinnovabili.
Loro si definiscono piuttosto un movimento globale e open source con l’obiettivo di fornire un’illuminazione ecologicamente sostenibile a chi ancora oggi vive senza energia elettrica. Stiamo parlando di Liter of Light, organizzazione non governativa nata nel 2011 nelle Filippine a seguito di un progetto specifico di un’altra ong, My Shelter Foundation, e in seguito diffusasi in 26 Paesi tra cui l’Italia. Il primo seme di questa straordinaria opera, capace di portare la luce a oltre un milione di persone in ogni angolo del pianeta, è stato gettato nel 2002. In quell’anno Alfredo Moser, un meccanico brasiliano, sviluppa un sistema di illuminazione ecosostenibile chiamato “bottle bulbs”; si tratta di semplici bottiglie di plastica, trasparenti, da un litro e riempite d’acqua, cui vengono aggiunte due capsule di candeggina per evitare la formazione di alghe. Fissate nei tetti di lamiera delle baracche e sfruttando la rifrazione dell’acqua, arrivano a illuminare una stanza di 15 metri quadrati come una lampadina da 55 watt. Ben presto però si capisce che nemmeno questa innovazione poteva bastare. Nonostante con un metodo accessibile a tutti fosse possibile portare la luce a migliaia di persone, rimaneva il problema di cosa fare di notte.
Da qui il progetto Liter of Light at Night, avviato in collaborazione con l’Università di Santo Tomàs in Colombia. Alle bottiglie viene così installato un pannello solare da 1 watt collegato a un led della stessa potenza e un voltaggio di 3,2 V. Nascono le lampade da 1 e 2 watt e la “Street Light” da 3 watt. Anche le baraccopoli possono venire illuminate grazie all’energia solare. «Gli associati a Liter of Light in tutto il mondo sono oltre 10 mila e le lampade installate a oggi ammontano a più di 450 mila, con circa un milione di persone che beneficiano del nostro sistema di illuminazione», spiega Lorenzo Giorgi, direttore esecutivo di Liter of Light Italia e coordinatore europeo di Liter of Light. I centri di progettazione e coordinamento sono dislocati in otto Paesi, dagli Usa al Pakistan e alle Filippine passando per l’Europa, mentre i centri di produzione e intervento operativo, con microimprese od ong locali che supportano e gestiscono il progetto, hanno raggiunto 26 Stati tra cui Zambia, Kenya, Tanzania, Cile, Colombia e Perù fino alla Turchia.
Ma l’obiettivo di Liter of Light non è solo quello di accendere una lampadina nei più sperduti luoghi del mondo. Le tre parole d’ordine della Ong sono: sostenibilità, formazione e costruzione. E questo perché «abbiamo come scopo la condivisione di conoscenza tecnologica e l’installazione di illuminazione nel mondo», aggiunge Giorgi, dato che «per ogni lampada che montiamo, una o più persone vengono formate sulla sua costruzione e funzionamento; in questo modo trasmettiamo la capacità di convertire la luce del sole in una luce essenziale per vivere, insegnando che l’illuminazione può essere creata e riparata a mano». Per questo, «Liter of Light non è un’invenzione bensì una grossa innovazione per i Paesi in via di sviluppo», spiega il direttore italiano. «Per far sì che questa tecnologia sia sostenibile dalle comunità, abbiamo trovato il modo di riprodurla all’interno del loro sistema, creando microimprese in grado di produrre le lampade artigianalmente».
PER OGNI LAMPADA MONTATA
UNO O PIU’ PERSONE VENGONO FORMATE
SULLA SUA COSTRUZIONE IN MODO
DA PERMETTERE DI RICREARLA
E RIPARARLA A MANO
Per sostenere un progetto come quello di Liter of Light servono però risorse. E non poche. «La principale fonte di finanziamento per l’ong consiste nell’investimento delle aziende nella propria Corporate Social Responsability (Csr)», sottolinea Giorgi. «Le imprese scelgono di investire in un prodotto realmente sostenibile che andrà a portare illuminazione e crescita economica nei Paesi in via di sviluppo».
A ciò si affiancano «gli investimenti governativi per i progetti internazionali, oltre all’indispensabile apporto dei volontari». Nel gennaio scorso, inoltre, Liter of Light si è aggiudicata il prestigioso Zayed Future Energy Prize di Abu Dhabi, grazie a nove progetti che hanno sbaragliato la concorrenza degli altri 1.100 candidati. «Con questo premio», conclude il numero 1 tricolore, «il nostro bilancio si è incrementato molto, sono entrati un milione e mezzo di dollari, che ci hanno permesso di aprire nuove sedi e implementare le installazioni presenti, oltre che aumentare le progettazioni nei Paesi messi in ginocchio da disastri naturali, a partire dal Nepal».
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