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Nel Paese di Stradivari

L’Italia può vantare numerose eccellenze nel campo della costruzione degli strumenti musicali di pregio. Una professione considerata a rischio di estinzione, ma che potrebbe avere un futuro – redditizio – anche grazie al Web

L’Italia non è solo un Paese di poeti, santi e navigatori ma anche di musicisti e di costruttori di strumenti musicali. Stradivari docet. Un settore in cui cinesi o giapponesi possono copiare poco o nulla. E, infatti, comprano tutto da noi: l’anno scorso il Giappone ha importato dall’Italia strumenti musicali per un valore di 7 milioni di euro, la metà del loro intero portafoglio acquisti, che ne vale 14, e i dati del primo semestre 2013 confermano il trend positivo. L’Italia resta il quinto produttore al mondo: i nostri strumenti prendono la via dell’Asia, con il Giappone in testa seguito da Corea del Sud, Singapore, Taiwan e Hong Kong. Basti pensare che nella terra del Sol Levante i violini artigianali contemporanei di fascia alta sono quasi tutti cremonesi, con prezzi che variano dai 13 ai 36 mila euro.

Opportunità da cogliere negli Usa

La nota dolente? Il vero business si potrebbe fare (anche) altrove: il primo mercato al mondo per valore e dimensioni, infatti, è quello americano. Soltanto di violini, viole, violoncelli e contrabbassi gli Usa ne acquistano per un valore di 34 milioni di dollari ogni anno, ma non comprano da noi. Lo stesso vale per gli altri strumenti artigianali e classici. È un mercato che fa gola, le potenzialità per entrare ci sono e le eccellenze non mancano. Oltre alle liuterie di Cremona famose in tutte il mondo, come Trabucchi, sono molti i distretti musicali: da Sacile, in provincia di Pordenone, con i pianoforti di Fazioli – per l’Economist «i migliori al mondo» – ai clarinetti dei Fratelli Patricola o le arpe Salvi in Piemonte, dai mandolini firmati dai Calace di Napoli alle fisarmoniche di Castelfidardo.

Il futuro nel Web

Mestieri antichi che oggi però attraggono sempre meno giovani, al punto che fra dieci anni, secondo una previsione dell’associazione artigiani di Mestre, il liutaio sarà una di quelle professioni a rischio di estinzione: rimarranno solo i (pochi) grandi nomi di prestigio. O forse no: la speranza che si tratti di una profezia fallibile viene da dove meno uno se lo aspetta. Dal Web, l’antitesi (ma solo fino ad oggi) dell’abilità manuale e della produzione artigianale. Sarà Internet a salvare la nobile arte dei liutai? Lo sta già facendo. «Il futuro dei giovani artigiani italiani lo vedo così: a breve bisogna ancora attraversare molte difficoltà», dice Alberto D’Ottavi, un pioniere, con la sua Blomming.com, del social shopping, «mentre in prospettiva l’unione tra i giovani abituati al digitale e le tradizioni artigiane classiche credo possa portare solo buoni frutti. Il fenomeno americano, da poco sbarcato anche in Italia, dei makers è proprio questo: la Rete interviene sia nella fase precedente la produzione, con un design aperto e collaborativo, sia nella fase finale grazie a nuovi canali distributivi online, l’e-commerce prima di tutto. Certo dobbiamo imparare a produrre a costi calmierati, in modo da poter competere sui mercati internazionali».

Un modello da seguire

Un esempio pratico? Le chitarre 3.0 di Noah, costruite in un laboratorio di Lambrate, alle porte di Milano, un mix fra artigianato, tecnologia, rete e talento, tipico appunto di moderni makers: il corpo dello strumento viene ricavato con macchine digitali a controllo numerico che scavano la materia creando un guscio vuoto, poi riempito con le componenti elettroniche e chiuso con un coperchio e alla fine viene avvitato un manico di legno con il capotasto in grafite realizzato da un liutaio. Risultato: un pezzo unico, fatto su misura, dall’uomo e dal Pc, per le esigenze del cliente. È solo un esempio dei tanti artigiani che, per abbattere i costi, usano laser cutter, stampanti 3D e diavolerie simili. «Il fai da-te tecnologico è entrato in bottega», conferma Sergio Carbone, direttore generale di Projectland «e fa da volano alla competenza e alla maestria degli artigiani». Aggiungendo precisione a qualità. E non è solo una provocazione pensare che in futuro i computer saranno in grado di fare repliche degli Stradivari, perché la sfida è già cominciata. Come suona un violino progettato col Pc e stampato in 3D? Giudicatelo voi (il video). Prodigio della tecnica? Vedremo. Sicuramente un violino prestampato costa molto di meno.

Spesa in calo

A proposito di prezzi: gli italiani, colpa della crisi, spendono sempre meno in strumenti musicali, circa 5 euro a testa in media in un anno, la metà di quanto fanno canadesi e americani. E questo spiega in parte la debacle del fatturato della vendita di strumenti nel nostro Paese: meno 13,5% in un anno secondo i dati diffusi da Dismamusica. Recessione a parte, i motivi vanno cercati anche altrove: cresce il digitale e si fa molta musica col computer. Fatto sta che il fatturato è sceso a quota 287 milioni di euro dai 400 nel 2009, quando le cose andavano meglio, ma eravamo comunque il quarto mercato europeo dietro a Francia, Inghilterra e Germania. Forse dal Giappone qualcosa dovremmo imparare: sono i nostri migliori clienti non solo per merito di una grande tradizione musicale – nella quale nessuno ci batte – ma forse anche perché nelle loro scuole, dalle elementari in su, l’insegnamento della musica è obbligatorio fin dal 1940. Insomma, se diventasse materia curriculare il do-re-mi potrebbe fare da volano alla ripresa del comparto. Musica per le nostre orecchie. E per l’economia.

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PREZZI DA RECORD. È una nicchia che non teme la crisi. Stiamo parlando degli strumenti creati dai grandi maestri del ‘900, veri capolavori che valgono dai 25 ai 100 mila euro a seconda della firma e dello stato di conservazione. Senza contare i pezzi da collezione del ‘700, con quotazioni che raramente scendono sotto i 200 mila. Il violino-record? Uno Stradivari del 1721, appartenuto per oltre trent’anni alla nipote del poeta inglese Lord Byron e battuto a Londra per quasi 10 milioni di sterline, oltre 11 milioni di euro, nel 2011