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Gusto

Food Tech, il cibo che verrà

Droni per l’agricoltura di precisione, coltivazioni senza terra e con pochissima acqua, start up che recuperano gli scarti di lavorazione degli agrumi: così la tecnologia trasforma l’attività più antica del mondo. In attesa che l’Internet of Food ci insegni a mangiare 2.0

Più di un miliardo di dollari in un solo anno: è quello che i venture capitalist americani hanno investito nel 2014 sulle nuove tecnologie del cibo. Si chiama food tech, tutti ne parlano e in molti ci credono: dagli investitori fino alle multinazionali come Microsoft e Whirlpool, Cisco e Barilla. Senza contare i fondi specializzati in agritecnologie (una trentina quelli nati in Usa per cavalcare il trend), gli acceleratori e le food start up: erano 115 quelle in vetrina a Seeds&Chips, il primo evento italiano interamente dedicato a questo settore. È la prova che il mercato alimentare sta cambiando molto in fretta. Per capirne i motivi, però, bisogna allargare lo sguardo.

Piatti impossibili

Dal campo alla tavola… via web

«Per sfamare tutte le persone del mondo servirà sempre più cibo», sintetizza Eyal Shimoni, vicepresidente del primo gruppo israeliano del settore, Strauss Group, a margine del Technology Forum del Club Ambrosetti. «Perché la popolazione aumenta di numero e si allunga anche la vita media. Di conseguenza dovremo impiegare maggiore energia nella produzione di cibo, il che significa costi e inquinamento crescenti». Non è un quadro rassicurante e tutti i tentativi fatti fino a ora per aumentare la produzione e sfamare il mondo hanno contribuito solo a peggiorare la situazione, mentre il segreto starebbe nel taglio degli sprechi: produrre meno, consumare meglio e soprattutto non buttare via più niente.

E qui entrano in gioco innovazione e tecnologie, alleate nel tentativo di cambiare l’intero paradigma del mercato alimentare come lo abbiamo conosciuto, visto che così non funziona. Lo dimostrano i numeri: il valore economico del cibo sprecato nel mondo, secondo l’osservatorio Waste Watcher, è di mille miliardi di euro. Ne basterebbe un quarto per sfamare i 795 milioni di persone che soffrono la denutrizione. Solo noi italiani buttiamo otto miliardi di euro l’anno di prodotti alimentari. Ma non solo: la catena del food&beverage perde soldi a ogni passaggio, a partire dalla produzione fino alla distribuzione e al consumo. La risposta? Più tecnologia per chiudere le falle.

IL SEGRETO NON È PRODURRE DI PIÙ

MA SPRECARE MENO: VENGONO BUTTATI

MILLE MILIARDI DI EURO DI CIBO ALL’ANNO

OCCHIO ALLA SPESA. Quando l’innovazione incontra il cibo, infatti, si riesce a produrre, trasformare, distribuire e consumare in maniera sostenibile ed efficiente, con un ridotto impatto ambientale. Un business enorme: basti dire che tra i più grandi investitori ci sono in prima linea appunto Bill Gates e il co-fondatore di Yahoo!, Jerry Yang, entrati nel capitale della start up Hampton Creek, famosa per la sua “maionese senza uova”. E ancora il multimiliardario Li Ka-shing, che invece ha puntato sul cheeseburger senza carne dell’americana Impossible Foods. Mentre la famiglia Rockfeller è interessata in particolare alle stampanti di cibo. Se si muovono loro, attenti tutti: in ballo c’è l’intero settore alimentare mondiale con nuovi modelli di business ancora da inventare. Vediamo come.

Due sono le direzioni in cui ci sta muovendo per rivoluzionare i metodi tradizionali. Da una parte l’agricoltura di precisione: è il sistema che permette di ottimizzare le risorse e ridurre gli sprechi con accuratezza chirurgica. Per esempio, usando i droni radiocomandati per individuare i parassiti sulle piante anche in zone difficilmente accessibili e poi concimare e curare solo quelle interessate. Il secondo filone, invece, è quello alternativo. «Con l’idroponica si coltiva senza l’uso della terra», ci spiega Marco Gualtieri, fondatore e ideatore di Milano Cucina e del format Seeds&Chips, «e risparmiando fino al 70% di acqua: una nuova via che potrebbe rivoluzionare il modo di produrre». Un esempio? La piattaforma Jellyfish Barge, ideata dalla start up Pnat assieme all’Università di Firenze e in grado di sfamare due famiglie senza consumare terreno, acqua dolce ed energia chimica. Fra l’altro, si è classificata al secondo posto a livello mondiale al premio Ideas for Change dell’Onu, dietro solamente a Orange Fiber, l’altra italiana a rientrare tra le cinque finaliste. Oppure l’ecosistema acquaponico di Agricoltura 2.0 e ancora la start up Robonica e il suo orto “da appartamento”, una coltura fuori suolo che si comanda wireless dallo smartphone. Fantascienza? Forse, ma presto in vendita a 199 euro.

MADE IN CASA. Non ci siamo ancora abituati alle stampanti 3D, che creano oggetti dal nulla, figuriamoci a quelle che stampano la pizza o i cioccolatini. I primi esperimenti mostrano tutte le difficoltà del progetto, ma quello che conta di più è il principio. Si tratta infatti di spostare parte della capacità produttiva dalle grandi aziende al consumatore finale. Ci crede la start up spagnola Natural Machines con la sua Foodini, una stampante che crea piatti complessi partendo da alimenti naturali, oppure l’inglese 3D System che ha presentato quest’anno al Ces di Las Vegas una chocolate printer per farsi i cioccolatini in casa, in tutte le forme e varianti. L’idea di fondo è che in futuro saranno possibili customizzazioni non solo estetiche, ma anche di gusto e di salute alimentare bypassando il produttore.

SICUREZZA ALIMENTARE. Continuando nel nostro viaggio, a valle della catena produttiva troviamo i consumatori, attenti al portafoglio ma anche alla qualità degli acquisti e sempre alla ricerca di prodotti sicuri, controllati e, quando possibile, certificati. Anche in questo caso, ci viene in aiuto la tecnologia, in grado di raccontarci tutto sui prodotti che vediamo sullo scaffale o sul cibo che serviamo in tavola. Non è stato facile però: ci sono voluti vent’anni di studi per arrivare a concepire e costruire dei sensori elettronici capaci di rilevare, in tempo reale, le qualità e le proprietà organolettiche di un alimento. Come il naso elettronico FoodSniffer che fiuta il piatto, si connette a un database e poi spedisce sul telefonino un’analisi completa: se vengono annusati dei batteri, per esempio, significa che il cibo è avariato.

Nel caso del vino la sfida è ancor più accattivante: il sistema deve riconoscere la varietà delle uve utilizzate, la zona di provenienza, l’invecchiamento e la presenza di eventuali sofisticazioni. Ci stanno lavorando da anni gli scienziati del Cnr, che hanno appena presentato all’Expo un primo prototipo funzionante. Sul campo della lotta alla contraffazione, invece, il 22enne Lorenzo Guariento ha sviluppato il sistema ItForItaly, capace di smascherare le frodi al supermercato inquadrando con lo smartphone il codice a barre dei prodotti. E le truffe non sono poche: secondo Federalimentari, sugli scaffali americani l’85% dei formaggi “tricolori” non lo sono affatto, così come il 95% circa di sughi e conserve sott’olio. E a proposito di etichette, ecco quelle “intelligenti” con tecnologia Nfc sviluppate dal 28enne Marcello Gamberale Paoletti di Viveat: i produttori di vino possono applicarle sulle loro bottiglie e il consumatore leggerle avvicinando il telefonino. Un semplice gesto che veicola centinaia di informazioni.

FOOD ON WEB. Il nuovo concetto è quello dell’Internet of Food. Riassume in due parole un vero cambiamento di paradigma e che, come l’Internet delle cose, si presenta come un nuovo settore dell’economia. Dalla produzione agricola, passando per la trasformazione, la distribuzione fino alla somministrazione degli alimenti, il digitale gioca un ruolo sempre più importante, a beneficio del prodotto e del consumatore. «Pensiamo ai piccoli produttori a km 0», continua Gualtieri, «il cui business model non sarebbe sostenibile senza la grande vetrina della Rete. Come ha detto Bill Gates, oggi basta un sms per spiegare ad una donna africana cosa, come e quando seminare. Io dico di più: in Asia, per chi coltiva ma non sa leggere o scrivere, c’è un servizio di Voice Mail che fa lo stesso parlando. L’Internet of Food è appena agli inizi ma rivoluzionerà significativamente l’intero sistema: perché il cibo è la nuova frontiera della tecnologia. E lo dice il Governo Usa, non io». E il Web cambia anche il modo di consumare un pasto, che diventa un’azione sempre più “social”, e aumenta la conoscenza e la condivisione.

È STATO IL GOVERNO AMERICANO A INDICARE

NELL’ALIMENTAZIONE LA NUOVA FRONTIERA

DELL’INNOVAZIONE TECNOLOGICA

DAGLI USA ALL’ITALIA. Secondo il guru dell’economia Jeremy Rifkin, «l’Italia ha un vantaggio competitivo per essere leader in questo settore». Potremmo dunque candidarci, per tornare a Marco Gualtieri di Seeds&Chips, a essere il baricentro del settore, «creando così un nuovo ecosistema che potrebbe assumere dimensioni molto importanti, attrarre investimenti e portare benefici e vantaggi competitivi a tutta la filiera collegata». E non solo alla filiera. Ci sono start up che hanno trovato il modo di collegare cibo e moda, come la già citata Orange Fiber di Adriana Santanocito ed Enrica Arena, che sviluppa filati innovativi e vitaminici dagli agrumi, riutilizzando parte delle 700 mila tonnellate di sottoprodotto che l’industria di trasformazione agrumicola italiana produce annualmente. Oppure chi come Coffee Reloaded punta a recuperare e riutilizzare i fondi di caffé (ogni anno in Italia ne consumiamo e “buttiamo” in media quasi sei chili a testa) come fertilizzante, visto che anche dopo la preparazione della tazzina restano numerose sostanze preziose nella polvere.

Molti altri sono gli aspiranti imprenditori non ancora sul mercato, ma già in fase di incubazione. All’interno dell’acceleratore d’impresa Alimenta, nel Parco tecnologico padano di Lodi, ci sono: Agricoltura 2.0 di Davide Balbi, un sistema per produrre alimenti in colture idroponiche sfruttando l’acqua delle vasche dei pesci; MyFoody, con la sua piattaforma di commercio elettronico dove le aziende possono vendere i prodotti in scadenza o in eccesso a prezzi contenuti, valorizzando le eccedenze e creando valore per se stesse e per i consumatori; e, ancora, Quomi, che consegna a domicilio gli ingredienti delle ricette già nelle giuste quantità in modo da evitare sprechi. Così come fanno anche Fanceat, My Cooking Box e Paisan, a dimostrazione che il business in Italia è vivo e che c’è posto per tanti.

Fra le start up appena nate, invece, e selezionate dal Club Ambrosetti per il loro forte potenziale di impatto industriale, segnaliamo VirtualZero, che usa sensori e wifi per creare un catalogo di prodotti agroalimentari a chilometro zero virtuale; GeniusChoice.it, impegnata nell’utilizzo di tecnologie Ict e applicate alla biologia molecolare con l’obiettivo di individuare la compatibilità di un prodotto alimentare rispetto a restrizioni alimentari, scelte personali, gusti o stili di vita. Poi ancora Foodmaps.it, un’applicazione di social food con soluzioni anti spreco e mappe del cibo. Oppure il packaging intelligente di L4B Food, la dieta genetica di G&life e i prodotti biologici per la fertilizzazione energetica del suolo di AlgainEnergy.com.

ANCHE I BIG IN CAMPO. La Rete e le tecnologie, ormai distribuite e accessibili ovunque, stanno quindi cambiando e migliorando interi processi produttivi della filiera alimentare, principale attività vitale dell’uomo nonché settore economico numero uno al mondo. Anche le grandi corporation sono della partita, da quelle dell’agroalimentare alle aziende di elettronica e Information Technology. «Abbiamo intravisto una grande opportunità per il nostro settore nella migliore comprensione del cibo», conferma Mauro Piloni, presidente e Ceo di Whirlpool R&D, «così abbiamo inserito in azienda nuove competenze, affiancando agli ingegneri alcuni food scientist capaci di individuare le relazioni tra qualità elettronica di una macchina e qualità del cibo. Poi ci siamo aperti all’esterno, dialogando con le industrie dell’agroalimentare e le università. L’ultimo passo è stata la creazione di SiFood (Science & innovation Food district), un distretto dell’innovazione tecnologica per la sostenibilità alimentare al quale partecipano 25 realtà, fra aziende, università, istituzioni e associazioni di categoria ».

Il ritorno sugli investimenti arriva dai nuovi prodotti sviluppati all’interno del network: un esempio è il forno da cottura ad hoc per i prodotti Barilla, che aiuta a ridurre lo spreco alimentare e dà valore agli azionisti. Insomma, la sfida dell’Internet of food è appena partita, ma sta già dando grandi risultati nella lotta agli sprechi, nell’ottimizzazione dei processi produttivi e distributivi, regalando grandi soddisfazioni anche a chi ci ha creduto (e investito) fin dal principio. E siamo solo agli inizi.

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