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Odiosamata Lady Thatcher

Liberismo in campo economico, conservatorismo sui temi sociali e individualismo dal punto di vista filosofico. Così la dama di ferro ha rivoluzionato ogni aspetto della vita politica e dell’economia inglese

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Margaret Thatcher se n’è andata l’8 aprile di due anni fa. Aveva 87 anni, da tempo era malata di Alzheimer e soffriva di perdita di memoria e demenza («Negli ultimi tempi chiedeva spesso di papà», ha raccontato la figlia Carol, «non ricordava più che fosse morto da dieci anni»). E chissà se quando s’è spenta, in una suite dell’Hotel Ritz di Londra, s’era dimenticata anche di essere stata la prima donna alla guida di un grande partito occidentale, la prima (e ultima) donna primo ministro della Gran Bretagna, il primo leader britannico a vincere per tre volte di seguito le elezioni politiche. Di aver fatto la storia.

Se lo ricordavano invece, e benissimo, i sudditi di sua maestà. Divisi, allora come oggi, tra chi la amava incondizionatamente e chi la odiava con tutto il cuore. Già, perché Margaret Thatcher, nata Margaret Hilda Roberts il 13 ottobre 1925, nell’appartamento sopra la drogheria del padre, a Grantham, nel Lincolnshire, è stata una donna, una madre e un primo ministro senza mezze misure, tutta d’un pezzo.

Fu vera gloria?

«La lezione più importante che mi ha insegnato mio padre? Che non si scende a compromessi sulle cose che contano», dichiarò in un’intervista. Non solo: dal padre imparò anche l’assoluto rigore per la contabilità. Rigore e fermezza sono state la cifra assoluta dei suoi 11 anni e mezzo a Downing Street. E di tutta la sua carriera politica. Nonché il motivo della strenua opposizione, delle critiche feroci, della profonda antipatia che suscitò in una parte della popolazione britannica e in mezza Europa.

Quando nel 1965 Edward Heath guidò i Tories alla vittoria nelle elezioni, e affidò alla Thatcher il ministero dell’Istruzione, lei si guadagnò subito le prime pagine dei giornali con la decisione di operare un netto taglio di bilancio: una delle conseguenze fu la fine della distribuzione gratuita di latte ai bambini delle scuole pubbliche. «Thatcher, Thatcher, milk snatcher (ladra di latte, ndt)», fu lo slogan coniato per l’occasione. Divenne in un colpo solo, come scrisse all’epoca un quotidiano, «la donna più impopolare della Gran Bretagna».

Era solo l’inizio. La Thatcher, naturalmente, aspirava a un ruolo più centrale e rilevante. Secondo qualche ex collega di partito, si sarebbe accontentata di diventare Cancelliere dello scacchiere, ovvero il ministro del gabinetto con responsabilità su tutte le materie economiche e finanziarie, ma il destino aveva in serbo ben altro. E si presentò nel 1974, quando il governo Tory di Heath collassò. Il vuoto di potere all’interno del partito conservatore, le critiche alla leadership di Heath, l’assenza di alternative credibili, giocarono a favore della Thatcher, che intanto si era guadagnata la fama di politico pragmatico e refrattario alle ideologie. Un po’ a sorpresa, vinse di misura il primo turno delle elezioni per nominare il nuovo leader dei Tory, e al secondo sbaragliò gli avversari rimasti in gara: l’11 febbraio 1975 divenne la prima donna a salire alla guida del partito conservatore britannico. Si accomodò all’opposizione in Parlamento e iniziò a predicare la necessità di ridimensionare la presenza e il ruolo dello Stato nella società. E quella di rimettere al centro l’individuo.

«Credo che una persona pronta a lavorare di più, debba ottenere di più. E le tasse non dovrebbero portaglielo via», era il suo mantra. Così come: «Dovremmo stare dalla parte dei lavoratori, non degli scansafatiche». Dopo quattro anni, nella primavera del 1979, con la caduta del governo Labour, ebbe finalmente modo di realizzare la sua visione. Il 4 maggio venne eletta primo ministro e si insediò al 10 di Downing Street con un’agenda molto chiara: tagliare la spesa pubblica, abbassare le tasse (l’aliquota più alta era dell’83%), e spezzare la schiena ai sindacati.

All’inizio le cose non andarono affatto bene. Il Paese era impantanato nella recessione e i sindacati, in mobilitazione perenne, provocavano continui shut-down alla già debole economia. Probabilmente la Thatcher non sarebbe riuscita a passare indenne le elezioni successive, ma il primo aprile del 1982 la giunta militare al potere in Argentina decise di invadere le isole Falkland, un più che trascurabile possedimento britannico nell’Atlantico del Sud. La Thatcher, che intanto si era guadagnata il soprannome di Iron Lady (dama di ferro), inviò immediatamente portaerei e incrociatori e in due mesi riconquistò le Falkland.

La vittoria-lampo rivitalizzò l’orgoglio nazionale. E la carriera politica della Thatcher, che alle elezioni del giugno 1983 trionfò con il 42,4% dei suffragi. Con il secondo mandato arrivarono anche i primi risultati. E prese forma compiuta quello che sarebbe passato alla storia come il thatcherismo. «Nessun primo ministro britannico era mai stato associato a un “ismo”», ha sottolineato Roger Bootle, uno dei più ascoltati economisti della City. «Né Churchill, né Macmillan, né Attlee hanno visto il proprio nome diventare una dottrina economica». Il Thatcherismo è stato un misto di liberismo in campo economico, conservatorismo sui temi sociali e individualismo dal punto di vista filosofico. Non ha semplicemente rispolverato gli ideali vittoriani condensati nel motto “Dio, patria e famiglia”, ma ha rivoluzionato ogni aspetto della vita politica. Non solo è riuscito nell’impresa di curare un Paese che nel 1979 veniva definito il Grande malato d’Europa, e che nel 1978 aveva sperimentato «l’autunno dello scontento», ma dimostrò che un’altra idea del mondo, della vita, della società era possibile.

NESSUN ALTRO PRIMO MINISTRO

BRITANNICO, NEMMENO CHURCHILL,

HA VISTO IL PROPRIO NOME

DIVENTARE UNA DOTTRINA ECONOMICA

La Gran Bretagna che ereditò la dama di ferro era un Paese in profonda crisi economica, piegato da troppo statalismo, elevata pressione fiscale, corporativismo e tensioni razziali. La disoccupazione era in crescita costante da più di 30 anni: durante il primo governo conservatore del dopoguerra i senza lavoro erano 330 mila, salirono a mezzo milione sotto il Labour tra il 1964 e il 1970, a 750 mila con i conservatori nel periodo 1970-1974 e a un milione e 250 mila sotto l’ultimo governo laburista prima della Thatcher.

Peggio aveva fatto l’inflazione: l’incremento medio nei prezzi al dettaglio era stato del 3,5% sotto i governi conservatori guidati da Churchill, Eden, Macmillan e Douglas-Home nel periodo 1951-1964, salì al 4,5% sotto la prima amministrazione Wilson, al 9% con quella Heath, e al 15% durante l’ultimo governo laburista di Callaghan. La ricetta di Lady Thatcher per cambiare la situazione fu semplice (e dolorosa): sostituire lo Stato con i privati e il monopolio con la concorrenza. Occorreva ristabilire la regola che sono il risparmio e la virtù a creare reddito, mentre l’espansione monetaria e fiscale drogata, anziché creare ricchezza, genera inflazione.

Per questo, avviò una radicale politica di privatizzazioni per rastrellare risorse per il Tesoro e ridurre il fabbisogno del settore pubblico. Uno dopo l’altro furono venduti tutti i gioielli industriali: Rolls-Royce, Rover, Jaguar, British Telecom, British Airways, British Petroleum, British Steel, British Coal, British Gas, oltre alle aziende della distribuzione dell’elettricità e dell’acqua. Introdusse una politica monetaria anti-inflazione, che portò il sistema verso un’acuta deflazione. Questo mise le imprese in difficoltà, espellendo dal mercato le meno efficienti. Si moltiplicarono i fallimenti e aumentò il tasso di disoccupazione.

Ma solo in una prima fase, perché progressivamente aumentò anche il livello di produttività e di competitività dell’economia. Il pil pro capite inglese, infatti, diminuì di 3,6 punti tra il ‘79 e il ‘81, ma quando nel 1990 Margaret Thatcher lasciò Downing Street, era aumentato del 30%. Il debito pubblico, in rapporto al pil, passò dal 52 al 32%, il deficit dal 5 al 2%, le spese dal 45 al 39%, l’inflazione dal 16 all’8%, mentre rimasero costanti il tasso di disoccupazione (6%), il gettito complessivo (39%) e le spese sociali (16%).

Fu ridisegnato il sistema fiscale, portando l’aliquota base dell’imposta sul reddito dal 33 al 25% e quella marginale dall’83 al 40%, spostando parte del carico fiscale dal lavoro ai consumi. Nel frattempo, mettendo in vendita una parte dell’edilizia popolare a prezzi agevolati, la Lady di ferro aveva trasformato gli inquilini in proprietari; invitando gli inglesi ad acquistare azioni delle ex imprese statali li aveva trasformati in investitori; diminuendo il potere dei sindacati e favorendo la flessibilità del lavoro aveva costretto i lavoratori a fare i conti con un mercato più libero e dinamico.

È stato forse anche per questo, per aver operato una profonda trasformazione (in meglio) nei suoi concittadini, che la Thatcher, a dispetto della strenua opposizione e delle critiche feroci ha vinto le elezioni per tre volte di fila. E il suo terzo mandato è stato l’ultimo non perché abbia perso la quarta elezione: furono i suoi colleghi di partito, sempre più insofferenti verso la sua leadership, a farla cadere. Il 20 novembre 1990, mentre era fuori dal Paese, si svolsero le elezioni per la carica di leader del partito conservatore. La Thatcher non raggiunse la maggioranza richiesta per soli quattro voti: sarebbe stato necessario un secondo turno. Ma lei decise di dimettersi. Per l’ultima volta (basti pensare a cosa avrebbe fatto nelle stesse condizioni un leader di un altro Paese, magari l’Italia) dimostrò la sua unicità.

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Margaret Thatcher ritratta sorridente nel 1983 mentre posa con una cornice vuota accanto alle numerose copertine di Time che l’hanno vista protagonista @ Getty Images