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Business

Testimonial multitasking

Spesso le imprese si affidano a un volto già utilizzato da altre industrie per pubblicizzare i propri prodotti. Addirittura, come nel caso di Beckham, concorrenti. E non sbagliano. Ecco perché

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David Beckham è stato per molti anni il protagonista degli spot internazionali della Pepsi, produzioni colossali dai costi molto elevati in cui il calciatore della Nazionale inglese recitava al fianco di altri talenti del football mondiale. Nonostante il contratto sottoscritto con la Pepsico, nel 2005 il marito della Spice Girl Victoria è stato protagonista anche della comunicazione dalla Coca-Cola, alla luce di un accordo stretto con la FA, la federazione inglese di football, che prevedeva l’utilizzo dell’immagine di Beckham in quanto capitano dell’Inghilterra. Nulla di trascendentale, si dirà, soprattutto dal punto di vista del diretto interessato: abile gestore dei propri affari insieme a Victoria, l’ex stella del Manchester e del Real Madrid, ora in prestito al Milan dal Galaxy, ha dato vita negli anni a ben due società, la Footwork Productions Ltd., che gestisce tutte le entrate generate dai suoi sponsor, e la Beckham Brand Ltd., che si occupa di sfruttare il marchio di David e Victoria Beckham. Attività che gli hanno permesso di mettere da parte un gruzzoletto niente male.

Quei cannibali dei vipDal punto di vista dell’impresa, però, di chi investe soldi sull’immagine di un personaggio, quale senso ha spendere tanto quando poi lo stesso signore compare nella pubblicità di altre imprese, se non addirittura, come il caso di Beckham, di una diretta concorrente?«Quando il testimonial è utilizzato nello stesso momento da aziende diverse» sostiene Mimmo Ugliano, che collabora con TNS Italia come responsabile dei Servizi NO.I., l’indagine sulla popolarità dei personaggi «solo l’impresa capace di garantire alla sua campagna la più alta pressione pubblicitaria potrà sfruttare al meglio la popolarità del personaggio. Alberto Tomba, anni fa, è stato contemporaneamente testimonial di Barilla, di una marca di automobili e di un brand di abbigliamento sportivo. La campagna dell’azienda emiliana era ricordata allora dal 93% dei consumatori, mentre le comunicazioni delle altre due società passarono in sordina».Lo stessa regola, sostiene Ugliano, dovrebbe valere per la campagna Tim con la venezuelana Belen Rodriguez, grazie appunto ai massicci investimenti pubblicitari garantiti dalla società di telefonia. Oltre che per Tim, la fidanzata di Fabrizio Corona presta infatti il proprio volto a Monella Vagabonda, al Canta tu e al gioco per la Wii (Nintendo) NewU Fitness First. Belen ha poi contratti con aziende come Miss Sixty, Taglia 42, Cotonella, Cotril, Pin up e Yamamay.

Decalogo per il successoUna presenza capillare sui media, dunque, quella di Belen (lo stesso avviene per tante e tanti altri suoi colleghi), che diventa un punto di debolezza per l’immagine di marca. Le aziende quando si avvalgono di un testimonial devono infatti fare attenzione a non attribuire loro troppa importanza: il rischio di vedere cannibalizzata la propria immagine dalla popolarità del personaggio è sempre in agguato. Il testimonial deve essere infatti coerente alla marca, deve farsi portatore di un messaggio che ha nel brand il suo focus. In altre parole, deve essere un ambasciatore dei valori della marca, con cui stringe un rapporto esclusivo e, se possibile, monogamico. Se questo non è possibile, Astra Ricerche ha individuato delle regole di base su come ricorrere a pianificazioni non sovrapposte o alla creazione di personaggi differenti. Per esempio, nel 2004 Fiorello è stato al tempo stesso il volto della Maina e di Infostrada. Per l’azienda dolciaria interpretava un boss siciliano, Don Rosario, mentre per la società telefonica era protagonista di siparietti in compagnia della spalla Tommasino. Maina poi comunicava tradizionalmente in Tv solo a dicembre. I due fattori permisero a entrambe le campagne di ottenere risultati positivi. Un rapporto esclusivo che funziona è, stando agli indici di riconoscimento e gradimento (con punte superiori al 95% degli intervistati), il “matrimonio” ormai decennale tra la Lavazza e la coppia Bonolis-Laurenti. Dopo aver posto fine alla collaborazione con Nino Manfredi (il suo «Più lo mandi giù e più ti tira su» ha resistito per ben 16 anni), Lavazza ha cercato con poca fortuna altre strade pubblicitarie, per decidere poi nel 1995 di puntare su un format creativo molto semplice, Il Paradiso di Armando Testa, caratterizzato da trovate e spunti narrativi originali e consoni alla marca, e sulla relazione speciale con i suoi testimonial, Tullio Solenghi prima e la coppia Bonolis-Laurenti poi.

Comparse d’eccezioneIl dibattito sui testimonial deve poi tenere conto di quello che è il vero tema all’ordine del giorno del mercato dell’advertising (reso ancora più attuale dalla crisi economica): l’efficacia della pubblicità. Alcune risposte all’uso “intelligente” del testimonial multi-brand arrivano allora proprio da quei mercati da sempre più innovativi sul fronte della comunicazione, dove il loro ricorso è pratica assai più diffusa che da noi: oltre a Beckham (Adidas, Brylcreem, Castrol, Coty, Gillette, Marks & Spencer, Motorola, Police Sunglasses, Rage Softwar, Vodafone ed Emporio Armani Underwear), si pensi all’onnipresente Kate Moss (Rimmel, Agent Provocateur, Virgin Mobile, Belstaff, Beymen, Dior, Louis Vuitton, Roberto Cavalli, Longchamp, Stella McCartney, Bulgari, Chanel, Nikon, David Yurman, Versace, Mia Shvili, Calvin Klein Jeans e Burberry) o all’attrice più in voga del momento, Scarlett Johansson (Dolce & Gabbana, Mango, Moët & Chandon, Louis Vuitton, CK, Reebok, Mt. Rainer, L’Oreal e Disneyland Resort USA). Negli Stati Uniti hanno risolto il problema con la comparsata del vip in un singolo spotevento (in particolare in occasione dei commercial in onda nei break del Super Bowl). Ribaltando i termini della questione, inizia anche a farsi strada l’idea della campagna multitestimonial: negli anni passati Louis Vuitton ha scelto Annie Leibovitz per ritrarre le sue collezioni in compagnia di Sean Connory, Keith Richards, Francis Ford Coppola e la figlia Sofia. Veri testimonial multitasking.

Credits Images:

David Beckham nella campagna di PepsiCo che lo vede nei panni di un samurai