Banca Ifis: nel Pil italiano 500 miliardi di euro di “Bellezza”

Pubblicata la terza edizione dell’Economia della Bellezza, studio che misura il valore economico delle imprese attive nel comparto e che ha approfondito la peculiarità di un modello unico al mondo

imprese artigiane Economia della Bellezza

Cresce il peso della “Bellezza” nell’economia italiana. Secondo quanto elaborato nella terza edizione del Market Watch Economia della Bellezza prodotto dall’Ufficio Studi di Banca Ifis, a fine 2022 il valore di questo particolare comparto economico ha sfiorato i 500 miliardi di euro, pari al 26,1% del Prodotto Interno Lordo. Una cifra determinata dal valore aggiunto della produzione Made in Italy e dalla spesa di italiani e stranieri per la fruizione dell’immenso patrimonio storico-culturale-artistico e delle risorse naturalistico-paesaggistiche del nostro Paese.

L’evoluzione dell’Economia delle Bellezza italiana

Presentato giovedì 28 settembre a Venezia, in occasione delle celebrazioni dei 40 danni dalla fondazione di Banca Ifis, l’Economia della Bellezza 2023 misura il valore economico delle imprese italiane attive nel comparto della Bellezza. Quest’anno, inoltre, lo studio ha approfondito le peculiarità di un modello unico al mondo, ovvero il connubio inscindibile tra saper fare artigiano e manifattura.

L’indagine ha anche raccolto in un volume testimonianze di undici protagonisti del settore dell’Economia della Bellezza, tra questi l’imprenditore e stilista Brunello Cucinelli; l’a.d. di Kiton, Antonio de Matteis, il presidente e a.d. di Gessi, Gian Luca Gessi; e la vicepresidente del Gruppo Damiani e presidente del gruppo Venini, Silvia Grassi Damiani;

I numeri del 2022

Secondo quanto elaborato nel Market Watch, l’Economia della Bellezza ha contribuito in modo importante alla ripresa dell’economia italiana dopo il biennio pandemico: nel 2022, questa ha rappresentato il 56% dell’aumento del Pil nazionale rispetto all’anno precedente e il 33% dell’aumento rispetto al 2019, ultimo anno pre-Covid.

Più in generale, nel 2022 il valore dell’Economia della Bellezza ha raggiunto quota 499 miliardi di euro, crescendo del 16% rispetto ai 431 miliardi di euro del 2021. Di fatto, si tratta di una crescita più che doppia rispetto al resto del sistema produttivo italiano.

Lo sviluppo è stato intenso su tutti i comparti: turismo culturale e paesaggistico e imprese sia design-driven, quelle guidate da una forte componente di design, sia purpose-driven, ovvero le imprese guidate da uno scopo sociale. La convergenza tra il «bello e ben fatto» e il «buon lavoro» sembra sempre più esprimere un motore per l’intera economia italiana.

La crescita del valore prodotto rispetto al 2019 (+37 miliardi di euro) è stata generata per il 47% dalle imprese purpose-driven, per il 29% dal turismo culturale e naturalistico e per il 24% dalle imprese design-driven.

A livello di settori, sono otto quelli che hanno contribuito alla crescita del Pil della Bellezza rispetto al 2019: Agroalimentare (13 miliardi di euro) e Turismo (11 miliardi di euro) sono quelli che hanno registrato l’aumento maggiore, ma bene hanno fatto anche Tecnologia, Cosmetica, Sistema Casa, Ambiente, Orologeria e Gioielleria e Automotive, grazie al forte sviluppo dell’approccio purpose-driven.

Il peso dei Maestri d’Arte sulla manifattura made in Italy

Per l’edizione 2023 dell’indagine, l’Ufficio Studi di Banca Ifis ha scelto di dedicare un focus particolare a quanto l’eccellenza della manifattura Made in Italy tragga origine dal lavoro dei Maestri d’Arte.

La principale evidenza è che il “saper fare” artigiano contribuisce ancora al 54% del fatturato della manifattura italiana. In quasi 9 casi su 10, le imprese della manifattura considerano l’artigianalità non sostituibile da macchinari.

In un business sempre più globale, in cui i mercati internazionali richiedono un posizionamento differenziante, rappresentare la qualità e l’unicità del prodotto italiano è una delle sfide alle quali è chiamata la manifattura del nostro Paese.

Secondo le rilevanze del Market Watch, per le imprese manifatturiere italiane il valore aggiunto del lavoro artigianale ricopre un ruolo rilevante nella produzione, sia in fase di progettazione sia di realizzazione. Per il 53% delle aziende intervistate, l’artigianalità non rappresenta una semplice ricerca del lusso, ma uno strumento concreto per dar forma alle idee, da mettere in campo nella fase di prototipazione.

In tal senso, il saper fare viene identificato da 8 imprese su 10 come fattore distintivo di competitività sul mercato poiché consente di rispondere efficacemente ai nuovi trend e alle nuove mode, come indicato da ben il 91% degli imprenditori della manifattura.

In quest’ottica, gli artigiani si configurano come figure capaci di dare unicità al prodotto, integrando l’interpretazione in chiave contemporanea con l’attribuzione di un valore nel segno della tradizione, dell’innovazione e della sostenibilità. Questa modalità che deriva dall’ibridazione tra artigianalità e manifattura rappresenta il vero e proprio modello di produzione del Made in Italy.

Le difficoltà delle imprese artigiane

Al contempo, però, il mestiere dell’artigiano risente oggi di un sistema in rapida evoluzione dal punto di vista demografico, economico e sociale. Il calo delle imprese artigiane (-32% di operatori attivi dal 2000, concentrando l’attenzione su quelle del manifatturiero) parla della complessità nel trovare chiavi di lettura innovative per crescere e coinvolgere i giovani.

Lo studio 2023 ha analizzato anche le difficoltà incontrate dalle imprese artigiane che lavorano con l’industria manifatturiera, penalizzate da una rilevante riduzione del loro numero e un progressivo invecchiamento degli artigiani stessi.

Negli ultimi due anni molte imprese artigiane (il 41%) si sono trovate ad affrontare un passaggio generazionale, spesso legato proprio alla trasmissione dell’attività.

Un’arte da preservare

Le più comuni strategie per garantire continuità alle imprese sono il mantenimento della tradizione familiare e la formazione diretta di nuovo personale.

Gli artigiani chiedono però anche modifiche agli attuali programmi scolastici attraverso il potenziamento di percorsi di studio che siano capaci di mostrare ai giovani la creatività connessa con i lavori artigiani e di accendere così la loro immaginazione. In parallelo, auspicano anche l’introduzione di incentivi fiscali per chi intraprende un’attività in questo settore.

D’altra parte, il 93% delle imprese della manifattura conferma il trend di internalizzazione già in atto ed esprime l’intenzione di portare entro il perimetro della propria azienda le competenze artigiane.

La strategia più adottata per portare a compimento questa internalizzazione è l’affiancamento con chi è già esperto del mestiere (indicato dall’81% delle imprese) mentre ci si avvale in misura decisamente minore di corsi di formazione più teorici (12% delle imprese).

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