Due spade di Damocle pendono su numerosi Comuni italiani, che rischiano di provocarne il dissesto finanziario. È l’allarme contenuto nella relazione della Corte dei Conti sullo stato dell’attuazione del federalismo fiscale in Italia (scarica cliccando qui). Davanti alla commissione parlamentare i magistrati contabili hanno rilevato il boom della pressione fiscale locale, ma anche gli oltre 13 miliardi di euro che i Comuni devono ancora riscuotere, ma sono in buona parte difficilmente incassabili. Ecco perché.
I RESIDUI ATTIVI. Come riportato da la Repubblica, il problema centrale è quello della formazione dei residui attivi, che deriva dalla possibilità dei sindaci di riscuotere tramite ruoli. Di fatto i Comuni segnano in bilancio entrate sulla base dell’accertamento e non del relativo incasso; i soldi diventano “residui attivi” perché si scaricano sui bilanci successivi come entrate accertate, anche se non ancora incassate. Non si hanno dati certi sull’ammontare di questi residui attivi, ma, al 30 aprile 2013, il “carico residuo, al netto delle sospensioni e dei ruoli emessi nei confronti di soggetti già falliti al momento dell’iscrizione, era di 13,5 miliardi di euro”.
CASO PARTECIPATE. Altro problema è dato dalla mala gestione delle società partecipate che, in alcuni casi, rischiano di provocare il “dissesto finanziario” dell’ente. Il ricorso a queste società avrebbe consentito a Comuni e Regioni di “eludere il Patto di stabilità e aggirare i vincoli all’indebitamento”. Si tratta di società con “perdite croniche, sovradimensionate nel personale e con un debito insostenibile”, che, di conseguenza, “non troverebbero acquirenti sul mercato”. Il problema delle perdite, secondo la Corte, riguarda il 33% delle società partecipate da Comuni e Province, e nel 12% dei casi la perdita è reiterata nell’ultimo triennio.
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