Le Big Tech hanno fame, tanta fame di energia. Perché i carichi computazionali legati all’intelligenza artificiale cresceranno del 25-35% all’anno fino al 2027, secondo un recente rapporto della società di consulenza Bain. Ciò porterà a un conseguente incremento della domanda di potenza di calcolo, che spingerà i data center a evolvere verso dimensioni di oltre un gigawatt. Ecco perché la nuova tendenza delle grandi aziende tecnologiche è di verticalizzare tutto, compresi il fabbisogno energetico e la disponibilità di terre rare.
Dopo Google, che ha appena ordinato alla startup americana Kairos Power di costruire fino a sette piccoli reattori modulari (Smr), con il primo che sarà operativo entro il 2030, anche Amazon ha annunciato la firma di tre accordi con Energy Northwest, per sviluppare progetti di energia nucleare. L’intesa include la costruzione di Smr, che hanno il vantaggio di un minore impatto sull’ambiente, possono essere collocati più vicini alla rete di distribuzione elettrica e sono pure più veloci da costruire. E pure Microsoft si è mossa per garantire ai suoi data center l’enorme quantità di energia richiesta. A fine settembre il gruppo guidato da Satya Nadella ha stretto un’intesa con Constellation Energy per riportare in funzione il reattore della centrale di Three Mile Island, in Pennsylvania, sopravvissuto nel 1977 al più grave incidente del nucleare negli Usa, e dismesso cinque anni fa dopo la riapertura. Con questo contratto Microsoft avrà energia nucleare per i prossimi 20 anni.
L’oro di domani? Energia e terre rare, la sfida delle aziende
Certo non tutti sono d’accordo su queste scelte: i detrattori di questa tecnologia sostengono che i reattori di questo tipo potrebbero generare costi superiori alle attese, perché non in grado di raggiungere l’economia di scala degli impianti più grandi e probabilmente produrranno scorie nucleari di lunga durata. Ma la scelta Google ha un forte valore simbolico perché indica la via: invece di acquistare un reattore alla volta, sta inviando un segnale preciso al mercato sostenendo un investimento a lungo termine per accelerare lo sviluppo dei reattori.
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La crescita annuale dei carichi computazionali legati all’AI fino al 2027 è calcolata nel 25/35% | È di 1 GW, invece, la dimensione che i data center sono destinati a superare per l’incremento di domanda di potenza di calcolo (© Getty Images)
La nuova corsa delle aziende a garantire il proprio futuro non riguarda soltanto l’energia. General Motor ha investito quasi un miliardo di dollari nelle miniere di litio, per assicurarsi una fornitura a lungo termine di un componente essenziale per le batterie elettriche, necessarie alla transizione verde, per passare dai veicoli a motore termico a quelli a zero emissioni. Gm ha creato una joint venture con il gruppo di Vancouver Lithium Americas, aumentando da 650 a 945 milioni il suo impegno finanziario per sviluppare la miniera Thacker Pass in Nevada.
Si tratta del maggiore investimento del settore da parte di un gruppo automobilistico, ma segnala quanto sia cruciale la possibilità di contare su ingredienti chiave per le auto del futuro. L’intesa garantisce a Gm il diritto di esclusivo per 20 anni sulla produzione di litio, sufficiente a produrre 800 mila veicoli elettrici. La scelta del costruttore di Detroit guidato da Mary Barra nasconde anche un’altra esigenza delle aziende: mettersi al riparo dalle crescenti tensioni geopolitiche, che rendono sempre più incerte le catene di approvvigionamento di materie prime sensibili, a cominciare dalle terre rare. Oggi è un mercato dominato dalla Cina. E il fatto che gli Stati Uniti da tempo abbiano dichiarato la guerra commerciale a Pechino, vietando l’export ma anche l’import di tecnologie cinesi, non promette nulla di buono. Soprattutto in caso di escalation su Taiwan.
In un mondo sempre più affamato di energia, con il cloud computing e l’AI, e di terre rare, per le batterie elettriche, ora le aziende cominciano a organizzarsi
I rischi geopolitici e la svolta protezionistica non salvano l’Ue. Non per niente la Commissione ha chiesto agli Stati membri di ripensare le catene di fornitura, riportandole sul territorio continentale e privilegiando i Paesi vicini e cosiddetti “amici”. Ma Bruxelles ha chiesto anche di riaprire le miniere, cosa che sta facendo pure l’Italia. Lo choc energetico provocato dall’invasione russa e la fine del gas a buon mercato venduto da Mosca è una delle ragioni che hanno ulteriormente ridotto la competitività globale dell’industria europea. In un mondo sempre più affamato di energia, con il cloud computing e l’AI, e di terre rare, per le batterie elettriche, ora le aziende cominciano a organizzarsi.
Un esempio di startup che sta investendo molto sullo sviluppo di questi reattori è la italo-francese Newcleo. Vuole produrre piccoli moduli che si alimentano con gli scarti di altri reattori. Il progetto richiede tre miliardi di investimenti nel corso dei prossimi sette anni. Ha già raccolto 400 milioni da circa 600 investitori, per lo più italiani. Tra gli azionisti ci sono Exor, la holding degli Agnelli. Banca Sella, Kairos, le famiglie Malacalza, Rovati, Petrone, Roveda, Bormioli, Colussi, Paolo Merloni, Claudio Costamagna, Benedetto de Benedetti e Ruben Levi.
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Una pietra lepidolite, minerale contenente litio (© Getty Images)
«Il primo reattore è atteso nel 2031 in Francia, dove abbiamo già avviato una serie di attività con l’autorità della sicurezza nucleare francese, un processo che a giugno termina la sua prima fase e che nel prossimo biennio ci porterà a una pre-autorizzazione per l’avvio della costruzione del nostro primo reattore», ha spiegato il fondatore di Newcleo, Stefano Buono. In attesa della grande rivoluzione annunciata dalla fusione nucleare dell’atomo che archivierebbe i procedimenti di fissione attuali. Tecnologia su cui sta lavorando negli Usa l’Eni in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology.
La situazione in Italia
In Italia entro il 2050 il governo vorrebbe avere l’80% da fonte rinnovabile per la generazione elettrica, mentre per il restante 20% la volontà è di sostituire lo zoccolo duro di energia sicura promessa dal gas con il nucleare. Anche per la nostra sicurezza energetica. D’altronde lo ha esplicitato anche la tassonomia europea. Si tratta di un’energia verde, sicura, a zero emissioni, programmabile (e non intermittente come lo sono le rinnovabili che hanno bisogno di un sistema di accumuli per stoccarle).
Per questo il ministro per la sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, e i suoi tecnici, compreso il costituzionalista Giovanni Guzzetta, stanno lavorando su una “bozza zero” che abiliterà la produzione di energia tramite le nuove tecnologie nucleari sostenibili. Il dispositivo dovrà normare la ricerca e la realizzazione di prototipi sul territorio, cosa che al momento non è possibile fare. Nonostante diverse eccellenze e un alto livello di competenze sul nucleare in Italia, al momento dopo la fase di progettazione ci si deve spostare in altri Paesi, come la Francia, dove la sperimentazione è consentita. Con questa norma si abiliterebbe tutta una filiera che non aspetta altro che partire. Su questo la Commissione europea si è già mossa: ha appena lanciato l’alleanza industriale sui mini-reattori modulari. L’iniziativa è «volta a migliorare la competitività industriale e garantire una forte catena di approvvigionamento dell’Ue, compresa una forza lavoro qualificata».
Il presidente di Edison, Nicola Monti, ha dichiarato di essere pronto a investire 4 miliardi di euro su due piccoli reattori a fissione nucleare (Smr) da 340 megawatt qualora la politica italiana dicesse sì al ritorno dell’atomo. La stessa Edison, controllata del gruppo francese Edf, insieme ad Ansaldo Nucleare ha stimato un impatto da 50 miliardi sulla nostra economia, con 117mila occupati diretti, qualora venissero realizzati una ventina di impianti Smr fino al 2050. Ma Edison non sarebbe l’unica a investire, l’amministratore delegato di Enel, Flavio Cattaneo, ha affermato che la nuova società sui piccoli reattori con potenziali partner come Ansaldo Nucleare e Leonardo partirà a breve e «si concentrerà sullo studio degli Smr». La Francia, al momento, è il Paese che fa maggiore affidamento sull’elettricità prodotta grazie alle centrali nucleari. Mentre la Germania ha chiuso definitivamente tre dei suoi reattori, dimezzando la produzione (da 69.130 GWh nel 2021 a 34.709 GWh nel 2022). Anche in Belgio è stato chiuso un reattore nel settembre 2022. E la Spagna ha deciso fare lo stesso entro il 2035 per le cinque centrali nucleari attualmente attive.
L’impatto del nucleare sull’ambiente
Secondo un recente studio pubblicato dalla società di consulenza EY, l’energia nucleare costituisce un elemento chiave per istituire sistemi elettrici a basse emissioni e in grado di far fronte alla crisi climatica. Il nucleare, attualmente presente in 32 Paesi con una capacità totale di 413 GW, gioca un ruolo significativo nell’evitare 1,5 gigatonnellate (Gt) di emissioni globali e ridurre la domanda mondiale di gas, attualmente di 180 miliardi di metri cubi. Utilizzando il costo livellato dell’energia elettrica (Lcoe) come misura, che rappresenta il costo medio della generazione di elettricità per una centrale per l’intera durata della sua vita operativa, attualmente l’energia solare fotovoltaica rappresenta la fonte di elettricità più competitiva nella maggior parte dei mercati, ma l’energia nucleare è comunque in grado di farle concorrenza. Si tratta di un’energia verde, sicura, a zero emissioni, programmabile (e non intermittente come lo sono le rinnovabili che hanno bisogno di un sistema di accumuli per stoccarle).
Articolo pubblicato sul numero di Business People di gennaio-febbraio 2025. Scarica il numero o abbonati qui
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