Le imprese che chiudono solo quelle italiane. Stando infatti allo studio Il commercio straniero non conosce crisi redatto dal Confesercenti (e consultabile qui), negli ultimi due anni è cresciuto il numero delle imprese straniere: +9,6% dal 2011 al 2103, per un totale di oltre 40 mila unità (su 654 mila) nel solo comparto al dettaglio. E questo a fronte, invece, di una contrazione, pari al -1,5%, del numero totale delle imprese al dettaglio, scese dalle 664.654 del 2011 alle 654.417 unità totali del 2013.
L’incidenza dell’imprenditorialità straniera è passata così dal 5,6% del 2011 al 6,2% del 2013, nonostante le differenze geografiche e di settore. Il dato più eclatante lo si registra nel settore alimentare: il 68% imprenditori stranieri possiede un negozio di frutta e verdura (36%) o di carni e prodotti simili (32%). Nel Lazio, addirittura, quasi una frutteria su tre non parla italiano.
In generale sul versante frutta e verdura, l’incidenza è del 9,9% (contro il 7,6% del 2011), con punte del 15,3% nelle aree del Sud Italia. Nel settore carni e prodotti simili, invece, si registrano picchi di incidenza del 17,3% in Lombardia.
Il commercio al dettaglio di prodotti non alimentari è invece sostanzialmente in linea: le imprese straniere incidono per il 5,4% (una percentuale di poco superiore al 5,1% del 2011) e si concentrano soprattutto nella vendita di prodotti tessili e di abbigliamento.
Discorso a parte, invece, per il settore ambulante dove si contano più di 85 mila imprese straniere (il 46,8% del totale) contro le 74mila del 2011, per una crescita del 15,6% nel giro di due soli anni. Ma ci sono regioni, come la Sardegna, dove gli ambulanti non italiani arrivano a rappresentare l’81,3% del totale
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