I giochi sull’Ops lanciata da Unicredit su Banco Bpm sono ancora in corso e Crédit Agricole lo ha fatto capire in maniera più che esplicita, esprimendosi per mezzo del suo ceo uscente, Philippe Brassac: «Rimaniamo in discussione con tutte le parti interessate per sviluppare i nostri interessi», ha dichiarato, sottolineando che la posizione di Agricole non è passiva, ma dipende da molteplici fattori, tra cui l’evoluzione della situazione politica in Italia, Paese che potrebbe giocare un ruolo fondamentale nell’orientare le mosse finali del gruppo bancario francese.
L’intervento di Brassac è avvenuto in occasione della presentazione dei conti del 2024, chiusi con un utile netto di 8.6 miliardi e ricavi per 38 miliardi. Cifre che sottolineano quanto l’impatto del gruppo francese sia degno di nota: il risultato netto aggregato è pari a 1,556 miliardi, in crescita del 19%. Il coinvolgimento di Crédit Agricole nel gioco strategico per l’acquisizione di Banco Bpm è significativo.
La banca parigina è uno degli azionisti principali di Bpm, con una partecipazione che è stata recentemente aumentata al 15% e piani di crescita futuri che potrebbero portare la sua quota fino al 20%. L’eventuale alleanza con Unicredit, che sta cercando di acquisire la banca milanese, diventa una mossa centrale per proteggere gli interessi economici di Crédit Agricole. L’operazione però non riguarda solo il mondo bancario, ma si intreccia anche con l’industria dell’asset management, un settore in cui Crédit Agricole ha un ruolo primario grazie alla controllata Amundi.
La questione di Amundi è cruciale per comprendere la strategia di Crédit Agricole in Italia: dal 2017, Unicredit ha un contratto di distribuzione con Amundi, attraverso il quale i prodotti di quest’ultima rappresentano circa il 75% delle masse gestite dalla banca italiana per i suoi clienti. Il contratto scadrà nel 2027, ma Unicredit sta cercando di rinnovarlo, proponendo un’estensione di dieci anni che sarebbe una leva importante per il Crédit Agricole dato che Amundi rappresenta uno dei principali asset del gruppo fuori dalla Francia.
La decisione di rinnovare o meno il contratto con Unicredit potrebbe influire direttamente sull’esito dell’Ops, in quanto sarebbe difficile per Unicredit procedere senza l’appoggio di Amundi, soprattutto in un mercato strategico come quello italiano. Il contesto politico italiano, come sottolineato da Brassac, aggiunge un ulteriore livello di complessità alla vicenda: Il governo Meloni ha manifestato preoccupazione per l’eventuale fusione tra Unicredit e Banco Bpm, poiché potrebbe danneggiare l”italianità” di un settore bancario che si sta progressivamente concentrando.
La legge del Golden Power potrebbe entrare in gioco per proteggere gli interessi nazionali, soprattutto in termini di occupazione e controllo delle risorse strategiche. In questo quadro, il ruolo di Crédit Agricole potrebbe essere quello di fungere da interlocutore privilegiato tra Unicredit e le autorità italiane, cercando di garantire l’acquisizione in un modo che minimizzi l’opposizione politica.
Sul piano finanziario, la sfida per Unicredit è legata al valore di Bpm, aumentato considerevolmente dal momento in cui l’Ops è stata lanciata. Le sue azioni sono infatti salite del 28%, portando Unicredit a rivedere la propria offerta che potrebbe dover essere rilanciata. Resta determinante la posizione di Crédit Agricole: potrebbe scegliere di sostenere Unicredit nel suo tentativo di acquisizione, ma non è ancora chiaro quale strada seguirà.
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